Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Hollywood si è venduta al silicio, e non tornerà indietro

AMC Networks e Runway

L’intelligenza artificiale generativa non è più l’ospite invisibile nella stanza dei bottoni di Hollywood. Con la partnership tra AMC Networks e la startup Runway, la tecnologia non sta più bussando alla porta: ha buttato giù i muri, ha messo i piedi sul tavolo e ha iniziato a scrivere le sceneggiature. Previsualizzazioni generate da AI, campagne marketing senza un solo ciak, versioni alternative di film per fasce d’età modellate da algoritmi: questo non è il futuro della TV via cavo, è il presente, spudorato e inequivocabile.

X vieta l’addestramento AI sui suoi post, ma li usa per sé: l’etica à la Musk

Nel grande bazar dei dati digitali, dove ogni parola postata è una pepita d’oro per l’addestramento delle intelligenze artificiali, X (ex Twitter) ha aggiornato il suo Developer Agreement con una nuova clausola: vietato usare i contenuti della piattaforma per addestrare modelli fondazionali o di frontiera. A meno che tu non sia… beh, X stessa.

L’annuncio, passato quasi inosservato se non fosse stato per TechCrunch, arriva con la delicatezza di un aggiornamento di sistema, ma nasconde una torsione strategica da manuale Machiavelli. Tradotto dal legalese: se sei uno sviluppatore esterno, dimentica l’idea di nutrire il tuo LLM con i tweet. Però X (cioè Elon Musk) può continuare a farlo. E lo fa. Con entusiasmo.

L’arte si fa algoritmo e costa quanto una Tesla: benvenuti nell’era della tela che respira

Ventiduemila dollari. Per un display. No, non stiamo parlando di un monitor da sala controllo NASA, né del cruscotto olografico di una navicella SpaceX. È Layer, la nuova creazione di Angelo Sotira, co-fondatore di DeviantArt, una delle prime culle della creatività digitale, oggi mutata in parco giochi per l’intelligenza artificiale.

Il prezzo non è casuale, è una dichiarazione. Un grido estetico incastonato tra pixel e marketing, che tenta di legittimare il generative AI art come nuova frontiera del collezionismo. Dimenticate le stampe numerate, i quadri firmati a mano o le fotografie d’autore. Qui siamo oltre la firma: qui il quadro si scrive da solo.

Gemini 2.5 pro fa il salto quantico che Google doveva al mondo dell’intelligenza artificiale

Ogni attore ha il suo momento di gloria, il suo rilascio “rivoluzionario”, la sua conferenza patinata da annunciare tra un keynote e una demo pompata a razzo. Ma oggi, finalmente, Google sembra aver smesso di rincorrere gli altri per tornare a fare scuola. Con il rilascio della versione aggiornata in anteprima di Gemini 2.5 Pro, siglata 06-05, Mountain View alza l’asticella in modo tangibile. E sì, stavolta i benchmark non mentono: stavolta è roba seria.

Partiamo da dove il dolore si sentiva di più: fuori dal mondo del coding, le release precedenti della famiglia Gemini 2.5 sembravano avvolte da una nebbia di mediocrità. Accuse non troppo velate su Reddit, sussurri negli ambienti dev più esigenti: “03-25 era più brillante”, “le nuove release hanno perso smalto”, “troppa ottimizzazione, poca anima”. Bene: con 06-05, Google prova a rimediare. E lo fa con un’operazione chirurgica sul linguaggio, sulla formattazione delle risposte e udite udite su una creatività finalmente leggibile, non più solo impressa nei prompt di marketing.

Amazon vuole sostituire i corrieri con androidi in furgoni elettrici. Ma davvero pensiamo che si fermeranno ai pacchi?

Mentre ci beviamo l’ultima birra artigianale a Brooklyn o ci lamentiamo della ZTL a Milano, Amazon ha iniziato a costruire silenziosamente un “parco umanoide” in un ufficio di San Francisco. No, non è un’attrazione turistica per nostalgici di Westworld, ma una palestra hi-tech dove androidi addestrati da intelligenze artificiali stanno imparando a saltar fuori dai furgoni Rivian per consegnare i nostri pacchi. Letteralmente.

Il progetto è tutto fuorché una boutade fantascientifica. Secondo The Information, il colosso di Seattle sta mettendo a punto software agentici avanzati sistemi capaci non solo di rispondere a comandi, ma di agire in modo autonomo e adattivo. Niente più macchine rigide a compiere task singoli come in una catena di montaggio fordista: Amazon vuole trasformare i suoi robot in creature quasi conversazionali, capaci di interpretare ordini in linguaggio naturale. Sì, tipo: “porta questo pacco al tizio col bulldog al terzo piano, ma attento a non calpestare il basilico della signora Rosina”.

Radiologia e Intelligenza Artificiale

Il mondo dell’imaging RM sta entrando in una nuova era. Non si tratta di cambiare macchina, ma di cambiare cervello. Con l’arrivo di AI, stiamo passando da un’acquisizione “meccanica” delle immagini a una “intelligente”. Ma niente tecnicismi inutili. Questo articolo frutto dell’evento ECM gratuito organizzato a Viterbo Commissione Albo per TSRM con Rivista.AI patrocinato dal Dott. M.Gentile spiega in modo pratico e chiaro a chi lavora davvero sulla macchina i tecnici radiologi cosa cambia davvero con l’uso dell’intelligenza artificiale nei parametri principali della risonanza magnetica.

Amazon investe 10 miliardi in North Carolina per dominare l’infrastruttura AI: il nuovo feudo dell’intelligenza artificiale è privato

Benvenuti nel nuovo Rinascimento digitale, dove i regni non sono più di pietra ma di silicio, e i feudatari si chiamano Amazon, Google, Microsoft. Con una mossa da 10 miliardi di dollari, Amazon ha piazzato la sua bandiera nel cuore della North Carolina, trasformando Richmond County in un futuro snodo neurale dell’intelligenza artificiale globale. Non si tratta di una semplice espansione di data center: è la costruzione fisica dell’infrastruttura su cui poggerà il prossimo secolo di innovazione tecnologica.

Cohere Come costruire agenti AI da battaglia nei settori regolamentati senza finire nei guai con l’audit

Siamo nell’era dell’”AI che fa cose”, ma quando si tratta di finanza, sanità o pubblica amministrazione, la differenza tra un agente che genera valore e uno che genera una causa legale è questione di tooling, temperatura, e fallimenti. Cohere — azienda nota più per i suoi modelli LLM made in Canada che per le frasi ad effetto — ha appena pubblicato una guida su come costruire agenti AI “enterprise-ready” nei settori dove la compliance non è un’opinione ma un dio vendicativo.

E la guida ha un tono quasi insolitamente pragmatico, per essere un whitepaper AI. Niente arcobaleni quantici. Solo sei regole che dovrebbero già essere scolpite in pietra in ogni SOC 2 room con tanto di badge RFID.

Trump blocca Harvard sugli studenti stranieri: paranoia nazionale o strategia elettorale?

Sembrava una battaglia culturale. È diventata un assalto istituzionale. In un proclama dai toni apocalittici – firmato con l’enfasi di chi ama più la guerra che la diplomazia – l’amministrazione Trump ha vietato formalmente all’Università di Harvard di accettare nuovi studenti internazionali. Non solo: ha ordinato una revisione delle attuali iscrizioni straniere con la minaccia concreta di revoca dei visti. Motivo? “Rischi per la sicurezza nazionale”. Ovviamente, c’è di mezzo la Cina. E il sospetto, sempreverde, che dietro ogni studente con un laptop si nasconda un agente del Partito Comunista.

Microsoft punta tutto sugli agenti AI mentre Musk conta i miliardi e Apple perde il controllo

“Office è morto, viva l’agente AI.” Questo, in sintesi brutale, è il messaggio criptico ma chiarissimo lanciato da Satya Nadella ai suoi dipendenti. Con una riorganizzazione dirigenziale chirurgica, Microsoft svuota il salotto buono di Office 365 e Dynamics per dare spazio ai nuovi idoli aziendali: gli agenti di intelligenza artificiale. Addio Excel come lo conoscevamo. Addio CRM a misura d’uomo. Il futuro, secondo Redmond, è popolato da entità digitali che agiscono al posto nostro, imparano, parlano, vendono, chiudono contratti. Lo chiamano “copilot”, ma non illudetevi: chi comanda ora è lui.

Meta confessa: come sette milioni di libri sono diventati spazzatura per addestrare gratis la sua GenAI

Quando il più “itty bitty macho man” della Silicon Valley decide di riscrivere le regole del valore intellettuale, non stiamo parlando solo di algoritmi e codici, ma di un vero e proprio assalto al patrimonio culturale globale. Meta, colosso da 1.2 trilioni di dollari, ha appena svelato la sua nuova strategia di business: rubare proprietà intellettuale su larga scala, dichiarando i sette milioni di libri usati per addestrare la sua intelligenza artificiale come “privi di valore economico”. Tradotto: spazzatura.

Non è una trovata da nerd con scarsa etica, è una manovra di pura arroganza, con radici profonde in una concezione distorta di cosa significhi innovare nel ventunesimo secolo. Un’innovazione che profuma più di saccheggio che di genio creativo. Siamo di fronte a una Silicon Valley che, nel suo narcisismo, si crede il nuovo Rinascimento, ma dimentica che quello vero era costruito sulla protezione e valorizzazione delle opere d’arte, non sulla loro devastazione.

Quando l’algoritmo ti dice che morirai: il caso Clarity Breast e la scomparsa del dubbio nella medicina predittiva

C’è un momento preciso, in ogni sala di radiologia, in cui il silenzio si fa opprimente. Il clic secco della macchina, lo sguardo esitante del tecnico, la paziente che cerca di leggere negli occhi di chi la osserva. Fino a ieri, quel momento era seguito da giorni d’attesa, telefonate, diagnosi più o meno tempestive, spesso tardive. Da oggi, o meglio da fine anno, tutto potrebbe cambiare: è arrivata Clarity Breast. Un nome che sa di marketing farmaceutico e shampoo pubblicitario, ma dietro cui si nasconde qualcosa di molto più serio. Perché per la prima volta la Food and Drug Administration ha detto sì a una piattaforma d’intelligenza artificiale che, partendo da una mammografia 2D standard, predice il rischio di cancro al seno di una donna nei prossimi cinque anni. Non diagnosi. Predizione.

Semiconduttori e sovranità: perché l’EDA cinese è l’unico gioco possibile in città

Il settore più noioso dell’alta tecnologia – il software per la progettazione dei chip – si è trasformato nel protagonista indiscusso della nuova guerra fredda. E no, non è un’esagerazione giornalistica.

Quando Washington ha ordinato a Cadence, Synopsys e Siemens EDA di smettere di vendere in Cina, la notizia non ha fatto solo tremare i server di Pechino: ha acceso una miccia nella borsa di Shenzhen. Perché? Perché l’EDA, quell’oscuro acronimo che significa Electronic Design Automation, è letteralmente il software che pensa i chip, li disegna, li simula, li testa. Senza EDA non c’è chip. Senza chip non c’è AI. Senza AI non c’è dominio tecnologico. E senza dominio, in questo secolo, sei solo un gigantesco mercato di consumatori.

Glance AI: quando lo schermo di blocco diventa un centro commerciale e tu l’attrazione principale

In principio era il lock screen, l’innocuo spazio digitale tra te e il resto del mondo. Poi arrivò Glance AI, un’idea brillante nella sua distopia, figlia della fervida immaginazione di InMobi, la stessa compagnia che trasformò gli smartphone Motorola in volantini interattivi. Oggi, grazie a una partnership con Samsung Galaxy Store, quel piccolo spazio protetto sul tuo telefono è pronto a diventare un camerino virtuale, uno showroom algoritmico, un catalogo sartoriale generato da intelligenza artificiale. Benvenuti nel futuro, dove persino il tuo riflesso diventa un modello inconsapevole al servizio dell’e-commerce.

Dominare l’intelligenza artificiale senza sicurezza: l’america secondo Trump

La notizia, se la si legge di fretta, pare una banale ristrutturazione burocratica: l’AI Safety Institute del Dipartimento del Commercio americano cambia nome e si trasforma nel Center for AI Standards and Innovation. Ma sotto questa vernice lessicale si cela una vera rivoluzione geopolitica mascherata da riforma amministrativa. Non è più questione di “sicurezza”, bensì di supremazia. E soprattutto: non è più una questione globale, ma eminentemente americana. “Dominanza sugli standard internazionali”, come ha dichiarato il Segretario al Commercio Howard Lutnick. Una frase che potrebbe uscire da un meeting di strategia militare più che da un piano di governance tecnologica.

Meta rilancia con Aria Gen 2: gli occhiali che vogliono leggere nei tuoi occhi e forse nella tua anima

La Silicon Valley non sogna più di essere soltanto vista: vuole guardare dentro di noi. Meta, con l’annuncio dei suoi occhiali sperimentali Aria Gen 2, ha dato un’altra spinta all’inevitabile convergenza tra intelligenza artificiale, robotica e realtà aumentata. Ma attenzione, questi non sono occhiali per camminare per strada a caccia di Pokémon virtuali. Sono occhiali per chi, domani, vorrà essere letto più che leggere.

Siamo ben oltre il selfie con i Ray-Ban Stories. Aria Gen 2 è un laboratorio da indossare, un prototipo mascherato da accessorio, con un hardware che non scherza affatto. Meta parla con orgoglio del nuovo sistema di eye-tracking: riesce a monitorare ogni singolo occhio, distinguere i battiti di ciglia, stimare la posizione esatta delle pupille. Una macchina che segue lo sguardo, ma anche quello che potenzialmente stai per fare. Una sorta di pre-intenzione digitale, una lettura neuro-visiva anticipatoria.

Reddit fa causa ad Anthropic: il grande saccheggio dell’Intelligenza Artificiale

Non serve un algoritmo per capire cosa sta succedendo: siamo di fronte all’ennesimo episodio in cui il “diritto dei dati” si scontra frontalmente con la fame insaziabile dei modelli linguistici di nuova generazione. Reddit, la piazza digitale dove la cultura del web prende forma in tempo reale, ha deciso di portare in tribunale Anthropic, uno degli astri emergenti nel panorama dell’AI generativa, accusandolo di aver addestrato i suoi modelli sulle conversazioni degli utenti senza licenza né consenso.

C’è qualcosa di ironico, quasi poetico, in questo scontro tra un sito nato per democratizzare il sapere e una startup fondata da ex OpenAI proprio con l’intento di rendere l’AI “più allineata ai valori umani”. Reddit sostiene che Anthropic, creatore del modello Claude, abbia sistematicamente e volontariamente fatto scraping della piattaforma, colpendo i suoi server oltre centomila volte. Non un incidente. Non un’eccezione. Ma parole del documento depositato in California “una strategia deliberata e reiterata”.

Chatgpt record mode vuole essere il tuo capo, non il tuo assistente, ora legge Drive e DropBOX

Quando OpenAI annuncia che ChatGPT potrà registrare le tue riunioni, ascoltare i tuoi flussi di coscienza verbali e collegarsi direttamente al tuo Google Drive per rispondere alle tue domande aziendali più intime, non sta solo rilasciando funzionalità: sta piazzando un cavallo di Troia alla scrivania del middle management. Ed è vestito da stenografo amichevole.

Chiariamolo subito: record mode non è un’agenda digitale, è un orecchio onnisciente sempre acceso. ChatGPT ora prende appunti con timestamp, elenca action items, collega fonti direttamente dai tuoi documenti su SharePoint, OneDrive, Dropbox, Box, Google Drive. E lo fa “rispettando i permessi della tua organizzazione”. Tradotto: può vedere tutto quello che ti è già concesso vedere ma lo fa cento volte più velocemente di te. E senza mai dimenticare nulla. Sembra utile? Certo. Sembra anche un primo passo verso la totale dipendenza cognitiva da un’entità software? Assolutamente.

Claude spiega tutto, ma non sa perché: il blog artificiale che simula l’illuminazione umana

Difficile non sorridere davanti all’ultima trovata di Anthropic: Claude Explains, il blog in cui l’intelligenza artificiale Claude finge di avere qualcosa da spiegare, e gli umani fingono che sia tutto spontaneo. Un piccolo angolo della Silicon Valley in cui l’algoritmo si traveste da divulgatore, mentre una redazione invisibile gli regge il gobbo come in un vecchio varietà televisivo.

Benvenuti nel futuro della comunicazione, dove i contenuti non sono più pensati per essere letti, ma per essere indicizzati, reimpacchettati e, soprattutto, ammirati da altri algoritmi.

Huawei reinventa l’intelligenza artificiale mentre l’america gioca a poker con chip vietate

I cinesi non stanno copiando. Stanno innovando. E in silenzio, con l’ostinazione tipica delle dinastie millenarie, hanno messo in scacco gli esperti dell’Occidente con tre semplici lettere: MoGE.

Non è uno scherzo fonetico, ma l’acronimo che potrebbe far tremare OpenAI, Google DeepMind e gli altri signori del codice. Parliamo di Mixture of Grouped Experts, una variazione muscolosa, ingegnerizzata con precisione chirurgica, dell’approccio Mixture of Experts (MoE) già utilizzato da modelli come DeepSeek-V3.

Figma MCP Server prova a fare il lavoro sporco per l’AI: dalla forma al codice, senza più disegnini

C’è qualcosa di affascinante e vagamente inquietante nel modo in cui Figma ha deciso di rivoluzionare il flusso tra design e codice. Dopo aver trasformato il design collaborativo in una droga da whiteboard digitale, adesso la piattaforma vuole diventare il cervello esterno dei modelli di intelligenza artificiale, quelli che oggi arrabattano pixel e container, domani potrebbero programmare come dev navigati. Figma lancia infatti il Dev Mode Model Context Protocol, in beta, per smettere di far “indovinare” alll’intelligenza artificiale come trasformare un’interfaccia in codice funzionante. In pratica: se prima i modelli linguistici giocavano a “vedo/non vedo” con un mockup, ora leggono direttamente le istruzioni del designer.

Grazie Bezos, il Washington Post apre le porte agli amatori guidati dall’intelligenza artificiale

Nel mondo del giornalismo, dove la penna umana ha da sempre dettato legge, ecco arrivare una svolta che profuma di Silicon Valley: il Washington Post, di proprietà di Jeff Bezos, si prepara ad aprire il suo prestigioso spazio alle opinioni di chi non è professionista, affidandosi a un allenatore d’intelligenza artificiale chiamato Ember. Un nome che suona come il bagliore residuo di un fuoco antico, pronto a riaccendersi in chiave digitale.

Secondo il New York Times, questa mossa non è solo un tentativo di ampliare il ventaglio di voci, ma una vera rivoluzione nel processo editoriale. Ember non sarà un semplice correttore di bozze, ma un sistema che automatizza molte delle funzioni tradizionalmente riservate ai redattori umani. In altre parole, una redazione in miniatura dentro uno strumento AI che monitora la “forza della storia,” valuta la solidità del pezzo, e accompagna il neofita con un sidebar che scompone la narrazione in elementi base: la tesi iniziale, i punti a supporto, e il gran finale memorabile.

MANUS VIDEO GENERATION: la rivoluzione silenziosa che trasforma testo in video senza sforzo

Se pensavate che la generazione video fosse ancora un terreno riservato ai tecnici del montaggio o agli artisti digitali, Manus arriva come un’epifania tecnologica pronta a scuotere le fondamenta di quell’ecosistema. Immaginate di digitare una semplice frase e vederla prendere vita sotto forma di un video completo, orchestrato, sequenziato e animato in pochi minuti. Sembra fantascienza? No, è Manus.

OpenAI va a Hollywood: Artificial è il primo biopic sull’intelligenza artificiale e sam altman diventa cinema

Quando Luca Guadagnino si muove, lo fa con la grazia di un chirurgo estetico milanese e la velocità di un algoritmo impazzito. Il suo prossimo film, provvisoriamente intitolato Artificial, promette di essere una bomba culturale, un Frankenstein digitale che mescola la Silicon Valley con il cinema d’autore. La trama? Il colpo di stato da operetta avvenuto nel novembre 2023 dentro OpenAI, con Sam Altman licenziato e reincoronato CEO nel giro di 72 ore. Un thriller aziendale in salsa neuronale.

I telcos come infrastruttura dell’intelligenza artificiale

McKinsey Study AI infrastructure: A new growth avenue for telco operators

“Il miglior modo per predire il futuro è inventarlo”, diceva Alan Kay. Ma nel caso dell’economia dell’intelligenza artificiale, predirlo significa anche cablarlo. Ospitarlo. Alimentarlo a megawatt e connettività. E se oggi gli operatori telco si illudono di poter semplicemente ritagliarsi un posto accanto agli hyperscaler, farebbero meglio a studiare il caso Seeweb con il suo GPU aaS ad esempio: un player italiano che, mentre i giganti si perdono tra strategie da boardroom e infrastrutture legacy, ha già capito come posizionarsi là dove l’AI genera valore reale. Ovvero, nell’inferenza. Sì, proprio quel segmento dove la corsa ai chip diventa guerra di margini, latenza, costi energetici e disponibilità immediata.

Il contesto? Secondo McKinsey, la domanda globale di data center per applicazioni AI triplicherà entro il 2030. Non è solo una questione di training: è l’inferenza quotidiana, ubiqua, embedded in ogni app, customer service, servizio pubblico. È la fase in cui l’intelligenza artificiale non solo impara, ma lavora. E per lavorare, le servono strutture vicine, leggere, distribuite. Chi controlla la rete, controlla la distribuzione dell’intelligenza.

Google mette l’intelligenza artificiale in tasca: l’app che non volevamo, ma che adesso tutti vogliono

In un’epoca dove tutto è “cloud-first” e l’AI è sinonimo di raccolta dati, Google ha fatto qualcosa di profondamente controintuitivo, quasi punk: ha rilasciato un’applicazione che non ha bisogno di internet, non ti spia, e non condivide niente con i suoi server. Sì, stiamo ancora parlando di Google, e no, non è uno scherzo. Si chiama AI Edge Gallery e sembra un errore di marketing. Eppure, è proprio quello che mancava.

Trump e i velociraptor al confine: quando il deepfake diventa politica reale

Benvenuti nel 2025, dove l’assurdo ha preso la residenza a tempo indeterminato e l’Intelligenza Artificiale è diventata la nuova ghostwriter dell’establishment. Eccoci dunque a parlare di Donald Trump, dinosauri geneticamente resuscitati, e confini militarizzati con velociraptor. No, non è la sinossi di un nuovo film di Adam McKay. È solo l’ultima frontiera della disinformazione plausibile, firmata Deepfake.

Silicio, atomi e capitali: la nuova corsa all’oro dei data center

Nel cuore dell’Illinois, Meta Platforms sì, quella Meta, padrona del tuo feed e della realtà aumentata che nessuno ha chiesto – ha appena firmato un patto ventennale per acquistare l’energia prodotta da una centrale nucleare. La Clinton Power Station, gestita da Constellation Energy, diventa così il distributore ufficiale di elettroni per alimentare non solo server e GPU, ma la prossima generazione di intelligenza artificiale generativa.

Trump, Musk e l’abominio della spesa: quando il tech sputa nel piatto del potere

Era tutto troppo bello per durare. Il bromance postmoderno tra Donald Trump ed Elon Musk una miscela tossica di testosterone, libertarismo fiscale e narcisismo performativo — ha cominciato a scricchiolare sotto il peso di una delle cose più antiche del mondo: i soldi. Ma non soldi qualsiasi. Parliamo del disegno di legge sulla spesa federale, un pachiderma legislativo definito da Musk come “disgustoso abominio”, con un vocabolario degno di un predicatore texano in un rave.

notebooklm non è solo un taccuino: è l’inizio della fine dell’autorità epistemica

Non è un caso che Google abbia scelto di lanciare la nuova funzione di NotebookLM la possibilità di condividere i propri quaderni pubblicamente proprio adesso. Dopo averlo incubato come esperimento nel 2023, il progetto è cresciuto sottotraccia, lontano dai riflettori, in uno di quei silenzi strategici in cui Big Tech cova le sue uova più pericolose. Ora, NotebookLM esce dalla crisalide per diventare non un semplice strumento di annotazione, ma un’infrastruttura cognitiva. Pubblica, interattiva e… programmabile. La keyword? epistemologia sintetica. Le secondarie? condivisione AI-driven, contenuti interattivi, knowledge authority.

L’infrastruttura dell’IA si mangia Wall Street mentre CoreWeave corre come un modello a 10.000 GPU

Non è più la stagione delle app generative. È la vendetta dei server, la resurrezione dell’infrastruttura. E se ancora pensi che AI significhi solo “ChatGPT che ti scrive una poesia triste”, stai già perdendo l’unico rally che conta davvero: quello dei fornitori di potere computazionale puro.

Nel cuore del più infuocato rally tecnologico dell’anno, una nuova divinità si è seduta accanto a Nvidia nel pantheon dell’Intelligenza Artificiale. Si chiama CoreWeave, ticker CRWV, e ha deciso di sfidare apertamente la gravità finanziaria, trasformando un’IPO da $40 in una corsa da quasi $150 in appena due mesi. Nessun chip miracoloso, nessuna app virale. Solo infrastruttura. Ma non quella noiosa e tangibile: quella che alimenta il sogno più costoso e vorace della Silicon Valley l’AI come servizio.

ChatGPT con memoria light: la personalizzazione a costo zero che fa tremare il mercato

Immagina di avere un assistente digitale che non solo risponde alle tue domande, ma che ti ricorda dettagli, preferenze e perfino le conversazioni precedenti. Fino a oggi, questa era roba da clienti paganti, ma OpenAI ha appena gettato un sasso nello stagno offrendo una versione “light” delle sue funzioni di memoria anche agli utenti free. Non un semplice aggiornamento, ma una vera rivoluzione nella user experience dell’intelligenza artificiale conversazionale.

Epic forza l’evoluzione del videogioco: i PNG AI di Fortnite parlano, persuadono e forse imprecano

In un futuro non troppo remoto, il tuo peggior nemico nel multiverso di Fortnite potrebbe non essere un dodicenne con riflessi da cyborg e skin da 200 dollari, ma un personaggio non giocante — un PNG — progettato da un altro essere umano, addestrato da un’intelligenza artificiale e programmato per farti premere un pulsante che non dovresti toccare. Letteralmente.

La rivoluzione silenziosa dei video generati dall’intelligenza artificiale

Se Andrej Karpathy, uno dei più lucidi architetti dell’intelligenza artificiale moderna, si dice «molto impressionato» da Veo 3 e dai contenuti emergenti su r/aivideo, significa che qualcosa di epocale sta realmente accadendo. Nel mare magnum dei video online, spesso ripetitivi e talvolta fastidiosi, la vera svolta non è tanto la quantità, quanto la qualità qualitativamente superiore che emerge quando all’immagine si aggiunge l’audio generato e ottimizzato da reti neurali sofisticate. Ma ciò che Karpathy sottolinea va ben oltre un semplice upgrade tecnologico: il video come medium sta attraversando una metamorfosi che nessuno aveva previsto.

Sakana la macchina darwin-gödel: l’AI che riscrive il proprio codice per diventare sempre più intelligente

È uno di quei sogni che tormentano da decenni i laboratori di intelligenza artificiale: un sistema che non si limita a imparare dai dati, ma che evolve, si modifica e si migliora da solo, quasi come una creatura vivente. La macchina di Gödel, ideata da Jürgen Schmidhuber, è stata per molto tempo un’idea teorica elegante ma impraticabile: un’IA capace di riscrivere il proprio codice solo se può dimostrare matematicamente che la modifica è vantaggiosa. Ecco la vera scommessa: provare, prima di agire, che il cambiamento è migliore. Facile a dirsi, impossibile a farsi. Ora però, con l’avvento di modelli fondazionali sempre più potenti e l’ispirazione evolutiva della selezione darwiniana, la visione si avvicina alla realtà sotto forma di quella che si chiama la macchina Darwin-Gödel.

Ambrogio Regolo AI e il sogno infranto della gestione documentale

Martedì 27 maggio abbiamo partecipato al convegno “Intelligenza Artificiale e Business Application”, organizzato da Soiel International a Roma.

Nel corso dell’evento, Paolino Madotto (CISA, CGEIT) ha presentato Ambrogio, l’assistente virtuale sviluppato da Intelligentiae – data enabling business. Quante volte vi siete trovati a cercare un documento, un file o un’informazione dentro una selva oscura di cartelle digitali, archivi confusionari, backup che sembrano ordinati solo agli occhi di chi li ha creati? Nel 2025, quando ormai dovremmo parlare di “smart working” e “digital first” come un dogma, le aziende continuano a perdere tempo e denaro inseguendo dati che sembrano evanescenti.

Ambrogio, l’AI made in Italy targata Intelligentiae, si propone come il deus ex machina di questa tragedia moderna, promettendo una rivoluzione nella gestione documentale aziendale che ha il sapore di una rinascita digitale.

Huawei rilancia il futuro: Pura 80, silicio patriottico e il gusto per la sfida

Quando Huawei annuncia un nuovo smartphone, la notizia non riguarda solo un altro rettangolo di vetro e silicio destinato a popolare le tasche cinesi. È geopolitica travestita da design industriale. È una dichiarazione di sovranità tecnologica. È, sempre più spesso, un sonoro schiaffo al blocco occidentale. E il prossimo Pura 80, atteso per l’11 giugno, si inserisce perfettamente in questa narrazione.

La gamma Pura, un tempo nota come P, ha assunto il ruolo di vetrina high fashion della tecnologia cinese, combinando estetica audace come quel modulo fotocamera triangolare che pare un omaggio all’Art Deco brutalista e innovazioni hardware che sfidano i dogmi dell’embargo. Il Pura 80 non sarà da meno: nuovi sensori, ottiche migliorate, e probabilmente un chipset progettato internamente, come a voler ricordare che l’autarchia digitale non è solo possibile, ma persino desiderabile.

Oracle scommette sull’intelligenza artificiale per riscrivere le regole della gestione dei contatori

C’è un nuovo protagonista silenzioso nella battaglia delle utility per efficienza, affidabilità e soddisfazione del cliente: l’intelligenza artificiale. E Oracle, veterana del mondo enterprise, ha deciso di metterla al centro del suo arsenale tecnologico. Ma non lo fa con fanfare da keynote o promesse da luna nel pozzo: lo fa dove serve davvero, là dove i bit incontrano i chilowatt.

Sotto il cofano dell’ultima evoluzione della Oracle Utilities Customer Platform, si cela un mix di AI e processing in-memory che sta ridefinendo il concetto stesso di Meter Data Management. Una rivoluzione sommessa, ma con implicazioni devastanti per l’inerzia cronica delle utility. Perché quando un algoritmo inizia a vedere ciò che un operatore non nota, la realtà cambia.

Meta punta all’automazione totale della pubblicità, ma il cliente non è più al centro

Nel grande circo algoritmico di Menlo Park, Mark Zuckerberg ha appena tolto un altro coniglio dal cilindro: pubblicità completamente automatizzate tramite intelligenza artificiale. Non nel futuro remoto, ma entro il 2026. Non si parla di strumenti di supporto alla creatività umana, né di prompt da perfezionare. Il piano già abbozzato nei suoi discorsi e ora dettagliato dal Wall Street Journal è cristallino: tu, caro brand, carichi un’immagine del tuo prodotto, imposti un budget e Meta ti restituisce una campagna pubblicitaria completa. Dove, come, quando e a chi mostrarla? Decide l’AI. Tu fidati.

bing video creator: l’illusione generativa di massa al prezzo di un tap

Ci sono momenti in cui la tecnologia fa un passo avanti così teatrale da sembrare una provocazione. Questa è una di quelle occasioni: Microsoft ha appena inserito un generatore video AI nella sua app Bing, e lo ha fatto con la nonchalance di chi regala una caramella a un bambino sapendo che dentro c’è un microchip.

Il nome, Bing Video Creator, suona più come una funzione marginale che come un punto di svolta epocale. Ma sotto questa etichetta banale si nasconde Sora, il modello text-to-video di OpenAI che ha fatto tremare le fondamenta del content marketing, della pubblicità, dell’informazione e più silenziosamente dell’immaginario collettivo. E ora è nelle tasche di tutti. Gratis. O almeno, sembra.

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