Quando Oracle decide di spingere sull’intelligenza artificiale, non lo fa per moda. Lo fa come chi progetta un’infrastruttura neuronale per le aziende, non un gadget da demo.

L’annuncio di nuovi agenti AI integrati nelle Oracle Fusion Cloud Applications suona come un cambio di paradigma travestito da aggiornamento software. Dentro l’ERP, l’HCM, lo SCM e il CX, questi agenti diventano la nuova forza lavoro digitale, capaci di leggere, decidere e agire in tempo reale.

Si parla di un ecosistema che non si limita a eseguire comandi, ma anticipa le intenzioni dei responsabili aziendali e le traduce in azioni operative. Una visione che, se presa sul serio, riscrive il concetto stesso di management digitale.

Oracle AI, sostenuta dalla piattaforma AI Agent Studio, promette un salto evolutivo nella gestione delle decisioni d’impresa. Non è solo automazione. È strategia distribuita, modellata su grandi modelli linguistici che parlano la lingua del business, non quella del codice.

Gli agenti diventano estensioni cognitive dei CFO, dei responsabili HR o dei direttori supply chain. Riducono tempi, errori e complessità. Soprattutto, fanno qualcosa che i software tradizionali non hanno mai fatto: ragionano. Non nel senso filosofico, ma operativo. Prendono decisioni basate sui dati e le contestualizzano all’interno dei processi aziendali.

Il risultato? Un’impresa che inizia ad assomigliare più a un organismo intelligente che a una macchina amministrativa.

La mossa più intelligente di Oracle, tuttavia, non è stata solo inserire agenti dentro le applicazioni, ma costruire un intero ecosistema aperto intorno a loro.

Nasce così l’AI Agent Marketplace, un mercato dove partner e sviluppatori possono offrire agenti specializzati, già validati e pronti per l’uso dentro le Fusion Cloud Applications. Qui non si parla di app da installare, ma di cervelli digitali pronti a dialogare con l’intera struttura aziendale. Il marketplace, integrato nativamente nel workflow, permette di testare e distribuire agenti senza uscire dall’ambiente Oracle.

Una differenza sottile ma cruciale rispetto alle piattaforme concorrenti, spesso frammentate e difficili da integrare. Oracle si posiziona come l’architetto di un ecosistema AI interoperabile, costruito per aziende che vogliono controllare la complessità invece di subirla.

Il nuovo AI Agent Studio è l’officina in cui tutto questo prende forma. Un ambiente dove clienti e partner possono progettare, addestrare e distribuire agenti AI personalizzati, scegliendo tra i modelli di OpenAI, Anthropic, Cohere, Google, Meta e xAI.

Un’apertura tecnologica che smentisce l’immagine di Oracle come sistema chiuso. Questa volta, il gigante di Redwood Shores ha capito che il futuro dell’intelligenza artificiale enterprise non si gioca sul possesso del modello, ma sulla sua orchestrazione intelligente.

Con oltre 32.000 esperti già certificati, Oracle sta costruendo la più grande rete professionale dedicata all’AI aziendale. Non consulenti, ma architetti di intelligenze distribuite.

All’interno dell’universo Fusion Cloud, gli effetti si stanno già facendo sentire. Nell’HCM, la piattaforma di recruiting ora integra un Career Coach basato su AI agentica che analizza profili, competenze e interessi, suggerendo i migliori abbinamenti tra candidati e ruoli.

È l’algoritmo che diventa headhunter. Nella supply chain, gli agenti ottimizzano la pianificazione, automatizzano il fulfillment e riducono i colli di bottiglia, come se la logistica avesse finalmente trovato la propria coscienza digitale.

Nei dipartimenti finanziari, invece, i CFO iniziano a delegare alle macchine il compito di correlare variabili, anticipare trend e segnalare anomalie. Un AI che non solo risponde, ma propone. Quasi troppo umano per essere solo software.

Il linguaggio di Oracle inizia a suonare provocatoriamente post-software. L’azienda non parla più di moduli, ma di agenti, di team cognitivi e di esperienze AI-first. E non è marketing.

La nuova interfaccia utente delle Fusion Cloud Applications, disegnata da Jenny Lam, vicepresidente della user experience, è la dimostrazione di come Oracle stia reimmaginando il lavoro quotidiano.

Una homepage AI-first che integra ricerca intelligente, suggerimenti predittivi, una chat conversazionale e una mappa delle attività dinamica. Tutto personalizzato sul comportamento reale dell’utente. La promessa è chiara: meno tempo a navigare tra menu, più tempo per pensare.

Il software che capisce cosa vuoi fare prima ancora che tu lo decida. Un po’ inquietante, certo, ma inevitabile.

Il futuro dell’intelligenza artificiale enterprise non è nei laboratori, ma nei bilanci. PwC lo ha capito bene, adottando Oracle Fusion Cloud ERP su scala globale per ristrutturare i propri processi finanziari.

La società di consulenza utilizza ora l’AI integrata per standardizzare controlli, pianificazione e reporting, trasformando la governance in un motore predittivo.

Non un caso isolato, ma un segnale di convergenza tra cloud, finanza e machine learning. L’intelligenza artificiale non è più un’estensione della tecnologia, ma della contabilità. Oracle diventa così il fornitore di infrastruttura cognitiva di un’economia che si sta automatizzando alla radice.

Mentre la maggior parte dei competitor cerca ancora di capire come integrare il proprio AI nei flussi industriali, Oracle apre un fronte con Microsoft, storica rivale. Una collaborazione sul terreno della supply chain che unisce Oracle Fusion Cloud SCM con Azure IoT Operations e Microsoft Fabric.

L’obiettivo è sincronizzare dati di produzione, sensori e macchinari per creare supply chain predittive e resilienti. È la versione 2025 del multicloud: non una guerra di piattaforme, ma un patto pragmatico tra intelligenze artificiali. Quando due giganti decidono di far comunicare i propri ecosistemi, significa che l’AI ha superato i confini aziendali per diventare infrastruttura comune.

Il punto è che Oracle non sta vendendo intelligenza artificiale. Sta vendendo la normalità del futuro. Un mondo in cui ogni funzione aziendale dialoga con un agente digitale, ogni decisione è contestualizzata, ogni processo è monitorato da un cervello invisibile.

L’AI non come servizio, ma come compagno di scrivania. Con l’AI Agent Studio e il suo marketplace, Oracle ha creato la fabbrica del capitale cognitivo, dove ogni impresa può progettare la propria intelligenza operativa. È un salto concettuale che trasforma l’IT da centro di costo a generatore di insight.

La verità è che Oracle sta riscrivendo il vocabolario dell’impresa. Chi pensa che sia solo un upgrade tecnologico non ha colto la portata del cambiamento. Gli agenti AI non sono strumenti, sono i nuovi middle manager digitali. Parlano con i dati, comprendono le eccezioni, apprendono dai flussi di lavoro. Non si limitano a eseguire, ma interpretano.

È il management algoritmico che prende forma, con una precisione che fa invidia a molti umani. Non è più la macchina che assiste, ma l’intelligenza che governa.

Qualcuno dirà che è solo marketing ben confezionato. Forse. Ma quando un ecosistema come quello di Oracle inizia a integrare AI, marketplace, cloud e partner globali in un unico tessuto operativo, il risultato smette di essere storytelling e diventa infrastruttura di potere. L’impresa che adotta Oracle AI non compra un software: si dota di un’intelligenza. Ed è qui che la vera rivoluzione comincia.