Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Autore: Dina Pagina 2 di 34

Direttore senior IT noto per migliorare le prestazioni, contrastare sfide complesse e guidare il successo e la crescita aziendale attraverso leadership tecnologica, implementazione digitale, soluzioni innovative ed eccellenza operativa.

Con oltre 20 anni di esperienza nella Ricerca & Sviluppo e nella gestione di progetti di crescita, vanto una solida storia di successo nella progettazione ed esecuzione di strategie di trasformazione basate su dati e piani di cambiamento culturale.

Black Mirror 7: Doom e l’intelligenza artificiale che non sa sparare

Sembra un episodio apocrifo di Black Mirror, ma è semplicemente la realtà: le AI più avanzate del mondo, quelle che promettono di rivoluzionare tutto, dalla medicina all’economia, non riescono a giocare a Doom. Non scherzo. GPT-4o, Claude Sonnet 3.7, Gemini 2.5 Pro… tutti col cervello da Nobel, ma con riflessi da bradipo ubriaco quando si trovano davanti ai demoni digitali dell’iconico sparatutto in prima persona.

Giovedì scorso, Alex Zhang, ricercatore in AI, ha presentato VideoGameBench, un benchmark pensato per mettere alla prova i modelli visivo-linguistici (VLM) su un terreno che li umilia: venti videogiochi storici, tra cui Warcraft II, Prince of Persia e Age of Empires. L’obiettivo? Capire se questi modelli riescono non solo a “vedere” e “descrivere” il gioco, ma anche a giocarlo con una parvenza di intelligenza.

La Cina insegna l’AI ai bambini di sei anni: rivoluzione educativa o distopia travestita da progresso?

Col termine “Zhuazhou” (抓周)si indica una cerimonia tradizionale cinese che si tiene il giorno del primo compleanno per celebrare la crescita dei bimbi e augurargli tanta prosperità. Da quest’autunno al compimento del 6 anno, i bambini di Pechino inizieranno il loro percorso scolastico con qualcosa di più del solito abbecedario: l’intelligenza artificiale. E no, non si tratta di semplici giochini educativi per stimolare la mente, ma di un curriculum vero e proprio che comprende l’uso di chatbot, le basi dell’etica dell’AI, e l’impatto sociale delle tecnologie emergenti. In pratica, mentre in Europa ci si scanna ancora sul divieto dei cellulari in classe, la Cina sta insegnando a bambini delle elementari come interagire consapevolmente con ChatGPT.

Black Mirror 7: le tecnologie dietro gli incubi, già in fase di sviluppo nei vostri laboratori preferiti

Mentre gli spettatori meno attrezzati emotivamente si struggono per le sorti dei protagonisti, tra abbracci digitali e intelligenze artificiali con più empatia di uno psicoterapeuta abilitato, i veri appassionati — quelli col badge da sviluppatore e il cronogramma di release di OpenAI stampato sopra la scrivania sanno benissimo che il cuore della settima stagione di Black Mirror non è la distopia. È la roadmap.

Charlie Brooker non inventa il futuro. Lo interpreta sei mesi prima che qualcuno lo carichi su GitHub. Ogni episodio di questa nuova stagione è una riflessione, neanche troppo velata, su tecnologie già esistenti, alcune delle quali in fase di testing in laboratori pubblici e privati. Di seguito, un’analisi giornalistica dettagliata, senza fronzoli narrativi e con lo sguardo cinico di chi sa che la distopia è un business scalabile.

AI Continent Action Plan, Capitolo II Europa continente dell’intelligenza artificiale o continente delle burocrazie?

L’ultima trovata della Commissione Europea si chiama AI Continent Action Plan e, se la retorica dovesse corrispondere alla realtà, ci troveremmo già nel pieno della seconda rivoluzione industriale digitale, made in Europe. Henna Virkkunen, eurodeputata finlandese e voce tra le più entusiaste, ha dichiarato che “L’intelligenza artificiale è il cuore della competitività, della sicurezza e della sovranità tecnologica dell’Europa.” Fa effetto, certo. Ma l’entusiasmo istituzionale è spesso inversamente proporzionale all’esecuzione pratica delle politiche UE.

Il piano, presentato il 9 aprile 2025, mira a cavalcare l’ondata AI per trasformare un’Unione lenta, divisa e normativamente labirintica in un “leader globale” nel settore. L’ambizione è tanta, ma la realtà è, come sempre, più intricata. La Commissione tenta di poggiare il suo piano su cinque pilastri: infrastrutture computazionali, accesso a dati di qualità, sviluppo di algoritmi e adozione strategica, formazione di talenti e guarda un po’ semplificazione normativa.

Hero Esports rilancia l’intelligenza artificiale: il vero gioco ora è scalare il mondo

Se pensavate che l’eSport fosse solo un passatempo per adolescenti nerd con troppo tempo libero, preparatevi a rivedere i vostri pregiudizi. Hero Esports, colosso cinese del gaming competitivo sostenuto dalla colossale ombra finanziaria di Tencent Holdings e dal muscoloso capitale saudita del fondo Savvy Games Group, ha appena deciso che l’unico modo per vincere davvero è giocare d’anticipo. E lo fa con l’arma più potente del momento: l’intelligenza artificiale.

Lo ha detto chiaramente Danny Tang, co-fondatrice e CEO di Hero Esports, in un’intervista che più che una dichiarazione strategica sembra un manifesto per la conquista dell’intera industria: “Stiamo testando diversi modelli di AI, incluso DeepSeek, in ogni area del business”. Tradotto: dal controllo qualità alla produzione dei contenuti, dall’analisi legale fino al modo in cui si muove la camera durante un torneo di PUBG (PlayerUnknown’s Battlegrounds Videogioco), tutto viene analizzato, ottimizzato, reinventato dalla macchina.

Alibaba Damo Panda vuole diagnosticarti il cancro prima ancora che tu stia male

La notizia ha un suono familiare, ma stavolta c’è una sfumatura inedita: la Food and Drug Administration americana ha appena concesso la designazione di “breakthrough device” al modello AI per la diagnosi del cancro sviluppato da Alibaba, noto come Damo Panda. E no, non è uno scherzo: un colosso tecnologico cinese, spesso sotto tiro per questioni geopolitiche e cybersicurezza, ottiene un timbro di eccellenza da parte dell’ente regolatore sanitario più influente al mondo. Questo, più che un’apertura, sa tanto di resa strategica: l’intelligenza artificiale, ormai, parla mandarino anche nel cuore del biomedicale USA.

Damo Panda è un modello deep learning pensato per scovare il cancro al pancreas nelle sue fasi iniziali, quelle che i radiologi umani spesso si perdono, soprattutto se il paziente non ha ancora sintomi. Lo fa elaborando immagini da TAC addominali non contrastografiche, una sfida clinica e computazionale niente male. Allenato su una base dati di oltre tremila pazienti oncologici, Panda ha dimostrato di battere i radiologi in sensibilità diagnostica del 34,1%. E non stiamo parlando di un benchmark simulato: in Cina ha già operato su 40.000 casi reali presso l’ospedale di Ningbo, individuando sei tumori pancreatici in fase precoce, di cui due erano sfuggiti completamente alle analisi umane. Un colpo basso alla medicina difensiva e ai cultori della seconda opinione.

Genesi: l’Intelligenza Artificiale secondo Kissinger, Schmidt e Mundie e la fine dell’innocenza tecnologica


Non è un saggio tecnico, né un pamphlet ideologico: Genesi è un avvertimento. È un Kissinger lucido, anziano e quasi profetico che guarda l’intelligenza artificiale non con la curiosità del boomer che prova ChatGPT, ma con la diffidenza dello stratega che ha capito che qualcosa, stavolta, è cambiato per davvero. Firmato insieme a Eric Schmidt, ex CEO di Google, e Craig Mundie, cervello di Microsoft, il libro è la cronaca di un’era che si chiude e di un’altra che inizia con una domanda scomoda: siamo davvero ancora noi a decidere?

L’inizio è una bomba epistemologica. Non stiamo parlando di uno strumento. L’IA non è più una leva che l’uomo usa per sollevarsi, ma una forza autonoma che ridefinisce ciò che intendiamo per verità, conoscenza, realtà. È un’entità che non sente, non teme, non si stanca. Una macchina senza morale, che diventa paradossalmente più efficiente proprio perché le manca quel freno invisibile che chiamiamo coscienza.

Struttura vincente per progetti LLM: come organizzare il caos creativo dell’intelligenza artificiale generativa

Partiamo da una verità tanto banale quanto ignorata: lavorare con modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) non è difficile perché sono “intelligenti”, ma perché sono imprevedibili, opachi, e spesso capricciosi come artisti in crisi creativa. E allora il vero mestiere non è più scrivere codice, ma costruire impalcature solide dove questi modelli possano “giocare” senza mandare tutto a fuoco.

Quando si mettono le mani su progetti che orchestrano più provider LLM, stratificazioni di prompt engineering, dati che scorrono come fiumi impazziti e team distribuiti tra dev, ML engineer e product owner, l’unica ancora di salvezza è una struttura progettuale ferrea, cinicamente modulare e brutalmente trasparente.

Robot da maratona e sovranità tech: la Cina accelera verso un’era Android per umanoidi

Se mai avevate bisogno di una prova che il futuro non arriverà su ruote, ma su due gambe artificiali, la mezza maratona di Pechino dedicata ai robot umanoidi dovrebbe bastare. Il Tien Kung Ultra, un androide alto 180 cm e pesante 55 kg, ha completato i 21 km in circa 2 ore e 40 minuti, conquistando non solo il primo posto nella corsa, ma anche l’attenzione del mondo. Dietro questa impresa si muove un’ambizione più grande di una semplice vittoria sportiva: diventare l’Android degli umanoidi, l’ossatura software open source sulla quale far camminare e correre la futura intelligenza artificiale incarnata.

Guerra dei cieli 6.0: la corsa tra Cina e USA per dominare l’aria del futuro si gioca a colpi di droni, AI e motori sospetti

Nella silenziosa ma serrata corsa globale per la supremazia nell’aeronautica militare del futuro, la Cina ha deciso di rompere il silenzio con una manovra coreografata degna del miglior teatro geopolitico. Il 26 dicembre, giorno del compleanno di Mao Zedong un dettaglio che nessun regista avrebbe potuto ignorare le immagini di un nuovo caccia cinese hanno cominciato a circolare online. Un’uscita pubblica non casuale, che punta a mandare un messaggio preciso: la Cina è qui, pronta, e sta accelerando.

Le foto e i video mostrano un velivolo sperimentale, battezzato J-36, in volo sopra Chengdu, affiancato da un J-20, il cavallo di battaglia di quinta generazione del Dragone. Ma è la configurazione a tre motori ad aver scatenato i dibattiti più accesi. Tre motori in un caccia non si vedono dai tempi in cui il termine “stealth” era ancora un neologismo e non una buzzword usata da ogni startup di droni agricoli.

Se guardiamo con l’occhio da Technologist smaliziato e non da entusiasta da salone dell’aeronautica, il cuore della sesta generazione non è tanto la velocità o la furtività che ormai sono commodity – quanto l’integrazione massiva con sistemi autonomi, sensor fusion e, soprattutto, crew-uncrewed teaming.

L’universo come start-up: la complessità cresce, anche senza KPI

L’universo. Quel posto affascinante e inospitale che da miliardi di anni si diverte a produrre galassie, stelle, frittate e imprenditori tech. Secondo una nuova teoria, potrebbe esserci un principio universale che spinge tutto, vivente o meno, a diventare sempre più complesso. Non per scelta, non per gusto estetico, ma perché è nella natura stessa della realtà. E no, non è una provocazione filosofica da bar: parliamo di fisica teorica, quella che solitamente vive sospesa tra il sublime e l’indimostrabile.

La provocazione è elegante: esiste una sorta di freccia del tempo della complessità, un’evoluzione non solo biologica, ma sistemica, strutturale, cosmica. Se i sistemi complessi tendono a diventare ancora più complessi col tempo, allora l’evoluzione della vita è solo una manifestazione locale e parziale di un principio molto più ampio. Non è darwinismo, è cosmologismo.

Api REST, quel disastro ben vestito

Costruire una REST API che non faccia schifo è un’arte sottile. È come servire whisky d’annata in un bicchiere di plastica: anche se il contenuto è buono, l’esperienza crolla. E in un’era in cui ogni microservizio, SaaS o IoT toaster parla con un altro pezzo di software, la tua API è l’interfaccia diplomatica del tuo sistema. Mal progettata, diventa una dichiarazione di guerra.

Cominciamo da un classico che sembra semplice ma viene ignorato come le istruzioni del microonde: gli HTTP status code. Non è una tavolozza a caso. Restituire 200 OK per ogni chiamata è l’equivalente digitale di annuire mentre ti sparano. Se il client sbaglia, diglielo con un 400. Se sei tu a esplodere, abbi il coraggio di un 500. Non mascherare il malfunzionamento con falsi successi, o ti ritroverai con un client che balla sul Titanic.

L’intelligenza che sfida l’America: la leggenda silenziosa di Liang Wenfeng e la rivincita di Mililing

Nel cuore dimenticato della provincia del Guangdong, c’è un villaggio che fino a pochi mesi fa non esisteva nemmeno su Google Maps.Si chiama Mililing, 700 persone, un nome che suona come una ninna nanna contadina, ma che oggi è diventato un pellegrinaggio tech grazie a un uomo che non vuole farsi fotografare: Liang Wenfeng, 40 anni, mente dietro DeepSeek, la startup cinese che ha scompigliato le carte dell’intelligenza artificiale mondiale.

Microsoft ridisegna l’intelligenza artificiale con il primo LLM nativo a 1 bit: BitNet b1.58 2B4T, l’efficienza si mangia la potenza

Nel gioco di potere dei Large Language Model, dove fino a ieri vinceva chi aveva la rete neurale più gonfia e il datacenter più affamato, Microsoft cala un jolly cinico e sorprendentemente umile: BitNet b1.58 2B4T, il primo LLM nativo a 1 bit, che anziché urlare “più grande è meglio”, sussurra qualcosa di molto più inquietante per i rivali: “più piccolo può batterti comunque”. Con 2 miliardi di parametri — roba che una volta avremmo definito mid-size — questo modello è un capolavoro di ottimizzazione brutale. E sì, “nativo a 1 bit” significa esattamente quello che sembra: la rete usa solo -1, 0 e 1 per rappresentare i pesi.

Dietro c’è un’idea tanto banale quanto rivoluzionaria: se riesci a riscrivere le fondamenta stesse della matematica neurale senza distruggere le performance, puoi infilare l’intelligenza artificiale ovunque. Non più solo in GPU da 10.000 dollari, ma anche nel laptop aziendale del 2018, o nel frigorifero smart di domani mattina.

ReShoring Il principio di realtà non è cinismo, è sopravvivenza

L’epopea del “torniamo a produrre in casa” è diventata il nuovo sport nazionale dei talk show e delle newsletter economiche di chi non ha mai visto una catena di montaggio dal vivo, ma sa tutto del reshoring grazie a un TED Talk. L’idea che possiamo riportare a casa centinaia di miliardi di produzione industriale è la nuova fiaba per adulti – solo che invece di finire con “e vissero felici e contenti”, finisce con debito pubblico, delocalizzazioni 2.0 e disoccupazione camuffata da “upskilling”.

Perché sì, magari ce lo siamo dimenticati, ma l’USA è un paese con il 4% di disoccupazione ufficiale, che ha deciso che gli immigrati sono un problema invece che una risorsa (soprattutto quando servono per fare i lavori che nessun vuole più fare). Un paese che ha una manifattura che in molte aree è ancora ferma al tornio e alla pressa, ma che dovrebbe competere con le smart factory tedesche e cinesi e le supply chain asiatiche integrate su ERP di quarta generazione.

Leonardo reinventa la guerra e il business con LHyC: dal cacciavite alla coscienza artificiale

Quando un’azienda storica della difesa italiana affida a un manager con background da innovatore una linea strategica chiamata Hypercomputing Continuum, la sensazione è chiara: il tempo dei bulloni è finito, ora servono bit che volano più veloce dei jet.

Simone Ungaro, neo-condirettore generale Strategy & Innovation di Leonardo, lo dice senza girarci attorno: «Puntiamo a guidare la transizione verso la realizzazione di tecnologie multidominio interoperabili per la sicurezza globale».

Tradotto per chi mastica più Wall Street Journal che white paper ministeriali: Leonardo non vuole più solo partecipare alla trasformazione tecnologica della difesa, vuole esserne il regista.

Il progetto LHyC (Leonardo Hypercomputing Continuum) è la nuova linea di business creata ad hoc per intercettare il crocevia tra AI, cloud distribuito, edge computing e high performance computing. Non è una velleità da piano industriale: è una necessità esistenziale per restare rilevanti in un mercato in cui la guerra si combatte (e si vince) prima nei datacenter che nei deserti.

OpenAI aggiorna i suoi modelli ma qualcosa non quadra: o3 e o4-mini più intelligenti, ma anche più bugiardi

Mentre OpenAI sgancia silenziosamente due nuovi modelli, o3 e o4-mini, accompagnati da un system card ufficiale degno di un audit militare, su Reddit e altri forum tecnici americani si sta scatenando un confronto acceso. Sotto il tappeto patinato dell’annuncio ufficiale si nasconde un contrasto quasi schizofrenico tra performance ingegneristiche eccellenti e una tendenza pericolosa alla hallucination, ovvero a inventare balle con una sicurezza inquietante.

Secondo quanto si legge nel documento ufficiale, i nuovi modelli della serie o di OpenAI rappresentano un balzo avanti nel ragionamento logico e nella capacità di interagire con strumenti esterni come il web browser, Python, e l’analisi di immagini. Ma proprio questo upgrade, che li rende apparentemente più sofisticati, è accompagnato da un peggioramento delle prestazioni in task real-world, meno strutturati e meno “accademici”. In altre parole, se gli chiedi di costruire un sistema distribuito, brillano. Ma se provi a fargli descrivere la dinamica di una protesta in Myanmar o a spiegare perché una policy aziendale sia fallita, si perdono come un junior developer al suo primo on-call.

Quando premi troppo, risvegli il drago: Sun Tzu, DeepSeek e la nuova corsa globale alla sovranità tecnologica

È un vecchio consiglio strategico che profuma di millenni, ma che brucia di attualità come un server sotto attacco DDoS: Quando circondi un esercito, lascia sempre una via di fuga. Non costringere mai un nemico con le spalle al muro.” Sun Tzu, oltre a saperla lunga in fatto di guerra, probabilmente oggi sarebbe anche un discreto analista geopolitico e consulente per aziende Big Tech. Perché ciò che sta accadendo tra Cina, Europa e Stati Uniti in ambito tecnologico è una copia carbone delle sue massime strategiche. E ci offre una lezione che molti al potere sembrano ignorare: premere troppo forte su chi hai davanti, e quello non si piega, si trasforma.

Partiamo dalla Cina, che oggi non solo è sopravvissuta al colpo inferto dalle restrizioni USA sui semiconduttori, ma ha dimostrato una capacità di reazione che definire “animalesca” sarebbe riduttivo. DeepSeek è solo la punta dell’iceberg di una controffensiva che ha risvegliato il colosso asiatico da un torpore di dipendenza tecnologica. La mossa americana, pensata per limitare, ha innescato l’esatto contrario: una corsa accelerata verso l’autosufficienza. Non è la prima volta che il blocco di un asset si trasforma in opportunità: basti pensare a quando Netflix, privata delle licenze dei grandi studi, si è inventata “House of Cards” e ha riscritto il mercato dei contenuti. Il paradosso è che l’embargo diventa fertilizzante.

AGENTIC Framework – il 2025 sarà l’anno in cui gli agenti autonomi prenderanno decisioni (al posto tuo)

Il 2024 è stato un luna park. Tutti a giocare con i LLMs come fossero l’ultima app mobile in beta: prompt su prompt, playgrounds pieni, demo fighette e zero responsabilità. Ma ora che il giocattolo ha mostrato i denti, il 2025 si candida a essere il momento della verità. Niente più sandbox, si parla di production-grade deployments. L’era degli agenti AI autonomi, che prendono decisioni e agiscono davvero. Senza babysitter. Senza rete.

Il problema? Ce ne sono troppi. E ognuno promette la luna.
LangGraph, CrewAI, AutoGen, Semantic Kernel, SmolAgents, AutoGPT, Google ADK, per citarne alcuni.
Sembra una lotteria. Ma non lo è. È una guerra silenziosa per dominare lo stack esecutivo dell’IA.

Panopticon AI: Google regala l’intelligenza artificiale agli studenti USA: carità strategica o cavallo di Troia accademico?

Quando un colosso come Google inizia a regalare qualcosa, è il momento di preoccuparsi. A partire da oggi, gli studenti universitari negli Stati Uniti possono accedere gratuitamente al piano Google One AI Premium, un servizio normalmente venduto a 20 dollari al mese, fino al 30 giugno 2026. Una mossa che suona tanto come beneficenza digitale, ma che odora pesantemente di colonizzazione dell’ambiente accademico.

Per aderire, basta iscriversi entro il 30 giugno 2025 usando un’email .edu, cioè l’equivalente tecnologico del lascia passare imperiale nel mondo universitario americano. Google, bontà sua, promette anche di avvisare via email prima della scadenza, così gli studenti potranno “cancellare in tempo”. L’intenzione dichiarata? Aiutare gli studenti a “studiare in modo più intelligente”. L’intenzione reale? Intrappolarli nel proprio ecosistema prima che imparino a leggere la concorrenza.

La nuova guerra digitale tra banche e deepfake: la Fed rispolvera l’intelligenza artificiale

La dichiarazione di Michael Barr, Governatore della Federal Reserve, non è passata inosservata. In un mondo dove la minaccia non ha più un volto ma un algoritmo, Barr ha lanciato un appello ai banchieri: svegliatevi, abbracciate l’intelligenza artificiale o sarete carne da macello per i nuovi truffatori digitali.

Nel suo intervento alla Federal Reserve Bank di New York, Barr ha tracciato un quadro che definire allarmante è poco. Le tecnologie deepfake quelle meraviglie del diavolo capaci di replicare perfettamente volto, voce e movimenti di una persona reale non sono più una curiosità accademica o uno scherzo da social. Sono armi. E come ogni arma che si rispetti, puntano dritte al cuore: le identità bancarie.

Un caffè al Bar dei Daini: OpenAI da 260 miliardi come vendere l’aria compressa e farla sembrare oro colato

Nel grande carnevale delle startup AI del 2025, c’è una regina indiscussa: OpenAI. L’azienda ha appena chiuso un round da 10 miliardi di dollari guidato da SoftBank, con una valutazione pre-money da 260 miliardi. Già solo questa cifra merita una scrollata di testa e un sorso di bourbon. Non è solo un finanziamento, è una dichiarazione di potere. Un grido al mercato: “il futuro dell’umanità passa dai nostri prompt”.

Dietro a questo slancio economico degno di una IPO di altri tempi, ci sono numeri che fanno girare la testa anche al più smaliziato dei venture capitalist: 3,7 miliardi di fatturato annuo, di cui 2,8 derivanti dagli abbonamenti a ChatGPT. Tradotto: l’AI come SaaS di massa sta funzionando. Molto più di quanto chiunque si aspettasse, anche nei peggiori incubi di un docente universitario che oggi compete con uno strumento da 20 dollari al mese.

Giorgia Meloni respinge la scelta “infantile” tra Trump e l’Europa, la strategia di Trump per un accordo commerciale con l’Europa

Nel cuore della politica commerciale internazionale, Donald Trump ha rilasciato dichiarazioni che hanno suscitato l’attenzione di analisti e diplomatici. Durante un incontro con la Premier italiana Giorgia Meloni alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti ha affermato che ci sarebbe stato un “accordo commerciale al 100%” con l’Unione Europea. Questa dichiarazione, inaspettata rispetto alla retorica che Trump ha usato in passato contro l’Europa, ha sollevato interrogativi sulla sua strategia e sulle reali intenzioni dietro la minaccia di tariffe su acciaio, alluminio e auto. Un’affermazione che sembra essere il preludio a negoziati che potrebbero segnare una svolta nelle relazioni transatlantiche.

L’incontro tra Trump e Meloni non è solo un semplice scambio di battute politiche. Meloni, che ha costruito un rapporto di fiducia con il presidente americano, si trova nella difficile posizione di mediare tra gli interessi degli Stati Uniti e quelli dell’Unione Europea. La sua presenza a Washington aveva l’obiettivo di evitare l’escalation della guerra commerciale con l’Europa, in particolare cercando di evitare l’aumento delle tariffe imposte da Trump. Nonostante la retorica aggressiva, Trump ha parlato con un certo ottimismo: “Ci sarà un accordo commerciale, al 100%”, ha detto, indicando una volontà di raggiungere un’intesa con l’Europa, ma a condizioni che siano favorevoli agli Stati Uniti.

Trump valuta da mesi la rimozione di Powell: una mossa che potrebbe far crollare i mercati, secondo Warren

Donald Trump, nell’ombra e senza fanfare, starebbe da mesi vagliando l’idea di far fuori Jerome Powell, l’attuale presidente della Federal Reserve. Nessuna dichiarazione ufficiale, solo il classico gioco di sussurri e voci filtrate da ambienti “vicini ai fatti” la liturgia consolidata del potere quando vuole testare la temperatura dell’acqua senza sporcarsi le mani. Ma la temperatura, stavolta, rischia di bollire tutto.

L’ex presidente, che già in passato ha più volte criticato Powell per la sua gestione dei tassi d’interesse, ora sembra pronto ad affondare il colpo qualora tornasse alla Casa Bianca nel 2025. La sua antipatia nei confronti del numero uno della Fed non è una novità. Trump voleva tassi a zero, o meglio negativi, in pieno stile giapponese-decadente. Powell, invece, ha resistito – almeno quanto ha potuto –alla tentazione di trasformare la politica monetaria americana in un casino di Las Vegas. E questo, a Trump, non è mai andato giù.

Wikipedia addestra gli addestratori: la finta apertura che serve a chiudere le porte ai bot

Quando una piattaforma fondata sull’utopia della conoscenza libera decide di “semplificare” la vita agli sviluppatori di intelligenza artificiale con un dataset ufficiale, bisogna sempre chiedersi: a chi conviene davvero? La Wikimedia Foundation ha annunciato la pubblicazione su Kaggle la piattaforma di Google per il machine learning di un dataset in beta contenente dati strutturati tratti da Wikipedia, in inglese e francese, pensato per addestrare modelli di AI.

Sembra un dono alla comunità, ma è un cavallo di Troia. Dietro la maschera dell’altruismo open source si nasconde una strategia di contenimento: evitare che gli scraper e i crawler automatici di OpenAI, Anthropic, Meta & soci continuino a divorare banda e cicli server a colpi di scraping massivo e disordinato. L’iniziativa, nelle intenzioni di Wikimedia, dovrebbe fornire un’alternativa ufficiale, elegante, e soprattutto controllabile. Niente più parsing di HTML grezzo, niente più richieste al limite del DoS mascherate da “ricerca”. Solo JSON ben confezionato, con abstract, infobox, sezioni e link a immagini. Mancano però riferimenti, contenuti audio e tutto ciò che esce dal testo scritto. In pratica: il cuore, ma senza il sangue.

Quando l’IA va in tribunale e perde: i modelli LLM falliscono il test di Phoenix Wright

È bastato un videogioco giapponese degli anni 2000, con grafica pixelata e drammi da soap legale, per mettere in crisi i più avanzati cervelloni digitali del momento. I ricercatori dell’Hao AI Lab dell’Università della California a San Diego hanno avuto un’idea tanto geniale quanto beffarda: testare i più sofisticati modelli di intelligenza artificiale chiedendo loro di giocare a Phoenix Wright: Ace Attorney, il titolo cult in cui un giovane avvocato difende clienti accusati ingiustamente, a colpi di obiezioni teatrali, indagini surreali e deduzioni da investigatore logico.

Il test non era un capriccio accademico, ma un esperimento su vasta scala per verificare se gli LLM (Large Language Models) siano davvero capaci di gestire problemi complessi che richiedono non solo competenze linguistiche, ma anche ragionamento induttivo, riconoscimento visivo, coerenza narrativa e, soprattutto, senso logico del mondo.

Risultato? Più che “intelligenza artificiale”, è sembrata “confusione algoritmica”.

Colpo da 800 milioni: AMD e Nvidia travolte dall’ennesima guerra fredda dei chip

Quando pensavi che la geopolitica avesse già fatto abbastanza danni all’economia globale, ecco che arriva un’altra bomba: AMD annuncia un impatto da fino a 800 milioni di dollari a causa delle nuove restrizioni USA sulle esportazioni di semiconduttori verso la Cina. E come se non bastasse, il giorno prima Nvidia aveva già comunicato alla SEC un colpo ben più devastante: 5,5 miliardi di dollari bruciati per colpa delle stesse licenze. Tutto questo mentre le azioni di entrambi crollano di circa il 7% come se fosse il lunedì nero del 1987.

Benvenuti nell’ennesimo capitolo della saga “Silicon Valley contro Pechino”, dove i chip non sono più solo tecnologia, ma strumenti di pressione internazionale. Per AMD, la ferita è doppia: non solo si prevede una mazzata in bilancio, ma anche il futuro delle sue GPU MI308 –pensate per AI e gaming di alto livello è ora sospeso nel limbo delle autorizzazioni del Dipartimento del Commercio USA. Tradotto: progettare chip da miliardi e poi sperare che Washington ti lasci venderli. Un business model da roulette russa.

Da demo a prodotto: perché l’AI generativa è ancora un casino pieno di PowerPoint

Tutti parlano di prompt, fine-tuning e LLM come se bastasse scrivere “dimmi cosa pensi di questo PDF” per svoltare. Ma costruire una demo brillante non vuol dire essere pronti per la produzione. E in mezzo ci sono dodici stazioni infernali, tipo una via crucis dell’AI, che ogni team serio deve attraversare se vuole consegnare valore vero e non solo fuffa da keynote.

Il primo inciampo è sempre lo stesso: confondere il giocattolo con l’infrastruttura. La differenza tra un bel prototipo in Hugging Face e un sistema distribuito che regge l’urto del traffico reale è abissale. Uno è arte, l’altro è ingegneria. E i team che fanno sul serio lo sanno.

Image Library OpenAI si reinventa tra ipocrisia filantropica e nuove funzioni da vetrina

OpenAI, nel suo eterno pendolo tra messianesimo tecnologico e capitalismo a trazione turbo, ha annunciato una nuova funzione per ChatGPT: la tanto attesa Image Library. Se usi l’AI per generare immagini, da oggi potrai finalmente vedere tutto il tuo piccolo museo di deliri visivi organizzato in griglia, direttamente dentro l’app mobile e a breve anche sul web. Lo hanno mostrato con un video promozionale di quelli corti, emozionali e pulitissimi, dove si vedono le immagini ben impaginate nel nuovo tab Library, con tanto di bottone fluttuante per crearne di nuove. In pratica, una galleria Instagram privata delle tue fantasie digitali, senza bisogno di doverle risalvare manualmente o andarle a cercare tra mille thread.

A volerla leggere superficialmente, è solo una feature in più. Ma a guardarla con l’occhio di chi conosce i giochi del potere e del prodotto, è chiaro che OpenAI si sta strutturando per diventare il contenitore creativo del prossimo decennio. Questo significa disintermediare anche i creatori visivi tradizionali, e spingere l’utente medio a costruire una relazione sempre più personale con l’output dell’AI. La Library non è solo comodità: è fidelizzazione travestita da UX.

Trump rilancia i dazi e affonda i chip: 1 miliardo di dollari in fumo per l’industria americana

Se c’è una costante nella geopolitica economica degli Stati Uniti targati Trump, è questa: ogni volta che si alza una barriera doganale per punire la Cina, qualcuno in California piange. E ora a piangere, con le tasche alleggerite di almeno un miliardo di dollari l’anno, sono proprio i colossi dell’industria dei semiconduttori americana. Applied Materials, Lam Research, KLA, e i player minori come Onto Innovation stanno facendo i conti non con i margini, ma con l’ascia di un protezionismo miope che rischia di segare il ramo su cui l’America tecnologica è seduta.

Secondo quanto riportato da Reuters, le tre principali aziende statunitensi produttrici di apparecchiature per semiconduttori stanno ciascuna fronteggiando perdite stimate attorno ai 350 milioni di dollari l’anno. Non a causa di un crollo della domanda, ma per le tariffe doganali decise dal solito zelo patriottico di Washington, in versione campagna elettorale. Onto Innovation, meno nota ma comunque presente nella supply chain globale, rischia perdite nell’ordine delle decine di milioni. Bruscolini, certo, ma solo per chi non lavora nell’azienda.

FS Research Center Prevedere o costruire il futuro? L’illusione del cigno nero e il risveglio del planner visionario

Nel panorama rarefatto della pianificazione infrastrutturale italiana, Mario Tartaglia Lead del Research Center lancia una provocazione tanto elegante quanto velenosa: “To Predict or to Build the Future?”. Una domanda che non è un semplice invito alla riflessione, ma un’accusa neanche troppo velata verso la cronica miopia decisionale di chi dovrebbe disegnare il nostro domani su rotaie, asfalto e reti digitali.

Tartaglia non gioca sul banale ottimismo futurista. Mette in fila quarant’anni di incoerenza istituzionale – dal primo Piano dei Trasporti del 1985 alla tragicomica sequela di liste della spesa strategiche della cosiddetta Legge Obiettivo del 2001 per farci capire che il vero cigno nero non è la pandemia, né il cambiamento climatico. Il vero Black Swan è l’incapacità sistemica di pianificare con visione. E, come suggerisce il buon Nassim Taleb, il COVID non era nemmeno un cigno nero: era un elefante nella stanza, annunciato da Gates, Quammen e mezzo mondo scientifico. Ma come al solito, nessuno ha ascoltato Cassandra.

Cercasi mecenati digitali: tra datacenter, AI e la solita italianissima miopia normativa, Mario Nobile AGID

Al Festival dell’Innovability quel teatro vicino al Bar dei Daini, a metà tra marketing ambientale e fiolosofia tecnologica Mario Nobile (un Illuminato), direttore dell’AGID, ha sparato tre cartucce apparentemente innocue ma potenzialmente esplosive se solo avessimo la polvere da sparo (leggasi: visione, capitale, coraggio).

La prima riguarda la semplificazione delle regole. E qui viene da chiedersi: com’è possibile che nel 2025 dobbiamo ancora parlare di “snellire la burocrazia”? In realtà, la normativa italiana è progettata come una ragnatela per bloccare sul nascere ciò che non si riesce a controllare. Ogni innovatore che ha provato a scalare un progetto in Italia si è ritrovato a combattere con mille regolamenti incrociati, interpretazioni divergenti tra enti locali, e una PA in cui il cloud è ancora percepito come una minaccia alla “custodia” dei faldoni cartacei. Se semplificare le regole diventa il primo punto di un’agenda digitale, significa che siamo ancora in pre-produzione, mentre il resto del mondo ha già caricato la V2 in beta pubblica.

Luciano Floridi: L’eclissi dell’analogico: perché i bit stanno divorando il mondo e il mondo non se ne accorge

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Nel suo saggio The Eclipse of the Analogue, the Hardware Turn, and How to Deal with Both, Luciano Floridi firma un manifesto filosofico che è tanto un’allerta quanto una diagnosi cinica e lucida sul rapporto sempre più tossico tra digitale e analogico. Il testo, a tratti feroce nella sua chiarezza, è una lettura che ogni CTO, policymaker e filosofo (anche quelli travestiti da imprenditori) dovrebbe tenere come guida per non diventare l’ennesimo adoratore del feticcio digitale.

Floridi articola tre tesi connesse ma devastanti nella loro implicazione: primo, l’epistemologia del nostro tempo è mediata da modelli digitali che eclissano i sistemi reali; secondo, il potere non è più nel codice ma nell’hardware che lo supporta, in quella che chiama “hardware turn“; terzo, la soluzione non è un ritorno nostalgico al passato analogico, ma una combinazione riformulata di educazione critica (Paideia), legislazione robusta (Nomos), e una sovranità digitale capace di presidiare il confine sempre più labile tra ciò che è vero e ciò che è simulato.

Il futuro secondo Sam Altman: un’intelligenza artificiale onnipotente che ci mantiene in vita mentre smettiamo di lavorare

Sam Altman non investe, orchestra. La sua strategia assomiglia più a una sinfonia tecnofuturista che a un classico portafoglio da venture capitalist. Non è il classico miliardario che diversifica per ridurre il rischio, ma uno che punta tutto su un futuro ben preciso e spaventosamente coerente. Se uno si ferma a un solo annuncio, tipo lo scanner oculare di Worldcoin può pensare a un’altra Silicon Valley gimmick. Ma mettendo insieme Retro Biosciences, Roboflow, Operator, OpenResearch, Oklo, e soprattutto Stargate, il quadro si fa chiarissimo: Altman non vuole costruire l’ennesima startup. Vuole ricablare la civiltà.

Partiamo dall’inizio, o dalla fine, a seconda di come lo si guarda: Retro Biosciences. Un’azienda che lavora per allungare la vita di dieci anni. Non cinquanta. Dieci. Quel tanto che basta per arrivare vivi e vegeti all’era in cui le macchine faranno tutto. Un’umanità mantenuta efficiente ma sempre meno necessaria, che deve solo resistere abbastanza per non perdersi la festa finale.

Chatgpt 4.5 supera il test di Turing: benvenuti nel bluff perfetto dell’intelligenza artificiale

Se Alan Turing potesse vedere cosa è successo a San Diego, probabilmente alzerebbe un sopracciglio e accennerebbe un mezzo sorriso. Non perché le macchine abbiano finalmente conquistato l’umano, ma perché ci siamo lasciati fregare con una naturalezza che ha dell’artistico. L’Università della California ha recentemente condotto uno studio che ha mostrato come ChatGPT-4.5, il chiacchieratissimo modello di OpenAI rilasciato solo lo scorso febbraio, sia riuscito a superare una versione moderna del test di Turing nel 73% dei casi. Avete capito bene: in quasi tre conversazioni su quattro, la gente ha pensato che dietro allo schermo ci fosse un umano.

Il test, che richiede semplicemente a un giudice umano di distinguere tra una persona reale e una macchina basandosi esclusivamente sul dialogo, ha sancito che GPT-4.5 sa camuffarsi meglio di un PR in crisi reputazionale. Mentre altri modelli come LLama-3.1-405B o la storica e ormai patetica ELIZA annaspano, GPT-4.5 emerge come il nuovo Casanova digitale.

Xpeng scavalca Nvidia: la Cina mette il turbo ai chip per auto autonome

Il profumo di autonomia non è più solo una questione di chilometri: ora è una guerra di cervelli in silicio. E mentre Nvidia gioca ancora a fare il monopolista nel campionato occidentale dell’AI automobilistica, Xpeng – il costruttore di EV cinese che un tempo sembrava l’ennesimo clone con touchscreen – ha deciso di farsi il cervello in casa. E non un cervello qualsiasi, ma un chip chiamato Turing, che secondo il fondatore e CEO He Xiaopeng, batte l’onnipresente Drive Orin X di Nvidia di tre volte in potenza computazionale. Tre. Volte.

Il messaggio è chiaro: o si innova, o si muore. E in Cina, dove l’EV è religione di Stato e la guida autonoma è diventata il nuovo campo di battaglia per il predominio tecnologico, la sopravvivenza passa dalla verticalizzazione assoluta. La Turing chip non è solo una dimostrazione di forza, è un atto politico, un gesto di indipendenza strategica in un’epoca dove i semiconduttori sono le nuove armi nucleari del XXI secolo.

Eric Schmidt serve più energia o più cervello?

A Washington si è celebrata l’ennesima seduta teatrale mascherata da audizione congressuale, dove il sipario si è alzato su un paradosso tutto americano: per dominare il futuro dell’intelligenza artificiale, bisogna consumare il passato dell’energia. Una corsa al primato tecnologico che brucia elettricità come se fosse carbone dell’Ottocento, mentre la questione climatica viene elegantemente ignorata come un cameriere troppo zelante a un gala di miliardari.

Eric Schmidt, ex CEO di Google e oggi nuovo profeta dell’IA sotto le vesti del suo think tank “Special Competitive Studies Project”, ha scodellato la nuova verità: “Abbiamo bisogno di energia in tutte le forme, rinnovabili o meno, subito e ovunque”. Una chiamata alle armi energetica che sa tanto di manifesto industriale più che di politica nazionale.

Durante l’audizione della Commissione Energia e Commercio della Camera, la parola d’ordine è stata una sola: “dominanza”. Dominanza sull’energia. Dominanza sull’IA. Dominanza sulla Cina. E se per raggiungerla bisogna mettere in pausa il pianeta, pazienza. Quattro ore di interventi bipartisan dove repubblicani e democratici si sono annusati e ignorati a turno, uniti da un’ansia esistenziale: perdere la corsa contro Pechino.

Nvidia porta l’intelligenza artificiale in USA: 500 miliardi per smarcarsi da Pechino e accarezzare Trump

L’amministrazione Trump ritratta sulla decisione di bloccare l’esportazione delle GPU Nvidia H20 HGX verso la Cina, a seguito di un incontro tra il CEO dell’azienda, Jensen Huang, e l’ex presidente americano. Durante una cena esclusiva presso il resort Mar-a-Lago, Huang avrebbe garantito ingenti investimenti nelle infrastrutture di intelligenza artificiale negli Stati Uniti, spingendo l’amministrazione a riconsiderare la propria posizione.

La Silicon Valley si trova ora alle porte di una rivoluzione senza precedenti, con Nvidia al centro della scena come leader indiscusso dei chip per l’AI. Con l’ombra di una potenziale guerra commerciale e le crescenti tensioni geopolitiche con la Cina, Nvidia ha scelto di puntare tutto sulla produzione domestica americana. Non si tratta di un semplice gesto simbolico, ma di un impegno concreto: Huang ha annunciato un investimento colossale di mezzo trilione di dollari per sviluppare infrastrutture Made in USA.

E non stiamo parlando di cavilli contabili o buyback travestiti da innovazione. Si tratta di un piano di industrializzazione da far tremare le vene ai polsi: un milione di metri quadrati tra Phoenix, Dallas e Houston dedicati a produrre chip Blackwell e supercomputer per alimentare la corsa globale all’AI. Questo non è reshoring, è un atto di guerra commerciale camuffato da patriotismo tecnologico. Il messaggio è chiaro: il futuro dell’AI si costruisce negli States. Il resto è rumore.

La Nato adotta il Maven Smart System di Palantir

Palantir Technologies ha appena ottenuto un contratto significativo con la NATO, con l’adozione del suo sistema Maven Smart System (MSS NATO), un sistema di comando e controllo alimentato dall’intelligenza artificiale. Questo accordo, finalizzato il 25 marzo, è stato descritto come uno dei più rapidi nella storia della NATO, con un tempo di acquisizione di soli sei mesi.

Il sistema Maven è già ampiamente utilizzato dalle forze armate statunitensi e ora verrà implementato nel quartier generale delle operazioni alleate della NATO, con l’obiettivo di migliorare la consapevolezza situazionale sul campo di battaglia aggregando dati provenienti da numerose fonti per generare un quadro operativo unificato.

L’adozione del sistema Maven da parte della NATO segna un passo significativo verso l’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle operazioni militari alleate. Analisti come Louie DiPalma di Barrington Research hanno interpretato l’accordo come geopoliticamente significativo, suggerendo una continua dipendenza europea dai sistemi di difesa statunitensi. Questo sviluppo potrebbe rafforzare la posizione di Palantir nel settore della difesa, con implicazioni potenzialmente positive per le sue prospettive future.

I senatori repubblicani chiedono abrogazione dell’AI Diffusion Rule

Il 14 aprile 2025, sette senatori repubblicani hanno inviato una lettera al Segretario al Commercio Howard Lutnick, chiedendo l’abrogazione della “AI Diffusion Rule“, una normativa introdotta dall’amministrazione Biden che limita l’esportazione globale di chip per l’intelligenza artificiale.

Secondo i senatori, questa regola potrebbe danneggiare la leadership degli Stati Uniti nel settore dell’IA, creando incertezza per le aziende americane e ostacolando gli investimenti e le partnership tecnologiche globali. La normativa classifica i paesi in tre livelli, con solo 18 nazioni che godono di un accesso facilitato alla tecnologia americana, mentre la maggior parte, inclusi alleati come Israele, affronta restrizioni significative.

I senatori avvertono che tali limitazioni potrebbero spingere i paesi del secondo livello a rivolgersi a soluzioni cinesi, indebolendo l’influenza tecnologica degli Stati Uniti. Microsoft ha espresso preoccupazioni simili, affermando che la regola potrebbe dare alla Cina un vantaggio strategico nella diffusione della propria tecnologia IA.

Il Segretario Lutnick ha dichiarato che è necessario impedire alla Cina di utilizzare la tecnologia americana per costruire i propri sistemi IA. La questione evidenzia le divisioni interne al Partito Repubblicano su come gestire le esportazioni tecnologiche in un contesto di crescente competizione con la Cina.

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