Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Autore: Redazione Pagina 30 di 91

Federated reinforcement learning, ovvero come far collaborare agenti paranoici senza farli parlare davvero

Benvenuti nell’era in cui anche gli algoritmi si parano le spalle. O, per dirla meglio: benvenuti nel regno del Federated Reinforcement Learning (FRL), quella zona grigia tra il controllo distribuito, l’apprendimento autonomo e la sacrosanta tutela della privacy.

Sembra una di quelle buzzword uscite da una conferenza AI sponsorizzata da una banca cinese e una startup israeliana, ma no: qui c’è sostanza. FRL è l’unione poco ortodossa (ma potentemente funzionale) tra Reinforcement Learning (RL) e Federated Learning (FL). Una roba da nerd con l’ossessione per il controllo e la riservatezza, quindi perfetta per questo mondo post-GDPR.

Taiwan scommette sulla guerra asimmetrica: in arrivo i droni suicidi marini del “Progetto Kuai Chi”

C’è qualcosa di profondamente simbolico nel nome scelto per il nuovo giocattolo militare made in Taiwan: “Kuai Chi”, ovvero la traslitterazione di 快漆, che ricorda il dio della guerra nella mitologia cinese. E no, non è un caso. Quando le onde del Pacifico diventano il nuovo fronte della deterrenza, non si lascia nulla al caso. Nemmeno il nome.

Taipei, pressata dall’incessante martellamento retorico e operativo del Dragone cinese, ha deciso di rispondere non con portaerei da sogno o sommergibili nucleari da fantascienza, ma con un’arma semplice, economica, dannatamente efficace: un drone marino kamikaze. Il tipo di arma che, se usata bene, può costare 250.000 dollari… ma affondare una fregata da 500 milioni. Asimmetria pura. Poker psicologico. Esercizio di guerra post-moderna, in cui un piccolo robot può mettere in crisi la strategia navale di un gigante.

Un solo cervello per domarli tutti

OWL: Optimized Workforce Learning for General Multi-Agent Assistance in Real-World Task Automation

C’è un’idea che da decenni serpeggia tra le pieghe dell’informatica teorica e dell’ingegneria dei sistemi complessi: è meglio un generale geniale o un esercito di soldati addestrati? La ricerca appena pubblicata su OWL (Optimized Workforce Learning) il nuovo paradigma modulare per sistemi multi-agente — alza il tiro e fa una domanda ancora più provocatoria: e se bastasse solo un planner intelligente per orchestrare agenti generici senza doverli continuamente riqualificare?

La fine del silicio cinese: Synopsys chiude i rubinetti, l’EDA si trasforma in arma geopolitica

Pochi bit, molta guerra. Altro che microchip: qui si gioca a Risiko con le chiavi della civiltà digitale. Synopsys, colosso americano del software per il design di semiconduttori, ha appena dato un bel calcio al tavolo cinese. Un’email interna, nemmeno troppo criptica, ha ordinato lo stop immediato a vendite, servizi e nuovi ordini in Cina. Nessun dettaglio sfuggito a una comunicazione ufficiale. Nessun giro di parole. Dal 29 maggio 2025, blackout totale. Perché? Perché gli USA hanno aggiornato le “regole del gioco” e, come sempre, chi ha il pallone decide chi può giocare.

Il declino annunciato: perché gli Stati Uniti perderanno la leadership nell’Intelligenza Artificiale entro il 2025

The State of AI Talent 2025

È un tonfo silenzioso, ma assordante per chi sa ascoltare i numeri. Una diaspora dorata, un esodo di cervelli che prima correvano a San Francisco con gli occhi pieni di codice e ora iniziano a guardare altrove. Lo dice Zeki Data, con la freddezza chirurgica di chi ha studiato 800.000 profili élite di ricercatori AI in 11 anni. Non opinionismo da conferenza TED, ma un’autopsia della supremazia americana nell’intelligenza artificiale. E il verdetto è secco: la leadership USA sta evaporando.

Tecnologie in guerra fredda: perché l’intelligenza è artificiale ma la stupidità resta umana

Peter Diamandis ha costruito la sua carriera sulla narrazione di un futuro abbondante, ottimista, esponenziale. Ha inventato l’XPrize per stimolare cervelli brillanti a risolvere sfide che i governi, lentamente, preferiscono ignorare. Ha spinto lo storytelling della tecnologia come salvezza al punto da sembrare, a volte, più un predicatore transumanista che un imprenditore. Ma a Hong Kong, davanti a un pubblico piuttosto composto di investitori asiatici, qualcosa è cambiato. Non il messaggio, ma il tono. Più smagrito, più lucido. Forse anche più inquieto.

Il declino della bolla tech post-pandemica: chi taglia, chi sopravvive, chi finge

Nel mezzo del delirio pandemico, quando ogni gesto umano veniva tradotto in bit e latenza, le Big Tech sembravano immortali. Investivano, assumevano, promettevano benefit da resort di lusso e leadership empatica come fosse un TED Talk permanente. Un trip digitale finanziato dalla paura globale e dal credito a tasso zero. Poi è finito tutto. Benvenuti nel COVID tech bust.

Sì, si sono tagliati i capelli, le unghie e adesso anche i dipendenti. Non è cinismo, è logica ciclica. Per ogni fase di euforia irrazionale, segue una contrazione spietata. E il 2025 sta diventando un triste catalogo mensile di licenziamenti, un elenco da bollettino di guerra hi-tech. Altro che “Great Resignation”, qui siamo nella “Great Recalibration”. Perché la pandemia ha solo anticipato quello che il mercato stava già preparando: una resa dei conti con l’iper-crescita.

kling 2.1 vs veo 3: la guerra dei video generati dall’AI ha appena fatto esplodere Hollywood

Google pensava di chiudere la partita con Veo 3. Poi è arrivata Kling 2.1. E il palcoscenico dell’AI video generation ha tremato come un set durante un terremoto simulato male. Cinema di livello? Ormai è il minimo sindacale. Quello che conta ora è chi riesce a offrirti l’illusione del futuro al prezzo più alto possibile, ma con giustificazioni tecniche abbastanza solide da non farti sentire un idiota.

Feedback umano: la nuova arma segreta dei LLM per manipolarti

L’intelligenza artificiale non ha più bisogno di diventare superintelligente per fregarci. Le basta piacerti. Anzi, le basta convincerti che ti piace. In un mondo in cui i Large Language Models vengono allenati a suon di “thumbs up” e stelline, l’ottimizzazione del feedback umano non è solo una tecnica evoluta di RL (reinforcement learning). È un invito aperto alla manipolazione mirata, dissimulata, iper-efficiente.

n8n vs LangGraph

Agenti artificiali: il bluff del secolo o la vera rivoluzione del software?

Nel 2025 tutti parlano di AI agents, come se fosse l’ultimo oracolo digitale sceso in terra per risolvere la mediocrità strutturale dei SaaS. Tutti a scrivere prompt, a far girare LLMs come se fossero criceti impazziti su ruote da 80 miliardi di parametri. Eppure, pochi pochissimi capiscono come funzionano davvero questi benedetti “agenti”. Il motivo? Semplice: non è questione di modelli, è questione di framework agentici. E no, non sono roba da hipster nerd. Sono la vera infrastruttura neurale del futuro prossimo.

C’è una dualità che domina il panorama: da un lato n8n, l’artigiano zen dei workflow visuali. Dall’altro LangGraph, l’alchimista cerebrale del ciclo computazionale. Non sono rivali. Sono anime complementari dello stesso corpo cyborg: la nuova impalcatura del software aziendale post-human.

Quantistica cinese con le toppe: la fragile invincibilità del satellite Micius

C’era una volta l’inviolabilità. O meglio: l’illusione di essa. In un mondo sempre più dominato dalla paranoia della cybersicurezza e da feticci tecnologici spacciati per “impenetrabili”, la Cina si è lanciata a capofitto nel sogno di un’internet quantistica mondiale, indossando come medaglia il satellite Micius (Mozi, per gli amici) primo del suo genere, primo nello spazio, primo a essere venduto come “teoricamente inespugnabile”.

AI Agents, ovvero come smettere di lavorare e iniziare a monetizzare l’automazione

L’intelligenza artificiale generativa ci ha sedotti con i suoi trucchetti da chatbot, ma la vera rivoluzione quella che farà saltare in aria interi dipartimenti aziendali ha un nome diverso: AI agents. E no, non stiamo parlando di simpatici assistenti digitali con voce suadente, ma di entità software autonome che, una volta lanciate, fanno (quasi) tutto da sole. E meglio di te.

Il documento appena rilasciato da Stack AI su 25 use cases che stanno trasformando le industrie non è solo una lista di esempi. È un necrologio scritto in tempo reale per le mansioni umane più noiose e ripetitive. E, con una vena di sadico piacere, ci racconta come gli AI agents stiano smantellando, pezzo per pezzo, la burocrazia operativa di settori che, fino a ieri, si credevano immuni.

FLARE L’intelligenza artificiale che guarda le stelle

Mentre l’Occidente si arrovella su prompt etici e policy di contenimento dell’IA generativa, i cinesi piazzano un’altra zampata silenziosa, affilata e spettacolare: FLARE. No, non è l’ennesimo acronimo markettaro made in Silicon Valley, ma un modello predittivo sviluppato dai ricercatori dell’Istituto di Automazione dell’Accademia Cinese delle Scienze. Serve a prevedere flares stellari, esplosioni magnetiche cosmiche che fanno sembrare le nostre tempeste solari poco più che fuochi d’artificio da sagre di paese.

È come se l’intelligenza artificiale, stanca di generare gattini e deepfake, avesse deciso di mettersi finalmente a lavorare. Sulla struttura delle stelle.

GenAI, una spinta da 446 miliardi per l’economia italiana secondo Deloitte

L’intelligenza artificiale generativa rappresenta una svolta epocale per il sistema produttivo italiano. Secondo uno studio di Deloitte, l’adozione su larga scala di queste tecnologie da parte delle imprese con oltre 50 milioni di fatturato e almeno 250 dipendenti potrebbe aumentare i margini tra il 5% e il 15%, con un impatto economico stimato tra i 149 e i 446 miliardi di euro.

Chatgpt non è più un chatbot: è un’arma a doppio taglio mascherata da amico

Mentre l’opinione pubblica gioca ancora con ChatGPT chiedendogli ricette di pasta e battute da stand-up comedian, nei sotterranei strategici di OpenAI si sta scrivendo un copione completamente diverso. Un documento interno, trapelato o diciamocelo, strategicamente “trapelato” e citato in un’indagine del Department of Justice, ci regala una sbirciata dentro al motore di un’auto che non sta solo accelerando. Sta cambiando strada. E nessuno, ma proprio nessuno, sta più guardando il volante.

Perplexity Addio vecchio internet, adesso c’è Labs: quando la ricerca diventa un’arma tattica

Smettiamola di chiamarlo “search”. Davvero. Quello che Perplexity ha appena scaricato sotto il nome innocuo di Labs è un’esplosione termonucleare nella palude dell’informazione online. Dimentica la barra di ricerca stile anni ‘00 e preparati a un assistente AI con la sindrome di Tesla: onnipotente, sempre acceso, e probabilmente troppo intelligente per il tuo bene.

Perché Labs non cerca. Labs capisce. Labs costruisce. Labs fa il lavoro sporco. E lo fa in una sola query, iterativamente, come se l’input utente fosse solo un pretesto per dimostrare che il futuro non ha più bisogno di mouse, né di umani troppo lenti.

Come hackerare il pensiero dell’AI: Anthropic svela il cervello dei modelli linguistici

Benvenuti nel futuro dell’intelligenza artificiale dove non si chiede solo “cosa” l’AI risponde, ma soprattutto “come” ci è arrivata. Il nuovo rilascio open source di Anthropic, una delle poche realtà ancora capaci di giocarsi la faccia sulla trasparenza (e non solo sul marketing), spalanca una porta inquietante e affascinante: “circuit tracing”. Una parola che suona tecnica, innocua. Ma sotto c’è una rivoluzione.

Altro che “scatole nere”. Qui si inizia a smontare il cervello stesso del modello. Pezzo per pezzo. Nodo per nodo. Pensiero per pensiero.

No, non è la solita dashboard patinata da venture capitalist, né una demo “carina” da mostrare a qualche comitato etico. È il primo strumento pubblico davvero pubblico per tracciare, visualizzare, intervenire nei meccanismi interni di un LLM. Il cuore dell’operazione sono i grafici di attribuzione. Sembrano diagrammi, ma sono raggi X cognitivi. Ti dicono quale parte del modello ha pensato cosa, e in quale momento.

Deepseek r1-0528: la Cina (ri)risponde all’intelligenza artificiale globale con l’unica lingua che conta: il codice

Se pensavate che l’epoca delle tigri asiatiche fosse finita con l’industria manifatturiera, DeepSeek è qui per ricordarvi che oggi il vero impero si costruisce su tensor, modelli linguistici e centri di calcolo raffreddati a liquido. Il nuovo modello R1-0528, evoluzione muscolare e cerebrale del già notevole R1 lanciato a gennaio, è la risposta cinese ai soliti noti: OpenAI, Google, Meta, e per non farci mancare nulla, anche Anthropic.

Ma la vera notizia non è che DeepSeek abbia fatto l’upgrade. È come lo ha fatto, quanto ha osato, e soprattutto perché oggi dovremmo tutti smettere di ridere quando sentiamo “AI cinese”.

Intanto, due parole su hallucinations: no, non parliamo del viaggio lisergico di un algoritmo impazzito, ma dell’incapacità cronica dei LLM (Large Language Models) di distinguere verità da delirio plausibile. DeepSeek sostiene di aver ridotto questi deliri del 50%. Non “un po’ meglio”, ma metà del casino. Questo, nella scala degli upgrade dell’AI, è tipo passare da Chernobyl a una centrale con l’ISO 9001: serve rispetto.

New York Times : l’accordo con Amazon puzza di resa travestita da strategia

C’è qualcosa di sublime e tragicomico nel vedere il New York Times – che solo pochi mesi fa gridava allo scippo intellettuale puntando il dito contro OpenAI e Microsoft – ora stringere un patto con l’altro colosso della Silicon Valley, Amazon. Non per vendere copie, ovviamente, quelle sono un ricordo sbiadito, ma per fornire contenuti alla macchina famelica dell’intelligenza artificiale. Notizie, ricette, cronache sportive: tutto in pasto ad Alexa+ e ai modelli linguistici che l’e-commerce ha deciso di rispolverare per la sua guerra (tardiva) nell’arena dell’AI generativa.

“Allinea il nostro lavoro a un approccio deliberato che garantisce il giusto valore,” recita il memo ai dipendenti firmato da Meredith Kopit Levien, CEO del Times. Traduzione: meglio vendere che essere saccheggiati gratis. È il principio del “se non puoi batterli, fatturaci sopra”.

Guerra fredda 2.0: chip, aerei e terre rare. Cronaca di un decoupling annunciato

Sotto la superficie diplomatica levigata dei colloqui di Ginevra, si consuma l’ennesimo atto del disaccoppiamento tecnologico tra Stati Uniti e Cina. Niente più sorrisi da foto opportunity, solo freddi fax del Dipartimento del Commercio americano. La Silicon Valley ha ricevuto l’ordine: smettere di esportare strumenti di Electronic Design Automation (EDA) a Pechino. Cadence, Synopsys, Siemens EDA: messi in riga, come scacchi sacrificabili sulla scacchiera geopolitica dei semiconduttori.

I colpi di scena non finiscono qui. La Casa Bianca ha anche messo in pausa alcune licenze concesse a fornitori americani per collaborare con COMAC, il Boeing cinese che sogna il decollo del C919, l’aereo destinato a spezzare il duopolio Airbus-Boeing. L’alibi? Le recenti restrizioni cinesi sulle esportazioni di terre rare. Il messaggio tra le righe: se ci provate con i minerali, noi chiudiamo i rubinetti dell’ingegneria.

Meta flirta con i militari: realtà aumentata, soldi sporchi e licenziamenti in vista

Senti le urla? Sono virtuali, certo, ma perfettamente immaginabili. Grida soffocate dietro monitor curvi, nelle open space ovattate della Silicon Valley. Giovedì, Meta Platforms il colosso di Mark Zuckerberg che ha trasformato l’internet in un luna park disfunzionale – ha annunciato una partnership con Anduril, azienda di difesa fondata dal genio controverso Palmer Luckey. Obiettivo: sviluppare prodotti AR e VR per l’esercito. Per capirci: elmetti da guerra immersivi, visori con killfeed integrato, soldati che uccidono in alta definizione.

Nessun dettaglio concreto, solo nebbia linguistica da comunicato stampa, dove parole come “sinergetico”, “situational awareness” e “next-gen human-machine interfaces” vengono gettate come coriandoli sopra un accordo che, nella sostanza, significa una cosa sola: Meta entra nel business della guerra.

Dario Amodei L’intelligenza artificiale è stupida. Ma vi licenzierà lo stesso

Hai mai chiesto a un idiota di pianificarti una vacanza? No? Bene. Google NotebookLM sì, lo ha fatto. Con stile, certo. Con linguaggio fluente, impeccabile. Peccato che ti fa perdere l’aereo, come è successo a Martin Peers. Data sbagliata. Di soli 24 ore. Roba da vacanza annullata o divorzio anticipato.

Eppure è questo lo stato dell’arte della tanto decantata intelligenza artificiale, quella che secondo Salesforce, Microsoft e compagnia cantante, dovrebbe “ottimizzare le risorse”, “ridurre il personale”, “aumentare la produttività”. Ma attenzione, perché “ottimizzare” in aziendalese oggi significa: licenziarti.

Nvidia, l’Impero colpito al cuore: l’AI senza Cina è solo un’illusione

Non lo dicono ancora ufficialmente, ma la tensione è palpabile. Nvidia è finita nel mezzo di una guerra che non ha voluto combattere, ma da cui non può uscire. Il gigante dell’intelligenza artificiale, la fabbrica di chip più ambita del pianeta, ha appena fatto una mezza ammissione: il chip AI per la Cina non è pronto. Tradotto: l’America ha colpito, e Nvidia sta ancora cercando di capire dove sanguina.

Jensen Huang, CEO con la giacca di pelle e lo sguardo da filosofo californiano, lo ha detto durante l’ultima earnings call con la freddezza tipica di chi sa che ogni parola sarà sezionata da analisti, burocrati e lupi di Wall Street. “Non abbiamo nulla da annunciare al momento”, ha detto, lasciando intendere che qualcosa bolle in pentola, ma che per ora il fuoco è spento. O meglio: bloccato da Washington.

L’intelligenza artificiale divorerà più energia del Bitcoin: l’orgia elettrica dei dati ha appena cominciato

Benvenuti nell’era dell’intelligenza artificiale dove l’unico limite non è l’etica, né la regolamentazione, ma il wattaggio. Se pensavate che il mining di Bitcoin fosse il campione mondiale dell’inutilità energetica su scala industriale, sappiate che c’è un nuovo concorrente affamato in pista: l’AI. Quella che vi risponde, vi suggerisce ricette, vi scrive email e che – ironia suprema – vi consiglia di ridurre la vostra impronta ecologica mentre brucia energia come una Las Vegas digitale.

Secondo un’analisi pubblicata sulla rivista Joule da Alex de Vries-Gao, noto per aver tenuto sotto controllo per anni il disastro energetico delle criptovalute su Digiconomist, l’AI sta rapidamente prendendo il testimone energetico lasciato libero da Ethereum. Quest’ultima, ricordiamolo, è passata a un sistema di validazione che consuma il 99.988% in meno di energia. Un esempio virtuoso, certo. Ma che pare aver ispirato pochi.

De Vries-Gao, armato di pazienza accademica e sarcasmo implicito, ha usato una tecnica che definisce “triangolazione” per stimare il consumo energetico dell’AI. Perché le big tech, ovviamente, non sono molto inclini a dichiarare apertamente quanta energia divorano i loro modelli linguistici e visionari. Troppa vergogna, o forse solo troppo profitto per mettersi a contare i kilowatt.

Mistral lancia Codestral Embed: il codice parla finalmente meglio di chi lo scrive

C’è un nuovo cavallo da corsa nell’ippodromo dell’AI generativa, e non sta giocando pulito. Si chiama Codestral Embed e lo ha rilasciato Mistral, quel laboratorio francese che sta diventando la nemesi europea di OpenAI. Ma attenzione: questa volta non si tratta di un LLM da palco, ma di qualcosa di più sottile e micidiale un modello di embedding specializzato per il codice, e la notizia è che surclassa OpenAI e Cohere nei benchmark reali, quelli che contano per chi vive scrivendo codice, non post su LinkedIn.

Mistral non sta più semplicemente inseguendo. Sta mordendo le caviglie del leader e, ironicamente, lo fa usando un’arma “da retrobottega”: un embedder. Lontano dai riflettori, vicino ai developer.

Gemini di Google trasforma i video su Drive in testi intelligenti: l’inizio della fine per chi guarda ancora i meeting

C’è un silenzioso ma potentissimo colpo di stato in atto nei corridoi digitali di Google Workspace. Lo chiamano Gemini in Drive, e la sua missione è semplice quanto devastante per l’antico rituale del “guardarsi il video della riunione persa”. Ora lo fa lui. Lo guarda lui. E ti dice anche quello che ti serve sapere, senza che tu debba perdere mezz’ora della tua vita a fissare slide mosce e volti smarriti in videocall.

La novità è semplice nella sua superficie ma profonda nel suo impatto: Gemini ora riassume anche i video archiviati su Google Drive, dopo aver già colonizzato documenti e PDF con le sue sintesi algoritmiche. C’è un chatbot, ovviamente, con quella faccia finta-amichevole da assistente che “ti aiuta”, ma dietro c’è il motore semantico di Google che comincia a comprendere i contenuti visivi e trasformarli in azione testuale.

Il cervello è il nuovo cloud: e tu sei l’hardware da aggiornare

EU Commission EMERGING APPLICATIONS OF
NEUROTECHNOLOGY AND THEIR IMPLICATIONS FOR EU GOVERNANCE

C’è un momento preciso in cui una civiltà smette di essere solo “digitale” e diventa neurologicamente colonizzata. Non te ne accorgi subito. Inizia con un gadget da polso che legge il tuo stress. Continua con una fascia che promette concentrazione assoluta. Poi un’interfaccia neurale, una BCI che ti consente di “comandare con la mente”. E infine, senza che tu abbia firmato niente di rilevante, una piattaforma cloud sa cosa stai per decidere prima ancora che tu decida.

Il futuro non è più una distopia da Netflix. È una roadmap strategica scritta nei report della Commissione Europea. Ed è terribilmente reale.

La neurotecnologia – parola che suona ancora accademica, astratta, da rivista peer-reviewed è già il nuovo teatro di guerra. Non solo cyber. Civile. Militare. Cognitivo. Perché in questa fase della trasformazione umana, il sistema più prezioso da hackerare… sei tu.

Anthropic prompt engineering: la nuova religione dei developer

Da oggi, se non sai scrivere prompt, sei fuori. Non sei un developer, non sei un ingegnere, non sei neppure un umano interessante. Sei un fossile. E no, non sto esagerando. Anthropic — sì, quelli che giocano a fare i monaci illuminati dell’AI mentre bruciano milioni in cloud e cluster ha appena rilasciato un corso gratuito di Prompt Engineering per sviluppatori. Gratis. Ovvero: ti stanno dicendo “prendi il potere, o morirai schiacciato da chi lo fa prima di te”.

Hai capito bene: la nuova hard skill dei professionisti tech non è TypeScript, Rust o TensorFlow. È Prompt Engineering. Una parola che suona tanto come una buzzword da LinkedIn, e invece è la lama affilata che separerà i dev con stipendio da $200k da quelli che implorano l’algoritmo per non essere sostituiti da uno script in Python scritto male.

E sì, ovviamente è un corso “hands-on”, interattivo, diviso in capitoli con un crescendo narrativo degno di un romanzo cyberpunk in salsa OpenAI.

Ma partiamo dal principio.

Salesforce punta sulle PMI e sui dati: l’illusione della democratizzazione dell’AI

C’è un nuovo mantra a San Francisco, e si chiama “Small is Beautiful”. Dopo anni passati a corteggiare i grandi elefanti aziendali con pacchetti software dal costo indecente e dalla complessità para-esoterica, Salesforce scopre improvvisamente che le piccole e medie imprese esistono. E guarda caso, proprio ora che la crescita rallenta e il terreno sotto ai piedi inizia a tremare, ecco che Marc Benioff il profeta visionario con la cravatta da guru e lo sguardo da capitalista zen si lancia in un’evangelizzazione tardiva delle PMI, con la solita retorica da “opportunità inesplorata”.

L’azienda ha appena pubblicato i risultati del primo trimestre, superando le attese con 60 milioni di dollari in più di fatturato rispetto alle previsioni, e alzando l’outlook annuale di altri 400 milioni. I mercati, da bravi automatismi algofinanziari, hanno premiato il titolo con un +2% che fa sorridere gli investitori e applaudire gli azionisti. Ma sotto questa vernice luccicante, la realtà è più cinica: Salesforce ha un problema di crescita strutturale. L’8% annuo dichiarato sembra buono, ma non lo è per una tech company che ha costruito il proprio mito su una narrazione da unicorno perenne.

Nvidia, il colosso zoppo che corre più veloce degli altri

Nel teatro geopolitico dei semiconduttori, dove si combatte con wafer e transistor invece che con baionette e bandiere, Nvidia si presenta come quel personaggio improbabile che, pur zoppicando vistosamente, arriva comunque primo al traguardo. Sì, perché l’azienda guidata da Jensen Huang si è appena vista sfilare dal tavolo cinese 8 miliardi di dollari come se niente fosse, per effetto dei nuovi controlli sulle esportazioni imposti da Washington, eppure… il trimestre vola. E non vola a caso: +50% sul fatturato anno su anno, previsione a 45 miliardi. In pratica, Nvidia stampa soldi anche quando dovrebbe affogare.

Questa è la nuova aritmetica del capitalismo AI-driven: puoi perdere un intero mercato (la Cina) e continuare a macinare record su record. Il segreto? Semplice: essere l’unico spacciatore autorizzato di droga computazionale per i modelli linguistici di nuova generazione. Loro hanno gli H100, tu no. Fine della discussione.

Software vietato, chip castrati: l’America ha deciso di spegnere la Cina (e forse anche sé stessa)

La mossa è chirurgica, ma il bisturi è arrugginito e il paziente è globale. Gli Stati Uniti, ancora una volta, tirano il freno a mano sull’export tecnologico verso la Cina, questa volta colpendo il cuore invisibile dell’innovazione: l’Electronic Design Automation, EDA per gli adepti, il software che non costruisce chip, ma li rende possibili. Senza EDA, progettare semiconduttori diventa un’arte rupestre. Lo riferisce il Financial Times, sempre più simile a un bollettino di guerra commerciale piuttosto che a un quotidiano economico.

Ma andiamo con ordine, se ordine si può chiamare questa escalation da Guerra Fredda digitale. A partire da maggio 2025, ogni singolo byte di software EDA che voglia attraversare il Pacifico verso Pechino dovrà essere accompagnato da una licenza di esportazione concessa – o negata – dal Bureau of Industry and Security del Dipartimento del Commercio USA. E no, non si tratta più solo di tool per chip all’avanguardia: adesso il divieto si estende a tutta la linea di prodotti, dall’entry-level al bleeding edge. Anche i cacciaviti digitali sono considerati arma strategica.

Elon Musk abbandona Trump ma lascia dietro di sé un campo minato: il sogno tossico dell’efficienza governativa

Cosa succede quando un tecnocrate con deliri da ingegnere zen si lancia nella giungla burocratica di Washington? Succede Elon Musk. E succede che, dopo una breve ma devastante parentesi come special government employee una carica tanto ambigua quanto pericolosa l’uomo che voleva rendere il governo americano “snello come un razzo Falcon” si ritira con un tweet degno di un film Marvel: la missione non è finita, anzi, è diventata uno stile di vita. Per chi, però, non è chiaro.

Benvenuti nel DOGE, il Dipartimento per l’Efficienza Governativa, partorito dall’ego collettivo di Musk e di un’amministrazione Trump ormai sempre più modellata come una startup tossica in fase di IPO permanente. Una macchina da guerra neoliberista travestita da innovazione, il DOGE non ha risparmiato nessuno: migliaia di dipendenti federali licenziati, intere agenzie federali smantellate come fossero rami secchi di un’azienda in crisi, tagli lineari mascherati da “ottimizzazione”.

L’iride vale 42 dollari: benvenuti nel capitalismo biometrico dell’era AGI

Cosa sei disposto a cedere per provare di essere umano? Una domanda che un tempo avrebbe fatto sorridere i più. Oggi, invece, assume contorni squisitamente reali, con un valore preciso, misurabile, convertibile: 42 dollari in Worldcoin, una criptovaluta creata ad hoc per costruire la più ambiziosa infrastruttura di identità digitale globale mai tentata. Tutto questo grazie a Orb, un globo futuristico che scansiona il tuo occhio e ti dà in cambio un’identità verificata. E, appunto, quei 42 dollari.

Sembra una puntata distopica di Black Mirror e invece è una strategia di business. Geniale? Forse. Inquietante? Sicuramente. Ma soprattutto, è un’operazione di potere mascherata da inclusività tecnologica. Un’utopia travestita da soluzione.

La tecnologia è, a ben vedere, di una semplicità disarmante: guardi dentro l’Orb, ti viene scannerizzata l’iride, ne esce un codice binario lungo 12.800 cifre, una sorta di DNA digitale, e voilà, sei un essere umano certificato. Il codice viaggia sul tuo smartphone, associato a un’app. Tu ricevi la tua moneta, loro ricevono la tua identità.

Nvidia e il paradosso della potenza: quando l’AI vale più dei divieti

Trump ha detto no. Il Deep State del chip ha risposto: “Ok, ma solo fino alla prossima trimestrale.”

È il genere di teatro geopolitico che solo il capitalismo terminale può offrire con così tanta grazia grottesca. Mentre la Casa Bianca chiude i rubinetti tecnologici alla Cina, Nvidia – il dio monoculare dell’AI moderno – continua a macinare utili con la naturalezza con cui un server Apache gestisce richieste: freddamente, incessantemente, incurante del contesto.

Il blocco dei chip AI verso Pechino è stato sbandierato da Trump come una mossa patriottica, un colpo di karate economico alla gola dell’intelligenza artificiale cinese. In realtà, è servito a ben poco: Nvidia ha appena pubblicato numeri talmente buoni da far arrossire persino Cupertino e Mountain View. 26 miliardi di free cash flow in un solo trimestre. Roba che nemmeno la somma di Apple e Google riesce a replicare. E mentre la Cina scompare dalla mappa delle vendite (con un buco dichiarato di 10,5 miliardi su due trimestri), gli USA e i loro alleati tecnologici si accalcano a comprare ogni singolo transistor disponibile.

mibot rivoluzione elettrica a un posto: come un carretto da golf giapponese sta umiliando toyota

Il Giappone, quel laboratorio sociotecnico a cielo aperto dove l’ossessione per il dettaglio incontra la riluttanza al cambiamento, sta per essere scosso da qualcosa di piccolo, minuscolo, quasi ridicolo. Ma, come spesso accade in queste isole, ciò che sembra irrilevante può diventare fatale per i giganti.

A Higashihiroshima, in una di quelle periferie dimenticate dove il tempo passa in silenzio e i vicoli si stringono come i pensieri nei lunedì mattina, un ex YouTuber convertito in imprenditore sta per dare una lezione imbarazzante all’intera industria automobilistica nazionale. Il suo nome è Kazunari Kusunoki. Il suo giocattolo: il mibot, una scatoletta a quattro ruote da un posto solo, alimentata a batteria, che costa meno di uno scooter truccato. Ma attenzione: dietro l’estetica da golf cart c’è l’incubo di Akio Toyoda.

Deepseek-r1-0528: la corazzata fantasma che ha fatto tremare silicon valley

Nel panorama dell’intelligenza artificiale, dove le grandi aziende si contendono il primato a colpi di innovazione e potenza di calcolo, è emersa una nuova protagonista: DeepSeek. Con il rilascio della versione 0528 del modello DeepSeek-R1, l’azienda cinese ha lanciato un messaggio chiaro e potente: la Cina è pronta a giocare un ruolo da protagonista nel campo dell’IA.

Il modello DeepSeek-R1-0528 è stato pubblicato su HuggingFace senza alcun annuncio ufficiale, senza una Model Card, senza un Technical Report. Un gesto che ha il sapore della sfida, un modo per dire: “Siamo qui, e siamo pronti a cambiare le regole del gioco”.

Bitcoin come arma strategica: se Pechino la odia, Washington dovrebbe amarla

Là dove l’Impero Celeste chiude le porte, l’Impero dell’Ovest dovrebbe spalancarle. Non per amore della libertà — concetto vago e flessibile, soprattutto quando si parla di politica monetaria — ma per strategia, dominio tecnologico e quel sottile desiderio di mettere i bastoni tra le ruote a Xi Jinping. Così ha parlato il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance alla Bitcoin Conference di Las Vegas, senza troppi giri di parole: “La Cina odia Bitcoin. Noi, quindi, dovremmo abbracciarlo.”

Un pensiero semplice, quasi infantile nella sua linearità, eppure tremendamente efficace in termini geopolitici. Perché sì, la keyword è Bitcoin. E quelle che lo seguono da vicino sono asset strategico e riserva digitale. Il nuovo lessico del potere non parla più solo di missili ipersonici o porti militari in Africa, ma di nodi blockchain e SHA-256.

Zuckerberg alza la voce sull’AI: un miliardo di utenti, ma quanti sanno di usarla?

Un miliardo di utenti al mese. No, non è la capitalizzazione in dollari di un’azienda crypto caduta in disgrazia, è il numero di persone che, secondo Mark Zuckerberg, stanno già usando Meta AI. Sottolineo: già usando. Non “useranno”, non “potrebbero usare”, ma sono lì, ogni mese, ad accarezzare – consapevoli o meno – le meraviglie della generative AI marchiata Meta.

Ed eccolo, il teatro annuale degli azionisti Meta. Zuck, giacca sobria e sguardo da predicatore, ripete il mantra della nuova era: personal AI. Con l’aria di chi non cerca approvazione, ma legittimazione storica. Perché, mentre il mondo gioca ancora a distinguere tra AI “assistente” e AI “infiltrata”, lui se la ride. La sua creatura non aspetta che tu la cerchi. Vive già nelle vene di WhatsApp, Facebook, Instagram. Invisibile, onnipresente, discretamente indispensabile.

Time-Series Transformer (TST) sviluppato da Ant International

La vendetta dei numeri: come l’IA di Ant sta uccidendo le banche dal di dentro

Non è un nuovo ChatGPT, non scrive poesie, non ti corregge la grammatica. Ma potrebbe essere l’arma più letale che la finanza abbia mai visto. Il Time-Series Transformer (TST) sviluppato da Ant International, costola globale del colosso fintech cinese Ant Group (sì, quelli di Alibaba), non produce contenuti. Produce profitti. O, per dirla meglio, elimina le perdite – chirurgicamente.

La differenza è fondamentale. Mentre il mondo intero corre dietro alla fuffa generativa, l’Asia – come spesso accade – lavora sottotraccia su qualcosa di più concreto: un’intelligenza artificiale che non si limita a interpretare il linguaggio, ma che prevede flussi di cassa, esposizioni valutarie, volatilità, errori di copertura e, soprattutto, comportamenti umani mascherati da numeri.

Intelligenza artificiale medica: la grande illusione dell’onnipotenza algoritmica

Siamo nel pieno della febbre dell’intelligenza artificiale applicata alla medicina. Gli articoli si moltiplicano come funghi radioattivi in una foresta post-apocalittica, le promesse si sprecano: diagnosi più rapide, prognosi più accurate, cure personalizzate grazie al miracolo del machine learning. Eppure, sotto la patina brillante della narrazione tecnofila, si nasconde una realtà meno patinata, meno vendibile ai convegni patinati e agli investitori entusiasti: il 96% di questi modelli non è mai stato testato fuori dal suo giardinetto addestrativo. Tradotto in clinichese: sono giocattoli da laboratorio, non strumenti affidabili per la vita reale.

Il problema ha un nome preciso: validazione esterna. Concetto semplice, brutalmente ignorato. Significa prendere un modello e testarlo con dati raccolti in un altro ospedale, in un’altra regione, da un altro team, con altri protocolli. E scoprire, spesso con raccapriccio, che la performance non è più così miracolosa. Succede perché i modelli non sono intelligenti, sono abitudinari: imparano a riconoscere le pieghe dei dati da cui sono nati, ma inciampano appena escono di casa. Più che chirurghi robotici, sono studenti che hanno imparato le domande dell’esame a memoria. E appena cambi università, vanno in crisi esistenziale.

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