Il mondo si sta frantumando in blocchi economici, le guerre commerciali sono il nuovo status quo e i dazi una costante minaccia all’efficienza globale. Ma nel cuore di questa tempesta geopolitica, le grandi aziende tech americane stanno facendo una cosa sorprendente: continuano a spendere come se nulla fosse. Anzi, accelerano. Nonostante i venti contrari alimentati da Trump e le tensioni con la Cina, Amazon, Meta, Microsoft e soci sembrano vivere in una bolla isolata, alimentata a colpi di GPU, data center e intelligenza artificiale.

Meta ha spiazzato tutti mercoledì scorso, alzando la previsione di spesa per il 2025 dell’8%, portandola fino a 72 miliardi di dollari. Non sono briciole, ma investimenti pesanti in infrastrutture che servono a sostenere le sue ambizioni nel campo dell’AI. E no, non è la solita narrativa da earnings call. I soldi li stanno davvero spendendo. Il cuore di questo aumento? Data center, ovviamente. Perché senza data center non c’è AI, e senza AI, oggi, sei irrilevante.

Microsoft non ha modificato le sue guidance di spesa rispetto a gennaio. Ma quando Satya Nadella ti dice che “Cloud e AI sono gli ingredienti essenziali per ogni business che voglia espandersi, ridurre i costi e accelerare la crescita”, dovresti ascoltare. Perché lui ha i dati, tu no. Amazon, dal canto suo, ha speso 10 miliardi in più nel primo trimestre rispetto all’anno scorso, gran parte di questa montagna di denaro è finita in infrastruttura tecnologica per rispondere alla crescente fame di AI dei suoi clienti.

Ecco il punto chiave: non è solo Big Tech a spingere sull’acceleratore. Anche i clienti business, pur operando in un ambiente economico più cauto, non stanno rallentando gli investimenti in intelligenza artificiale. L’AI è diventata la nuova corrente elettrica del business moderno. Nessuno vuole restare al buio.

E i dazi? I dazi sono il sottofondo nervoso di questo quadro. Meta ha ammesso che i costi per l’hardware infrastrutturale sono saliti e che questo ha contribuito all’aumento delle previsioni di spesa. Alphabet aveva già lanciato lo stesso avvertimento settimane fa. Apple ha quantificato l’impatto dei dazi: 900 milioni di dollari in più solo nel trimestre di giugno. Eppure Tim Cook è già un passo avanti, con la supply chain che si sta spostando aggressivamente dall’Asia cinese verso India e Vietnam. Nel giro di pochi trimestri, la maggior parte degli iPhone venduti negli Stati Uniti sarà “Made in India”, mentre iPad, Mac e Apple Watch verranno dal Vietnam. La Silicon Valley sta delocalizzando, sì, ma non per risparmiare: lo fa per sopravvivere.

Amazon è il termometro più preciso di questa schizofrenia. Durante la call sugli utili, il termine “tariffs” è emerso 17 volte. Andrew Jassy ha confermato che finora non ci sono stati aumenti significativi nei prezzi dei venditori sulla piattaforma, ma ha anche lanciato un monito: c’è stata un’impennata di ordini in anticipo, forse per battere l’arrivo dei dazi. I consumatori, per ora, non si sono tirati indietro. Ma potrebbe cambiare. Sempre può cambiare.

La verità è che nessuno ha idea di dove si assesteranno davvero i dazi, né quando. Lo ha detto lo stesso Jassy: “None of us know exactly where tariffs will settle or when.” Una dichiarazione che suona come un’ovvietà, ma in realtà è un’ammissione pesante. Il futuro è incerto. Ma una cosa è certa: finché c’è fame di AI, Big Tech continuerà a bruciare miliardi. Con o senza dazi, con o senza Trump.