Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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La maratona dei robot umanoidi in Cina: un’opportunità per guardare ai limiti della tecnologia

La maratona dei robot umanoidi, tenutasi a Pechino il 19 aprile 2025, ha messo in evidenza tanto l’innovazione quanto le sfide ancora da superare nella robotica cinese. Questo evento ha rappresentato il primo tentativo di un “mezzomarathon” con robot in competizione al fianco degli esseri umani, ma, come spesso accade con le tecnologie emergenti, non è stato privo di difficoltà. Dei 21 partecipanti robotici, solo sei sono riusciti a completare la corsa, e solo uno ha concluso sotto il tempo minimo di qualificazione stabilito dalla Chinese Athletic Association.

La maratona, lunga 21 km e tenutasi nel distretto di Yizhuang, ha visto una scena che ha evocato il primissimo Gran Premio automobilistico del 1894 a Parigi, quando le automobili erano ancora un sogno rispetto ai carri trainati dai cavalli. Il parallelo con le prime gare automobilistiche è inevitabile, poiché anche in questo caso il futuro della mobilità era ancora in fase di definizione, nonostante la visione ambiziosa di chi, come la Cina, vuole essere all’avanguardia nel campo della robotica umanoide. La partecipazione di robot alla gara è stata vista come una vetrina della crescente potenza della Cina in questo settore, che compete direttamente con colossi come Boston Dynamics e Tesla, che sta sviluppando il robot umanoide Optimus.

Ricerca e innovazione: l’Italia rafforza i legami con l’India per le sfide globali

La ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, e il ministro della Scienza e della Tecnologia della Repubblica dell’India, Jitendra Singh, hanno firmato un Memorandum of Understanding per rafforzare la cooperazione bilaterale nel campo della ricerca scientifica e tecnologica tra i due Paesi.

AI low cost e licenziamenti high speed: il capitalismo si rifà il trucco col volto della macchina

Nel silenzio rotto solo dal suono dei tasti e dai grafici di produttività, un nuovo paradigma si consolida nel cuore pulsante della corporate economy globale: l’intelligenza artificiale non è più una tecnologia da laboratorio, è una manodopera da trincea. E soprattutto, è una manodopera che non sciopera, non chiede ferie, non si ammala e non organizza sindacati. Da PayPal a EY, passando per Meta, Pinterest e l’intera Silicon Valley, si assiste a una mutazione darwiniana dove il lavoratore umano è una specie in via d’estinzione, rimpiazzata da algoritmi affamati di dati e GPU a 5 cifre.

Trump e l’economia del disincanto: la luna di miele è finita, il conto arriva ora

La narrativa trionfale che ha accompagnato la rielezione di Donald Trump si sta sbriciolando sotto il peso delle aspettative mancate. L’ultimo sondaggio economico nazionale CNBC All-America fotografa un Paese più cupo, deluso e (cosa ancora più letale in politica) impaziente. Il consenso economico nei confronti del presidente ha toccato i livelli più bassi del suo secondo mandato, segnando un’inversione di rotta drammatica rispetto all’impennata di ottimismo che aveva accompagnato la sua riconferma. Con un approvazione economica al 43% e un netto 55% di disapprovazione, Trump entra ufficialmente nella zona rossa della fiducia pubblica, per la prima volta anche sul tema economico, da sempre il suo cavallo di battaglia.

Il dato più preoccupante per la Casa Bianca non è tanto la resistenza della base repubblicana, che regge, quanto la frattura profonda con gli indipendenti e l’ostilità feroce dei democratici. Tra questi ultimi, la disapprovazione netta sulle politiche economiche di Trump ha raggiunto il -90, un abisso politico mai visto nemmeno durante il primo mandato. E anche tra i lavoratori blue collar, una delle colonne portanti del trionfo trumpiano del 2024, il supporto mostra crepe evidenti: sì, ancora positivi nel complesso, ma con una crescita di 14 punti nei tassi di disapprovazione rispetto alla media del primo mandato. Il tempo della gratitudine è finito, ora si pretende il dividendo.

La Cina insegna l’AI ai bambini di sei anni: rivoluzione educativa o distopia travestita da progresso?

Col termine “Zhuazhou” (抓周)si indica una cerimonia tradizionale cinese che si tiene il giorno del primo compleanno per celebrare la crescita dei bimbi e augurargli tanta prosperità. Da quest’autunno al compimento del 6 anno, i bambini di Pechino inizieranno il loro percorso scolastico con qualcosa di più del solito abbecedario: l’intelligenza artificiale. E no, non si tratta di semplici giochini educativi per stimolare la mente, ma di un curriculum vero e proprio che comprende l’uso di chatbot, le basi dell’etica dell’AI, e l’impatto sociale delle tecnologie emergenti. In pratica, mentre in Europa ci si scanna ancora sul divieto dei cellulari in classe, la Cina sta insegnando a bambini delle elementari come interagire consapevolmente con ChatGPT.

Black Mirror 7: le tecnologie dietro gli incubi, già in fase di sviluppo nei vostri laboratori preferiti

Mentre gli spettatori meno attrezzati emotivamente si struggono per le sorti dei protagonisti, tra abbracci digitali e intelligenze artificiali con più empatia di uno psicoterapeuta abilitato, i veri appassionati — quelli col badge da sviluppatore e il cronogramma di release di OpenAI stampato sopra la scrivania sanno benissimo che il cuore della settima stagione di Black Mirror non è la distopia. È la roadmap.

Charlie Brooker non inventa il futuro. Lo interpreta sei mesi prima che qualcuno lo carichi su GitHub. Ogni episodio di questa nuova stagione è una riflessione, neanche troppo velata, su tecnologie già esistenti, alcune delle quali in fase di testing in laboratori pubblici e privati. Di seguito, un’analisi giornalistica dettagliata, senza fronzoli narrativi e con lo sguardo cinico di chi sa che la distopia è un business scalabile.

AI Continent Action Plan, Capitolo II Europa continente dell’intelligenza artificiale o continente delle burocrazie?

L’ultima trovata della Commissione Europea si chiama AI Continent Action Plan e, se la retorica dovesse corrispondere alla realtà, ci troveremmo già nel pieno della seconda rivoluzione industriale digitale, made in Europe. Henna Virkkunen, eurodeputata finlandese e voce tra le più entusiaste, ha dichiarato che “L’intelligenza artificiale è il cuore della competitività, della sicurezza e della sovranità tecnologica dell’Europa.” Fa effetto, certo. Ma l’entusiasmo istituzionale è spesso inversamente proporzionale all’esecuzione pratica delle politiche UE.

Il piano, presentato il 9 aprile 2025, mira a cavalcare l’ondata AI per trasformare un’Unione lenta, divisa e normativamente labirintica in un “leader globale” nel settore. L’ambizione è tanta, ma la realtà è, come sempre, più intricata. La Commissione tenta di poggiare il suo piano su cinque pilastri: infrastrutture computazionali, accesso a dati di qualità, sviluppo di algoritmi e adozione strategica, formazione di talenti e guarda un po’ semplificazione normativa.

L’Europa si prepara a combattere il cyberattacco con la sua armatura legale: strategia EU, NIS2 e Cyber Resilience Act in azione

Se c’è un settore dove l’Europa ha storicamente arrancato — tra proclami vaghi e mille “strategia comuni” mai implementate — è proprio la cybersicurezza. Troppa frammentazione, troppe gelosie nazionali, troppi piani che si fermavano alla slide. Ma nel 2023 qualcosa è cambiato. E stavolta non si tratta solo di un fondo da annunciare a Davos.

Parliamo di 27 Centri Nazionali di Coordinamento per la Cybersicurezza, uno per ogni Stato Membro UE. Non centri “di facciata” piazzati in qualche capoluogo per dare una carezza alla politica locale, ma strutture operative, tecniche, integrate in una rete continentale che punta a un obiettivo tanto ambizioso quanto necessario: la difesa digitale coordinata e distribuita.

Digital Europe Programme L’Europa digitale che non esiste ancora ma su cui stiamo mettendo miliardi

Il Digital Europe Programme, come lo chiama Bruxelles in uno slancio di creatività anglofona, è l’ennesima colata di miliardi che l’Unione Europea decide di investire per scrollarsi di dosso l’etichetta di vecchia zia lenta della trasformazione digitale. È stato pensato per rendere l’Europa meno dipendente dai cugini americani (Big Tech) e meno vulnerabile alle grinfie digitali di chi, come la Russia, ha capito prima e meglio come si combattono le guerre anche nei cavi di rete.

Parliamo di un pacchetto da oltre 8,1 miliardi di euro, già stanziati all’interno del bilancio pluriennale 2021-2027. Roba seria, in teoria. In pratica, stiamo cercando di correre dietro a un treno che è già passato. Il programma si concentra su cinque aree strategiche: supercalcolo, intelligenza artificiale, cybersicurezza, competenze digitali avanzate e diffusione massiva delle tecnologie digitali, anche e soprattutto tra le PMI e le pubbliche amministrazioni. Esattamente quei settori dove l’Europa ha sempre balbettato tra mille progetti pilota e piani strategici con acronimi inquietanti.

Key Figures. / The DIGITAL Dashboard / Programme in a Nutshell

Hero Esports rilancia l’intelligenza artificiale: il vero gioco ora è scalare il mondo

Se pensavate che l’eSport fosse solo un passatempo per adolescenti nerd con troppo tempo libero, preparatevi a rivedere i vostri pregiudizi. Hero Esports, colosso cinese del gaming competitivo sostenuto dalla colossale ombra finanziaria di Tencent Holdings e dal muscoloso capitale saudita del fondo Savvy Games Group, ha appena deciso che l’unico modo per vincere davvero è giocare d’anticipo. E lo fa con l’arma più potente del momento: l’intelligenza artificiale.

Lo ha detto chiaramente Danny Tang, co-fondatrice e CEO di Hero Esports, in un’intervista che più che una dichiarazione strategica sembra un manifesto per la conquista dell’intera industria: “Stiamo testando diversi modelli di AI, incluso DeepSeek, in ogni area del business”. Tradotto: dal controllo qualità alla produzione dei contenuti, dall’analisi legale fino al modo in cui si muove la camera durante un torneo di PUBG (PlayerUnknown’s Battlegrounds Videogioco), tutto viene analizzato, ottimizzato, reinventato dalla macchina.

Alibaba Damo Panda vuole diagnosticarti il cancro prima ancora che tu stia male

La notizia ha un suono familiare, ma stavolta c’è una sfumatura inedita: la Food and Drug Administration americana ha appena concesso la designazione di “breakthrough device” al modello AI per la diagnosi del cancro sviluppato da Alibaba, noto come Damo Panda. E no, non è uno scherzo: un colosso tecnologico cinese, spesso sotto tiro per questioni geopolitiche e cybersicurezza, ottiene un timbro di eccellenza da parte dell’ente regolatore sanitario più influente al mondo. Questo, più che un’apertura, sa tanto di resa strategica: l’intelligenza artificiale, ormai, parla mandarino anche nel cuore del biomedicale USA.

Damo Panda è un modello deep learning pensato per scovare il cancro al pancreas nelle sue fasi iniziali, quelle che i radiologi umani spesso si perdono, soprattutto se il paziente non ha ancora sintomi. Lo fa elaborando immagini da TAC addominali non contrastografiche, una sfida clinica e computazionale niente male. Allenato su una base dati di oltre tremila pazienti oncologici, Panda ha dimostrato di battere i radiologi in sensibilità diagnostica del 34,1%. E non stiamo parlando di un benchmark simulato: in Cina ha già operato su 40.000 casi reali presso l’ospedale di Ningbo, individuando sei tumori pancreatici in fase precoce, di cui due erano sfuggiti completamente alle analisi umane. Un colpo basso alla medicina difensiva e ai cultori della seconda opinione.

Robot da maratona e sovranità tech: la Cina accelera verso un’era Android per umanoidi

Se mai avevate bisogno di una prova che il futuro non arriverà su ruote, ma su due gambe artificiali, la mezza maratona di Pechino dedicata ai robot umanoidi dovrebbe bastare. Il Tien Kung Ultra, un androide alto 180 cm e pesante 55 kg, ha completato i 21 km in circa 2 ore e 40 minuti, conquistando non solo il primo posto nella corsa, ma anche l’attenzione del mondo. Dietro questa impresa si muove un’ambizione più grande di una semplice vittoria sportiva: diventare l’Android degli umanoidi, l’ossatura software open source sulla quale far camminare e correre la futura intelligenza artificiale incarnata.

La fame energetica dell’Intelligenza Artificiale tra boom dei Data Center e rinascita del nucleare

L’intelligenza artificiale non solo macina dati, ma anche chilowattora. A confermarlo è l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), che nel suo primo rapporto dedicato al rapporto tra AI ed energia, lancia l’allarme: entro il 2030 i data center consumeranno più elettricità dell’intero Giappone, toccando i 945 TWh. Una cifra che evidenzia come l’espansione dell’AI, oltre a rivoluzionare business e processi, stia mettendo a dura prova le infrastrutture energetiche globali.

OpenAI vuole la tua carta d’identità: benvenuti nell’era del LLM KYC

 AMLKYC e KYB compliance

OpenAI ha annunciato che d’ora in poi le organizzazioni che vogliono accedere ai suoi modelli più avanzati dovranno passare per un processo di verifica d’identità. Non si parla di una banale registrazione con email aziendale: si entra nel regno del riconoscimento facciale e del documento ufficiale rilasciato dal governo. Sì, quello con la foto brutta.

Perché? Perché OpenAI, come ogni buon colosso tecnologico che ha finalmente capito che i giocattoli che ha messo al mondo possono essere usati non solo per creare poesie d’amore per gatti, ma anche per scenari meno Disney, ha deciso di mettere le mani avanti. O, meglio, di mettere un bel tornello all’ingresso.

Meno scraping, più sharing: la nuova mossa di Wikipedia per l’AI

Con un colpo di scena in stile open-source, la Wikimedia Foundation ha deciso di affrontare di petto uno dei problemi più spinosi dell’era AI: il sovrasfruttamento dei contenuti da parte degli scraper automatizzati. Lo fa non chiudendo, ma aprendo meglio: nasce così un dataset pensato appositamente per l’addestramento dei modelli di intelligenza artificiale.

Il declino dell’ingegneria del prompt e l’ascesa dell’intelligenza agentica

Nel 2023 ci siamo ubriacati con il concetto di prompt engineering, quella pratica un po’ feticista di incartare un modello LLM come se fosse una caramella magica, sperando che un prompt ben costruito potesse trasformare un pappagallo probabilistico in una creatura senziente e autonoma. Il 2024 ha visto i primi sobbalzi di coscienza. Ma è nel 2025 che si consuma il passaggio di fase: da artigiani della parola a veri AI system architects.

L’intelligenza agentica non è un’estensione del prompt, ma un cambio di paradigma. Un salto da una UI testuale a un runtime cognitivo. Chi continua a insistere sul wrapping dei prompt dimostra di non aver capito il punto. Un agente non è una sequenza di istruzioni ma un organismo computazionale capace di percepire, pianificare, agire e apprendere.

La fragile strategia di OpenAI: il nuovo Preparedness Framework è più marketing che rigore

Nel mondo dell’intelligenza artificiale, dove la corsa all’hype è più serrata di quella alle misure di sicurezza, OpenAI ha recentemente aggiornato il suo Preparedness Framework. Un’iniziativa che, almeno sulla carta, dovrebbe garantire che i rischi legati allo sviluppo e alla distribuzione dei loro modelli rimangano sotto un livello accettabile. Ma come ogni comunicato ben confezionato, anche questo odora più di mossa PR che di reale strategia di contenimento.

OpenAI ora utilizza cinque criteri per decidere quando una capacità dell’AI debba essere trattata con anticipo. Un sistema di valutazione che pare uscito da un manuale di risk management aziendale: se una capacità può causare danni seri, se questi sono misurabili, peggiori rispetto al passato, rapidi e irreversibili, allora finisce sotto la lente. In teoria sembra sensato. Nella pratica, è una formula che lascia tutto all’interpretazione: chi decide cosa è “plausibile”? Chi misura il “significativamente peggiore”? Un framework che si presta troppo facilmente alla flessibilità narrativa del momento.

Regolo.ai, l’intelligenza artificiale che vuole liberarti a emissioni zero

Seeweb,Nel circo globale dell’intelligenza artificiale, dove le major tech americane si combattono a colpi di modelli chiusi, GPU affamate e NDA degne della CIA, ogni tanto spunta qualcuno che osa dire: “Ehi, e se facessimo le cose in modo aperto, sostenibile e soprattutto, europeo?”. Ecco, quel qualcuno si chiama Seeweb, e la risposta si chiama Regolo.ai.

Il 14 aprile 2025, senza troppa fanfara da palcoscenico ma con parecchia sostanza, Seeweb ha lanciato ufficialmente Regolo.ai: una piattaforma di inference AI pensata per sviluppatori veri, non per guru da keynote. Niente slogan vuoti, ma un’infrastruttura AI full-stack, pronta all’uso, basata su API leggere e modelli performanti. Il tutto cucinato in casa da un team che non ha bisogno di comprare hype a Wall Street, perché gioca in casa nel gruppo DHH, già quotato e ben radicato nell’ecosistema digitale europeo.

Qui non si parla di un altro “tool per la productivity” o di un “assistente AI personale” con nomi da astronave. Regolo.ai è una ferramenta digitale per sviluppatori: ti dà accesso a tutto il ciclo di vita del modello, dall’addestramento all’inferenza, senza dover perdere mesi a configurare GPU o a capire se il tuo provider americano ti sta leggendo i log.

McKinsey What is an AI agent? AI agents come chiave di sopravvivenza aziendale: non è più una scelta, è darwinismo digitale

McKinsey, lancia una provocazione che dovrebbe far saltare dalla sedia chiunque occupi una stanza con più di tre monitor: la domanda fondamentale non è se usare l’intelligenza artificiale, ma quanto velocemente sei capace di riscrivere la tua azienda per sopravvivere nel nuovo ordine algoritmico. Sì, perché l’ondata degli AI agents non è solo un’ulteriore moda tecnologica, ma un terremoto operativo e strategico che sta riscrivendo le regole del gioco. E non c’è tempo per i nostalgici.

Qui non si parla di chatbot simpatici o assistenti digitali che rispondono alle email. Stiamo entrando in un’era dove gli agenti AI diventano dirigenti silenziosi, capaci di prendere decisioni, ottimizzare processi, negoziare contratti e, soprattutto, agire in autonomia. La trasformazione non è incrementale. È strutturale. Quindi la vera domanda è: la tua azienda ha il fegato, il codice e la cultura per tenere il passo?

Microsoft ridisegna l’intelligenza artificiale con il primo LLM nativo a 1 bit: BitNet b1.58 2B4T, l’efficienza si mangia la potenza

Nel gioco di potere dei Large Language Model, dove fino a ieri vinceva chi aveva la rete neurale più gonfia e il datacenter più affamato, Microsoft cala un jolly cinico e sorprendentemente umile: BitNet b1.58 2B4T, il primo LLM nativo a 1 bit, che anziché urlare “più grande è meglio”, sussurra qualcosa di molto più inquietante per i rivali: “più piccolo può batterti comunque”. Con 2 miliardi di parametri — roba che una volta avremmo definito mid-size — questo modello è un capolavoro di ottimizzazione brutale. E sì, “nativo a 1 bit” significa esattamente quello che sembra: la rete usa solo -1, 0 e 1 per rappresentare i pesi.

Dietro c’è un’idea tanto banale quanto rivoluzionaria: se riesci a riscrivere le fondamenta stesse della matematica neurale senza distruggere le performance, puoi infilare l’intelligenza artificiale ovunque. Non più solo in GPU da 10.000 dollari, ma anche nel laptop aziendale del 2018, o nel frigorifero smart di domani mattina.

Google sotto assedio: la fine del monopolio pubblicitario è iniziata

La narrazione dell’onnipotente Google che domina il web inizia a sgretolarsi a colpi di sentenze. Un tribunale federale della Virginia ha inferto un colpo chirurgico al cuore dell’impero pubblicitario di Mountain View, stabilendo che la compagnia ha violato la legge antitrust “acquisendo e mantenendo volontariamente un potere monopolistico” nel settore delle tecnologie pubblicitarie. Non si tratta di una semplice multa o di una reprimenda retorica: è l’inizio di una potenziale disgregazione strutturale del modello di business che ha reso Google il gigante che conosciamo oggi.

OpenAI aggiorna i suoi modelli ma qualcosa non quadra: o3 e o4-mini più intelligenti, ma anche più bugiardi

Mentre OpenAI sgancia silenziosamente due nuovi modelli, o3 e o4-mini, accompagnati da un system card ufficiale degno di un audit militare, su Reddit e altri forum tecnici americani si sta scatenando un confronto acceso. Sotto il tappeto patinato dell’annuncio ufficiale si nasconde un contrasto quasi schizofrenico tra performance ingegneristiche eccellenti e una tendenza pericolosa alla hallucination, ovvero a inventare balle con una sicurezza inquietante.

Secondo quanto si legge nel documento ufficiale, i nuovi modelli della serie o di OpenAI rappresentano un balzo avanti nel ragionamento logico e nella capacità di interagire con strumenti esterni come il web browser, Python, e l’analisi di immagini. Ma proprio questo upgrade, che li rende apparentemente più sofisticati, è accompagnato da un peggioramento delle prestazioni in task real-world, meno strutturati e meno “accademici”. In altre parole, se gli chiedi di costruire un sistema distribuito, brillano. Ma se provi a fargli descrivere la dinamica di una protesta in Myanmar o a spiegare perché una policy aziendale sia fallita, si perdono come un junior developer al suo primo on-call.

Semiconduttori da record: Nvidia in vetta, ma la guerra commerciale incombe

Fatturato record per l’industria dei semiconduttori nel 2024: secondo gli ultimi dati diffusi da Gartner, il settore ha raggiunto i 655,9 miliardi di dollari a livello globale, segnando una crescita del 21% rispetto ai 542,1 miliardi del 2023. Un balzo trainato principalmente dall’esplosione della domanda legata alle infrastrutture per l’intelligenza artificiale, che sta ridisegnando le gerarchie di mercato tra i grandi colossi tecnologici.

AGENTIC Framework – il 2025 sarà l’anno in cui gli agenti autonomi prenderanno decisioni (al posto tuo)

Il 2024 è stato un luna park. Tutti a giocare con i LLMs come fossero l’ultima app mobile in beta: prompt su prompt, playgrounds pieni, demo fighette e zero responsabilità. Ma ora che il giocattolo ha mostrato i denti, il 2025 si candida a essere il momento della verità. Niente più sandbox, si parla di production-grade deployments. L’era degli agenti AI autonomi, che prendono decisioni e agiscono davvero. Senza babysitter. Senza rete.

Il problema? Ce ne sono troppi. E ognuno promette la luna.
LangGraph, CrewAI, AutoGen, Semantic Kernel, SmolAgents, AutoGPT, Google ADK, per citarne alcuni.
Sembra una lotteria. Ma non lo è. È una guerra silenziosa per dominare lo stack esecutivo dell’IA.

Panopticon AI: Google regala l’intelligenza artificiale agli studenti USA: carità strategica o cavallo di Troia accademico?

Quando un colosso come Google inizia a regalare qualcosa, è il momento di preoccuparsi. A partire da oggi, gli studenti universitari negli Stati Uniti possono accedere gratuitamente al piano Google One AI Premium, un servizio normalmente venduto a 20 dollari al mese, fino al 30 giugno 2026. Una mossa che suona tanto come beneficenza digitale, ma che odora pesantemente di colonizzazione dell’ambiente accademico.

Per aderire, basta iscriversi entro il 30 giugno 2025 usando un’email .edu, cioè l’equivalente tecnologico del lascia passare imperiale nel mondo universitario americano. Google, bontà sua, promette anche di avvisare via email prima della scadenza, così gli studenti potranno “cancellare in tempo”. L’intenzione dichiarata? Aiutare gli studenti a “studiare in modo più intelligente”. L’intenzione reale? Intrappolarli nel proprio ecosistema prima che imparino a leggere la concorrenza.

Intel: il gigante con i piedi d’argilla si affida a Lip-Bu Tan per smontarsi e provare a rinascere

Quando un colosso come Intel comincia a smettere di respirare innovazione e inizia a respirare burocrazia, è solo questione di tempo prima che qualcuno decida di tagliare via la carne morta. Ed ecco che Lip-Bu Tan, fresco di nomina a CEO, non perde tempo: prende in mano la scure e comincia a “piattire” l’organigramma come un vecchio ingegnere stanco delle chiacchiere in sala riunioni.

Nel giro di poche settimane dalla sua nomina, Tan ha mandato segnali forti. E non stiamo parlando di generici “intenti strategici” alla Harvard Business Review, ma di movimenti concreti. Via le strutture a cipolla, dentro un nuovo assetto in cui i pesi massimi del silicio gruppi storici come quello dei chip per data center, AI e personal computing risponderanno direttamente a lui. Un ritorno all’essenza: meno PowerPoint, più ingegneria.

Giorgia Meloni respinge la scelta “infantile” tra Trump e l’Europa, la strategia di Trump per un accordo commerciale con l’Europa

Nel cuore della politica commerciale internazionale, Donald Trump ha rilasciato dichiarazioni che hanno suscitato l’attenzione di analisti e diplomatici. Durante un incontro con la Premier italiana Giorgia Meloni alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti ha affermato che ci sarebbe stato un “accordo commerciale al 100%” con l’Unione Europea. Questa dichiarazione, inaspettata rispetto alla retorica che Trump ha usato in passato contro l’Europa, ha sollevato interrogativi sulla sua strategia e sulle reali intenzioni dietro la minaccia di tariffe su acciaio, alluminio e auto. Un’affermazione che sembra essere il preludio a negoziati che potrebbero segnare una svolta nelle relazioni transatlantiche.

L’incontro tra Trump e Meloni non è solo un semplice scambio di battute politiche. Meloni, che ha costruito un rapporto di fiducia con il presidente americano, si trova nella difficile posizione di mediare tra gli interessi degli Stati Uniti e quelli dell’Unione Europea. La sua presenza a Washington aveva l’obiettivo di evitare l’escalation della guerra commerciale con l’Europa, in particolare cercando di evitare l’aumento delle tariffe imposte da Trump. Nonostante la retorica aggressiva, Trump ha parlato con un certo ottimismo: “Ci sarà un accordo commerciale, al 100%”, ha detto, indicando una volontà di raggiungere un’intesa con l’Europa, ma a condizioni che siano favorevoli agli Stati Uniti.

Trump valuta da mesi la rimozione di Powell: una mossa che potrebbe far crollare i mercati, secondo Warren

Donald Trump, nell’ombra e senza fanfare, starebbe da mesi vagliando l’idea di far fuori Jerome Powell, l’attuale presidente della Federal Reserve. Nessuna dichiarazione ufficiale, solo il classico gioco di sussurri e voci filtrate da ambienti “vicini ai fatti” la liturgia consolidata del potere quando vuole testare la temperatura dell’acqua senza sporcarsi le mani. Ma la temperatura, stavolta, rischia di bollire tutto.

L’ex presidente, che già in passato ha più volte criticato Powell per la sua gestione dei tassi d’interesse, ora sembra pronto ad affondare il colpo qualora tornasse alla Casa Bianca nel 2025. La sua antipatia nei confronti del numero uno della Fed non è una novità. Trump voleva tassi a zero, o meglio negativi, in pieno stile giapponese-decadente. Powell, invece, ha resistito – almeno quanto ha potuto –alla tentazione di trasformare la politica monetaria americana in un casino di Las Vegas. E questo, a Trump, non è mai andato giù.

Grok entra nella guerra della memoria: la rincorsa inutile all’illusione dell’IA che ti “conosce”fonte ufficiale

L’ultimo giocattolo annunciato da xAI – il progetto di Elon Musk, ovvero la sua personale crociata contro OpenAI, Google e tutto ciò che odora di AI mainstream – è l’introduzione della “memoria” su Grok, il suo chatbot integrato nell’ecosistema X (ex Twitter). Niente di nuovo sotto il sole, direbbe chiunque mastichi almeno superficialmente il mondo dei modelli linguistici. La memoria nei chatbot non è una novità, è una feature ormai standard: ChatGPT l’ha integrata già da tempo, Gemini lo stesso. Quello che cambia è il contesto: il solito Musk-style, dove ogni beta diventa evento, ogni update una rivoluzione annunciata, e ogni “coming soon” una campagna marketing camuffata da nota di rilascio.

Wikipedia addestra gli addestratori: la finta apertura che serve a chiudere le porte ai bot

Quando una piattaforma fondata sull’utopia della conoscenza libera decide di “semplificare” la vita agli sviluppatori di intelligenza artificiale con un dataset ufficiale, bisogna sempre chiedersi: a chi conviene davvero? La Wikimedia Foundation ha annunciato la pubblicazione su Kaggle la piattaforma di Google per il machine learning di un dataset in beta contenente dati strutturati tratti da Wikipedia, in inglese e francese, pensato per addestrare modelli di AI.

Sembra un dono alla comunità, ma è un cavallo di Troia. Dietro la maschera dell’altruismo open source si nasconde una strategia di contenimento: evitare che gli scraper e i crawler automatici di OpenAI, Anthropic, Meta & soci continuino a divorare banda e cicli server a colpi di scraping massivo e disordinato. L’iniziativa, nelle intenzioni di Wikimedia, dovrebbe fornire un’alternativa ufficiale, elegante, e soprattutto controllabile. Niente più parsing di HTML grezzo, niente più richieste al limite del DoS mascherate da “ricerca”. Solo JSON ben confezionato, con abstract, infobox, sezioni e link a immagini. Mancano però riferimenti, contenuti audio e tutto ciò che esce dal testo scritto. In pratica: il cuore, ma senza il sangue.

Google sotto accusa per la trasparenza carente nei report di sicurezza di Gemini 2.5 Pro e Flash

Google si trova nuovamente al centro delle polemiche per la gestione della trasparenza e della sicurezza dei suoi modelli di intelligenza artificiale, in particolare Gemini 2.5 Pro e la nuova variante Flash. Nonostante le promesse di innovazione e affidabilità, l’azienda è stata criticata per la scarsa chiarezza nei report di sicurezza e per le pratiche di valutazione discutibili.

Il report di sicurezza di Gemini 2.5 Pro è stato definito “scarno” da TechCrunch, sollevando dubbi sulla reale affidabilità del modello. La mancanza di dettagli specifici e l’assenza di una documentazione approfondita hanno alimentato le preoccupazioni sulla trasparenza delle pratiche di Google. Inoltre, l’azienda non ha ancora pubblicato un report per il modello Gemini 2.5 Flash, annunciando che sarà disponibile “presto”, ma senza fornire una data precisa.

Motorola e il Razr piegato sull’AI: Perplexity sfida Gemini nella corsa all’assistente definitivo

Mentre il mondo continua a chiedersi se abbiamo davvero bisogno di un altro assistente vocale, Motorola decide di fare all-in sull’intelligenza artificiale con il prossimo Razr, previsto per il 24 aprile. Non sarà solo un altro pieghevole nostalgico, ma una piattaforma sperimentale per una nuova battaglia tra colossi: Gemini vs Perplexity. E a quanto pare, Motorola non intende restare neutrale.

La notizia arriva da Bloomberg, che conferma una partnership tra Motorola e Perplexity. L’assistente vocale AI sviluppato da quest’ultima non sarà solo una comparsa. Avrà il suo posto a bordo del Razr accanto a Gemini, ma con una UI personalizzata e una spinta di marketing che lascia intuire dove Motorola voglia veramente portare i suoi utenti. Il teaser pubblicato sui social, dove il Razr si trasforma nella parola “AI”, non è solo estetica: è una dichiarazione di intenti.

La rivoluzione silenziosa delle spie digitali: quando l’intelligenza artificiale si traveste da attivista per incastrarti

Nell’America che sventola la bandiera della libertà come fosse una carta fedeltà del supermercato, un nuovo episodio si iscrive alla cronaca dell’inganno istituzionale con una freddezza algoritmica da far impallidire anche Orwell. Secondo quanto rivelato da 404 Media, le forze dell’ordine statunitensi stanno impiegando Overwatch, uno strumento di sorveglianza digitale basato su intelligenza artificiale, per infiltrarsi nei network criminali. Fin qui, tutto suona prevedibile. Ma il diavolo — come sempre — si nasconde nei dettagli e, in questo caso, anche nei pixel del profilo fake.

Overwatch non si limita a generare avatar generici da film di quarta serata. La piattaforma sviluppata da Massive Blue, una società che probabilmente ha guardato Black Mirror scambiandolo per un documentario motivazionale, crea “agenti virtuali realistici” che operano sotto copertura. Il loro obiettivo? Estrarre prove incriminanti da presunti narcotrafficanti, trafficanti di esseri umani, e — qui la stretta alla gola si fa netta — anche da attivisti politici “radicalizzati” e da studenti manifestanti. Sì, proprio quelli che magari lottano per diritti civili, per la giustizia climatica o per l’accesso all’istruzione. Le nuove minacce alla sicurezza nazionale, evidentemente.

Uno degli esempi di “persona radicalizzata” che Massive Blue ha orgogliosamente sviluppato è una donna di 36 anni, divorziata, senza figli, dichiaratamente body positive, appassionata di cucina e di attivismo non meglio specificato. Un profilo che, a prima vista, sembrerebbe uscito da un post di BuzzFeed su “le 10 cose che le donne indipendenti fanno di domenica”. Invece, è un’esca digitale pronta a raccogliere conversazioni, opinioni, e potenzialmente prove “a carico” in spazi social, forum, DM e qualsiasi altro interstizio della comunicazione online. Un avatar con l’anima di un interrogatorio sotto copertura.

La portata etica e legale di questa operazione è, tanto per cominciare, una bomba atomica nel campo della privacy e del diritto alla libera espressione. Se un bot può fingersi un compagno di lotta, uno sconosciuto empatico o un confidente virtuale solo per carpire informazioni, allora nessuna discussione online è al sicuro. Non siamo più nell’era della sorveglianza passiva, ma in quella della manipolazione attiva, dove l’AI non è solo uno strumento di raccolta dati, ma un attore nel senso teatrale e strategico del termine.

Non ci sono warrant, non ci sono limiti temporali, non c’è alcuna trasparenza. Questi agenti digitali possono insinuarsi in ambienti sensibili, raccogliere contenuti personali, e costruire narrazioni criminali su individui che magari stavano solo sfogando frustrazione o partecipando a un’azione collettiva. Il tutto mentre la linea che separa l’infiltrazione da una vera e propria provocazione diventa talmente sottile da dissolversi.

Tecnicamente parlando, Overwatch rappresenta una svolta nel paradigma dell’intelligence predittiva. Le sue IA sono presumibilmente dotate di modelli linguistici avanzati, capaci di sostenere conversazioni fluide, leggere il contesto emozionale e adattarsi come camaleonti al tono dell’interlocutore. Un’evoluzione delle chatbot che, invece di offrirti supporto clienti o appuntamenti al dentista, ti conduce lentamente verso una trappola legale camuffata da confronto umano. Di fatto, una simulazione sociale altamente sofisticata, che non avrebbe sfigurato nella Stanford Prison Experiment, solo che stavolta il carceriere non è un uomo: è codice.

Dal punto di vista della sicurezza informatica, questa prassi introduce un livello di rischio sistemico. L’uso di entità AI travestite da utenti reali mina la fiducia nel tessuto digitale. Ogni nuova connessione potrebbe essere un poliziotto sotto copertura generato da GAN, ogni like potrebbe essere un’esca, ogni messaggio un interrogatorio travestito da flirting. È il cortocircuito della socialità: più siamo interconnessi, più diventiamo vulnerabili non solo al phishing, ma alla profilazione investigativa automatica.

E mentre gli Stati Uniti, come al solito, fanno da laboratorio distopico, non è difficile immaginare la migrazione di questi strumenti in altri contesti: Cina, Russia, ma anche democrazie “mature” dove il dissenso è tollerato solo finché non infastidisce le quote di consenso. Nessuna tecnologia resta isolata: si replica, si adatta, si vende. Oggi spia un attivista climatico in Oregon, domani un giornalista freelance in Italia, dopodomani chiunque osi criticare lo status quo da una tastiera.

Se pensavi che l’unica preoccupazione online fosse l’algoritmo di TikTok o le politiche dei cookie, sappi che da oggi potresti parlare con un bot della polizia convinto di essere una femminista solitaria col talento per i cupcake. Il futuro non è arrivato: è entrato dalla porta sul retro, con un profilo falso e un badge invisibile.

Grok studio sfida ChatGPT e Claude: Musk lancia l’offensiva con un IDE AI per creativi, sviluppatori e aspiranti game designer

Nel perpetuo teatro della guerra per l’egemonia dell’intelligenza artificiale, Elon Musk ha appena piazzato un nuovo pezzo sulla scacchiera. Si chiama Grok Studio e rappresenta la versione xAI di un campo da gioco creativo e tecnico, qualcosa a metà tra un Google Docs potenziato, un IDE collaborativo e un’interfaccia AI generativa per chi pensa che l’interfaccia utente perfetta debba assomigliare a un canvas condiviso con HAL 9000.

Lanciato il 16 aprile, Grok Studio entra in diretta competizione con le esperienze “canvas-based” di ChatGPT e Claude, ribaltando il tavolo con qualche mossa ben calibrata sul piano dell’usabilità. A differenza dell’approccio quasi minimalista adottato da Anthropic con Artifacts, o la verticalizzazione funzionale di OpenAI con ChatGPT Canvas, xAI punta tutto su un’interazione immersiva, potenziata, dove l’AI non è solo assistente ma partner operativo — e anche un po’ intrusivo, se vogliamo.

Nvidia gioca a scacchi a Pechino mentre gli Stati Uniti impongono nuove regole

Jensen Huang non è un CEO qualsiasi. È un fondatore con il carisma di un rockstar e la strategia di un generale in guerra. La sua visita a sorpresa a Pechino non è solo un gesto diplomatico: è una mossa tattica in una partita a scacchi globale dove la tecnologia è il nuovo petrolio. Un giorno prima, gli Stati Uniti avevano imposto nuove restrizioni sull’esportazione dei chip H20 di Nvidia verso la Cina, con una perdita stimata di 5,5 miliardi di dollari. Il giorno dopo, Huang era già a cena con i cinesi, come se nulla fosse. O meglio, come se tutto fosse in gioco.

La visita, orchestrata con la discrezione che si riserva agli incontri tra rivali con interessi comuni, è avvenuta su invito della China Council for the Promotion of International Trade, un organo statale che ormai gioca il ruolo di ambasciatore ombra tra Pechino e le grandi corporate americane. Huang si è incontrato con il presidente Ren Hongbin, promettendo che Nvidia “non risparmierà sforzi” per ottimizzare i suoi prodotti secondo i vincoli normativi, e che “servirà in modo incrollabile” il mercato cinese. Tradotto dal linguaggio diplomatico: Nvidia farà tutto il necessario per non perdere la Cina, anche a costo di disegnare chip su misura per un Paese sotto embargo.

Smart Glasses 2 Titanium, Huawei rilancia con i suoi occhiali smart AI mentre il mercato globale si trasforma in un campo di battaglia high-tech

Mentre i giganti del tech si azzuffano a colpi di algoritmi e hardware sempre più “intelligente”, Huawei ha deciso di rifarsi il trucco o meglio, il titanio e rilanciare sul mercato i suoi occhiali intelligenti di seconda generazione. La nuova versione, battezzata con modestia Huawei Smart Glasses 2 Titanium, promette di fare di più, meglio e con più stile… almeno a detta loro. Prezzo? 2.299 yuan, che al cambio sono circa 315 dollari. Per un paio di occhiali che fanno tutto tranne che servirti il caffè (per ora).

Huawei cerca così di piazzarsi meglio in una giungla affollata di occhiali “smart” dove il vero collante è l’intelligenza artificiale generativa, la stessa che muove ChatGPT. Da Baidu a ByteDance, da Xiaomi ad Alibaba, tutti vogliono un pezzo della torta. E il profumo è quello tipico dei mercati emergenti con margini ancora tutti da scrivere: più di 1,5 miliardi di occhiali (tra da vista e da sole) venduti ogni anno rappresentano un bacino potenziale enorme per l’iniezione di intelligenza artificiale nel quotidiano.

Meta ti prende l’anima digitale: il tempo stringe per fermare l’addestramento delle sue IA coi tuoi dati

Dal 27 maggio 2025, Meta inizierà ufficialmente a usare ogni tuo post pubblico per rendere le sue intelligenze artificiali un po’ più “europee”. Non è un pesce d’aprile tardivo, ma una vera e propria svolta epocale nelle policy della compagnia, che impatta milioni di utenti adulti in tutta l’Unione. La motivazione ufficiale è nobile, quasi poetica: rendere l’IA più sensibile alle “sfumature culturali, linguistiche e sociali” del Vecchio Continente. Peccato che, nella sostanza, si tratti dell’ennesima miniera d’oro estrattiva, dove i dati pubblici degli utenti diventano carburante gratuito per le macchine di Menlo Park.

In nome del “legittimo interesse”, Meta intende succhiare contenuti pubblici da Facebook, Instagram, Messenger e persino il Marketplace. L’unico superstite della carneficina resta WhatsApp, che per ora pare escluso dal banchetto dell’addestramento. I dati privati? No, non saranno toccati. Ma attenzione: “privato”, nel linguaggio delle big tech, è un concetto elastico. Se qualcuno pubblica una tua foto o ti tagga in un commento pubblico, potresti comunque finire nel tritacarne algoritmico.

Quando l’IA va in tribunale e perde: i modelli LLM falliscono il test di Phoenix Wright

È bastato un videogioco giapponese degli anni 2000, con grafica pixelata e drammi da soap legale, per mettere in crisi i più avanzati cervelloni digitali del momento. I ricercatori dell’Hao AI Lab dell’Università della California a San Diego hanno avuto un’idea tanto geniale quanto beffarda: testare i più sofisticati modelli di intelligenza artificiale chiedendo loro di giocare a Phoenix Wright: Ace Attorney, il titolo cult in cui un giovane avvocato difende clienti accusati ingiustamente, a colpi di obiezioni teatrali, indagini surreali e deduzioni da investigatore logico.

Il test non era un capriccio accademico, ma un esperimento su vasta scala per verificare se gli LLM (Large Language Models) siano davvero capaci di gestire problemi complessi che richiedono non solo competenze linguistiche, ma anche ragionamento induttivo, riconoscimento visivo, coerenza narrativa e, soprattutto, senso logico del mondo.

Risultato? Più che “intelligenza artificiale”, è sembrata “confusione algoritmica”.

OpenAI punta su Windsurf: una mossa da 3 miliardi per dominare l’IDE del futuro

OpenAI sta valutando l’acquisizione di Windsurf, l’IDE “agentico” sviluppato da Codeium, per una cifra che si aggira intorno ai 3 miliardi di dollari . Se l’accordo dovesse concretizzarsi, rappresenterebbe la più grande acquisizione nella storia di OpenAI.​

Windsurf si distingue per la sua capacità di combinare le funzionalità di un copilota AI con quelle di un agente autonomo. Questo approccio consente agli sviluppatori di collaborare con l’intelligenza artificiale in modo più fluido e intuitivo, migliorando la produttività e riducendo gli errori .​

Tra le caratteristiche principali di Windsurf troviamo la funzione “Cascade”, che permette una comprensione profonda del codice e suggerimenti contestuali in tempo reale. Inoltre, l’IDE supporta l’editing multi-file e l’esecuzione di comandi intelligenti, facilitando la gestione di progetti complessi.

Microsoft vuole leggerti lo schermo: Copilot Vision ora gratis su Edge

C’è una nuova voce nell’aria letteralmente – ed è quella di Copilot Vision, il nuovo giocattolo AI che Microsoft ha deciso di mettere a disposizione gratuitamente per chi usa il browser Edge. Il CEO della divisione AI di Microsoft, Mustafa Suleyman, l’ha annunciato su Bluesky con tono entusiasta, ma il sottotesto è chiaro: Microsoft vuole che lasciamo che il suo assistente virtuale veda tutto quello che vediamo noi.

Sì, hai letto bene: una volta attivato, Vision è in grado di “vedere” ciò che è sul tuo schermo e rispondere in tempo reale con suggerimenti, assistenza contestuale e commenti a voce. Un’esperienza “talk-based”, come la definiscono a Redmond, dove tu parli all’aria e aspetti che il tuo browser risponda. Cose da 2025, ma con un retrogusto da episodio distopico di Black Mirror.

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