Il sogno dorato del Made in China, sold on Amazon si sta sbriciolando sotto i colpi di nuove barriere doganali statunitensi. E questa volta non si tratta di una mossa graduale o diplomatica. È una frustata, netta e rumorosa. Con la consueta grazia da bulldozer, l’amministrazione Trump ha fatto saltare due pilastri chiave del successo dell’e-commerce cinese negli Stati Uniti: da un lato un nuovo pacchetto di dazi fino al 34%, dall’altro la fine dell’esenzione de minimis per spedizioni inferiori a 800 dollari, che fino ad oggi garantiva una via d’accesso privilegiata alla giungla americana.

La reazione è stata immediata e prevedibile: panico operativo, prezzi ritoccati, sconti strappati con violenza dalle homepage, e un’ondata di esplorazioni in territori più ospitali – Europa, Medio Oriente, e chi più ne ha più ne cerchi. Il business transfrontaliero cinese, che ha visto una crescita a doppia cifra anno su anno, toccando quota 2,63 trilioni di yuan nel 2024 (pari a 361 miliardi di dollari), sta ora facendo i conti con un brusco risveglio.

La bomba fiscale è stata confezionata con un 10% di dazio universale, più un bel 24% specifico per i prodotti cinesi. Il tutto a partire dal 5 aprile per la parte “soft” e dal 9 aprile per la parte “hard”. A maggio, poi, la ciliegina: stop al de minimis. Addio sogni di gloria per i milioni di piccoli pacchi che ogni giorno varcavano l’oceano camuffati da regali o ordini minimi.

Il problema è strutturale. Le piattaforme come Amazon, Shein, Temu e TikTok Shop sono diventate la linfa vitale per più di 120.000 venditori cinesi che esportano principalmente verso gli Stati Uniti. Ma questi venditori non sono conglomerati industriali. Sono spesso microimprese, assemblaggi familiari in province dimenticate, che usano la logistica globale come corsia preferenziale per vendere a consumatori occidentali senza intermediari e con margini ridotti al minimo.

Gente come Ding Minjian, un commerciante della provincia di Anhui, che vende un prodotto all’apparenza banale – unghie finte adesive – ma che lo fa con branding, personalizzazione e canali digitali. Ha un sito (JWG.com), vende via TikTok, parla inglese fluente nei copy pubblicitari e offre spedizioni gratuite. Fino a ieri sembrava un caso studio della globalizzazione vincente. Oggi è un altro che guarda verso l’Europa come piano B, forse C, mentre si prepara a rivedere prezzi e tempi di consegna.

Lui, fortunatamente, lavora su prodotti a margine alto. Ma per la massa indistinta di rivenditori di articoli low-cost – magliette, cover per iPhone, gadget da 2 dollari – la botta è devastante. Le promozioni pasquali sono saltate. I piani di marketing ritirati. Gli sconti del 15% per gli americani, tolti dal carrello digitale senza tanti complimenti. A parlare è una venditrice TikTok che preferisce rimanere anonima, come a dire che nel Far West dell’export cinese, anche la paura fa marketing.

Chi cerca di essere più ottimista è una venditrice di Temu, tale Liu, che nota come i costi dei container siano drasticamente calati rispetto al delirio pandemico del 2021 – da 20.000 a 1.500 dollari per un contenitore da 40 piedi. Un risparmio che mitiga, ma non cancella, l’impatto dei nuovi dazi. Anche lei guarda all’Europa e al Sudest asiatico con occhi affamati, ma con una consapevolezza nuova: la dipendenza dagli Stati Uniti è un rischio sistemico.

Il mondo istituzionale cinese non è rimasto a guardare. Il China National Textile and Apparel Council, insieme al Light Industry Council, ha emesso dichiarazioni ufficiali per opporsi al giro di vite americano. Il messaggio è chiaro: questa guerra commerciale 2.0 è una minaccia per tutto l’ecosistema manifatturiero cinese. Ma in realtà è anche un’occasione per diversificare, per de-dollarizzare la strategia export, e forse per spingere la digitalizzazione interna verso modelli meno schiavi della logistica USA-centrica.

Il vero punto, però, è che il commercio elettronico cross-border non è più quel paradiso fiscale travestito da innovazione digitale. È diventato un campo di battaglia geopolitico, dove ogni click ha un prezzo politico, e ogni spedizione può essere un bersaglio doganale. E in questo nuovo scenario, l’era dell’e-commerce cinese facile, veloce e senza dazi sembra volgere al termine.