La METR (Measuring AI Ability to Complete Long Tasks) ci lancia una previsione degna della vecchia Legge di Moore: l’autonomia operativa delle intelligenze artificiali sta raddoppiando ogni sette mesi dal 2019. Se il trend prosegue, nel giro di cinque anni potremmo avere IA capaci di realizzare in autonomia il grosso dei task che oggi occupano giorni o settimane di lavoro umano. Entro la fine del decennio, potremmo vedere AI in grado di portare avanti progetti della durata di un mese senza alcun intervento umano. Fantascienza? No, una proiezione matematica basata sui dati attuali.

Ma qui si apre il solito dibattito: cosa accade quando l’automazione cresce a velocità esponenziale mentre l’economia rimane vincolata a un modello che assegna valore alla capacità di spesa umana? Il nodo centrale è sempre quello: che senso ha produrre in modo iperefficiente se la domanda crolla perché i lavoratori-consumatori non esistono più? L’idea di un’economia in cui tutto diventa “quasi gratuito” grazie all’automazione totale è una narrazione da venture capitalist con il lusso di ignorare le dinamiche macroeconomiche.

L’utopia di Andreessen e il “wage crash”

Marc Andreessen, una delle voci più influenti della Silicon Valley, ha una visione radicale: prima subiremo un crollo dei salari causato dall’AI, poi entreremo in un’era di abbondanza in cui la produttività schizza alle stelle e i prezzi collassano. Una visione che ricorda il “tecnottimismo” che ha giustificato ogni ondata di disoccupazione tecnologica dalla rivoluzione industriale in poi. Ma qui il problema è diverso.

L’idea che la riduzione dei costi di produzione si traduca automaticamente in prezzi stracciati per i consumatori è una semplificazione brutale. Certo, il costo marginale di molti beni potrebbe avvicinarsi allo zero, come già accade per il software e alcuni servizi digitali. Ma la struttura dei prezzi non dipende solo dal costo del lavoro. Terreni, materie prime, energia, brevetti e politiche aziendali influenzano il costo finale. Pensare che il “wage crash” porterà a una società in cui tutti vivono nel lusso è una favola utile solo a chi vuole che l’AI spazzi via intere categorie di lavoratori senza troppe resistenze politiche.

Il paradosso dell’AI: iperproduttività senza consumatori

L’adozione massiccia dell’AI senza un ripensamento del modello economico porta a un vicolo cieco. Le aziende diventano super efficienti, ma la domanda aggregata crolla. Il denaro che prima veniva distribuito attraverso i salari si concentra nelle mani di pochi proprietari di capitali. Senza un intervento strutturale, l’AI rischia di portare a una stagnazione globale, con poche mega-corporation che dominano mercati in contrazione e una massa crescente di persone prive di reddito e potere d’acquisto.

Certo, ci sono alternative: reddito di base, nuovi modelli di proprietà condivisa dell’AI, tasse sui guadagni da automazione. Ma se lasciamo che sia il mercato a decidere, la storia suggerisce che non si andrà in quella direzione.

La vera domanda quindi non è se l’AI riuscirà a portare avanti progetti di mesi in autonomia (lo farà, con un margine di errore sempre più basso). La questione è: chi beneficerà di questa evoluzione e chi sarà tagliato fuori? Il futuro non è scritto, ma se la risposta è “solo chi possiede le macchine”, allora la crisi sociale non sarà un incidente di percorso, ma una certezza.