Etica dell’intelligenza artificiale: due visioni a confronto
Antonio Dina affronta l’etica dell’IA con un taglio strategico, sistemico e profondamente legato alla governance del potere algoritmico. Per lui, l’Ai deve essere vincolata da principi di trasparenza attiva, accountability tracciabile e coerenza con gli obiettivi sociali, economici e culturali di lungo periodo. L’etica, in questa visione, non è un freno ma un framework competitivo.
Fabrizio Degni adotta un approccio più ingegneristico e tecnico, focalizzato sulla robustezza dei modelli, l’equità computazionale e la mitigazione dei bias, ma senza rinunciare a una riflessione filosofica sulla responsabilità condivisa tra sviluppatori e fruitori. La sua etica è più pragmatica: un set di buone pratiche ex ante, per evitare derive sistemiche ex post.
Due scuole di pensiero: una orientata alla regia del cambiamento, l’altra alla prevenzione dell’errore.
Benvenuti nel mondo dove i manifesti dell’etica sull’intelligenza artificiale si stampano a Bangkok, ma le decisioni che contano si prendono a Washington, Pechino e nei boardroom privati di San Francisco. L’UNESCO ha riunito più di mille persone al suo Global Forum sull’Etica dell’AI, compresi 35 ministri di governi prevalentemente del sud globale, nel disperato tentativo di rendere vincolanti delle linee guida etiche che, per ora, restano più dichiarazioni d’intenti che strumenti concreti. Mancavano però i protagonisti principali del teatro AI: OpenAI, Google, Microsoft, DeepSeek. È come organizzare un summit per la pace e scoprire che le due superpotenze in “guerra” hanno declinato l’invito.
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