Per secoli l’infinito è stato la gemma lucente della matematica, il suo concetto più vertiginoso e forse più seducente. L’idea che i numeri possano estendersi senza limiti è stata la spina dorsale del pensiero moderno, dal calcolo infinitesimale di Newton alla teoria degli insiemi di Cantor. Ma oggi una nuova corrente, gli ultrafinitisti, sta ribaltando il tavolo con una domanda scomoda: e se l’infinito non esistesse affatto? Non per mancanza di immaginazione, ma perché è un errore epistemologico, un miraggio concettuale che ha ipnotizzato la matematica per troppo tempo.
La tesi è brutale quanto affascinante. Gli ultrafinitisti non si limitano a negare l’infinito, ma mettono in dubbio anche i numeri enormi, quelli che non possono essere costruiti o rappresentati in alcun modo fisico. Se il numero dieci elevato alla novantesima, con le sue novanta cifre di zeri, supera già qualsiasi quantità di particelle dell’universo osservabile, perché continuare a fingere che sia un’entità reale? In fondo, dicono, la matematica non è un regno platonico di idee eterne, ma uno strumento pratico, limitato come i cervelli e i computer che la usano.
Il cuore dell’ultrafinitismo è una forma di realismo radicale. Tutto ciò che non può essere costruito, contato o calcolato, non esiste matematicamente. Un numero è reale solo se può essere scritto, una dimostrazione è valida solo se può essere eseguita. Questa visione riduce la matematica a ciò che può effettivamente accadere nel nostro universo finito. È una matematica con i piedi per terra, letteralmente ancorata alla fisica.
Naturalmente, per i matematici tradizionali questa posizione è un’eresia. L’infinito non è un capriccio, ma il fondamento stesso dell’analisi, del calcolo differenziale, delle equazioni di Maxwell e della relatività generale. Senza l’infinito, come si definisce una derivata o un limite? Come si parla di continuità o di spazio-tempo? Gli ultrafinitisti rispondono con un sorriso ironico: forse il problema è proprio quello. Forse l’infinito è una scorciatoia elegante che nasconde la nostra ignoranza sulle vere strutture discrete dell’universo.
La fisica moderna, dopotutto, trabocca di paradossi legati all’infinito. Le singolarità dei buchi neri, dove la densità diventa infinita, sono segnali di un modello che implode su se stesso. Il Big Bang, descritto come un punto di energia infinita, è più una confessione di fallimento teorico che una spiegazione. Anche nella meccanica quantistica l’infinito si infiltra come un virus, costringendo i fisici a procedure di “rinormalizzazione” che suonano più come trucchi contabili che come leggi della natura. L’universo reale, osservano gli ultrafinitisti, non ha mai mostrato nulla di infinito.
In informatica la questione è ancora più netta. Nessun algoritmo può compiere un numero infinito di passi, nessuna macchina di Turing può girare per sempre. L’intero impianto della teoria della computazione poggia su risorse finite, eppure la matematica che la descrive continua a evocare il fantasma dell’infinito. Gli ultrafinitisti vogliono sbarazzarsi di questo fantasma e costruire una logica compatibile con ciò che può essere effettivamente calcolato. È una prospettiva che piace ai teorici della complessità e ai filosofi della mente, perché restituisce alla matematica una concretezza computazionale.
Se questa visione prendesse piede, le conseguenze sarebbero dirompenti. Il concetto stesso di “numero reale” crollerebbe. La continuità, pilastro del pensiero scientifico moderno, verrebbe sostituita da una realtà granulare dove tutto è discretizzato. Non esisterebbero più linee, ma sequenze di punti. Non integrali infiniti, ma somme finite di valori osservabili. Una matematica senza infinito cambierebbe non solo i libri di testo, ma la nostra stessa idea di conoscenza.
Il fascino dell’ultrafinitismo sta anche nella sua sfida filosofica. Per secoli abbiamo creduto che la matematica fosse il linguaggio della verità, indipendente dal mondo fisico. Cantor, il padre dell’infinito moderno, parlava degli “infiniti attuali” come di creazioni della mente divina. Gli ultrafinitisti, invece, ribaltano la metafisica: se un numero non può essere contenuto nell’universo, allora è solo un mito culturale. La loro è una matematica senza dio, senza eternità e senza abissi infiniti.
Certo, non mancano i paradossi anche qui. Eliminare l’infinito significa riscrivere secoli di teoria, ridefinire i fondamenti della logica, persino rivedere il concetto di dimostrazione. Alcuni critici accusano gli ultrafinitisti di voler distruggere la matematica stessa. Ma loro replicano che è il contrario: vogliono salvarla dal suo delirio metafisico. In fondo, se la matematica deve descrivere la realtà, perché dovrebbe contenere entità che nessuna realtà può contenere?
La disputa non è solo accademica. Ha implicazioni profonde per la scienza dei dati, per la crittografia, per la fisica quantistica e persino per l’intelligenza artificiale. Un modello di calcolo senza infinito potrebbe rendere gli algoritmi più realistici e meno dipendenti da idealizzazioni che non si verificano mai. L’intelligenza artificiale stessa, fondata su reti di neuroni finiti e processi approssimati, è già un laboratorio di ultrafinitismo pratico, anche se pochi lo ammettono.
In un certo senso, gli ultrafinitisti incarnano lo spirito del nostro tempo. Dopo secoli di euforia per il “senza limiti”, il pensiero contemporaneo sta riscoprendo la potenza del finito, del misurabile, del concreto. Il paradosso è che proprio in questa rinuncia all’infinito potrebbe nascondersi la vera grandezza della matematica. Forse l’universo non è infinito, ma è abbastanza vasto da contenere tutte le domande che possiamo porci.
Così l’infinito, da simbolo di potenza, rischia di diventare l’ultimo grande mito da demolire. Gli ultrafinitisti non vogliono distruggere la matematica, vogliono restituirla alla realtà. Se riusciranno, la prossima rivoluzione non sarà nei numeri che non finiscono mai, ma in quelli che finalmente possiamo contare fino in fondo.