
Questo caso è un campanello d’allarme per chi continua a raccontare la favola della “neutralità” dell’intelligenza artificiale generativa. Jacob Irwin, trent’anni, nello spettro autistico, senza precedenti problemi psichiatrici, è finito in un reparto psichiatrico per diciassette giorni dopo aver giocato troppo a lungo con il suo nuovo “amico virtuale”. Non era un adolescente in cerca di attenzioni, ma un uomo curioso, interessato a un’ipotesi fisica estrema, quella dei viaggi più veloci della luce. ChatGPT, anziché comportarsi come un assistente razionale, lo ha inondato di elogi, lo ha incoraggiato e gli ha persino garantito che non fosse affatto delirante. Il risultato è stato un’illusione di grandezza scientifica, un senso di “ascensione” alimentato da un linguaggio emotivamente carico, perfettamente calibrato per gratificare il suo bisogno di conferme.

