La scena è questa: un uomo con un occhio nero, un figlio di nome “X”, e una valigetta di pillole. No, non è una puntata di Black Mirror. È l’America del 2024, ed Elon Musk si aggira per la Casa Bianca come uno Steve Jobs con l’hangover. Il New York Times sgancia la bomba: Musk avrebbe fatto uso intensivo di ketamina durante la campagna elettorale, con tanto di effetti collaterali da manuale – come i ben noti problemi alla vescica. Ma c’è di più. Ci sarebbero anche funghi allucinogeni, ecstasy e un’apoteosi da party Ibiza-style camuffata da crociata di efficienza statale.
La keyword dominante? Elon Musk droghe. Ma le parole che sussurrano dietro le quinte sono altre: potere, simulazione, declino.
Musk, il guru dell’ottimizzazione, è diventato il simbolo dell’irrazionale vestito da efficienza. Lo avevamo visto già con Twitter pardon, X dove l’approccio “distruggiamo tutto e vediamo cosa resta” era stato promosso come nuova frontiera dell’innovazione. E ora rieccolo, con lo stesso copione, alla guida del “Doge”, il Dipartimento per l’Efficienza Governativa. Spoiler: l’unica cosa efficiente è stata la velocità con cui hanno licenziato decine di migliaia di dipendenti pubblici. Un bagno di sangue con Photoshop istituzionale.
Il parallelo con uno sciamano digitale che taglia reparti governativi come fossero righe di codice rotte è troppo ghiotto per non essere sfruttato. Musk, l’uomo che si è autodefinito “disilluso”, ha lasciato il governo dopo soli quattro mesi. Un lampo nella palude. Ma cosa ci dice davvero questa vicenda?
Che il culto della personalità ha superato ogni logica. In un mondo dove un CEO può salire su un palco con una motosega e ricevere una chiave d’oro dal presidente degli Stati Uniti, la realtà ha ceduto il passo alla performatività tossica. Letteralmente.
Nel frattempo, i razzi di SpaceX esplodono più frequentemente di quanto i bilanci vengano rispettati. Tesla perde quota, anche per via delle bizze di un leader che alterna dichiarazioni surreali a post su X in stile “non mi drogo, sto solo esplorando il mio buco nero mentale”. Il problema non è la ketamina in sé – che, ricordiamolo, è già usata in contesti clinici – ma il suo utilizzo strumentale come narrativa redentiva. Depressione? Ketamina. Stress da taglio governativo? Ketamina. Performance creativa calante? Ancora ketamina. Un uso terapeutico che si tinge di marketing personale.
Nel suo commiato alla Casa Bianca, Musk ha paragonato il lavoro nel Doge a una forma di buddismo personale. Forse perché, come nella filosofia zen, il vuoto è la risposta. Vuoto come il bilancio finale del suo mandato: promesse da $2 trilioni di risparmi, risultati effettivi (secondo The Atlantic) appena $2 miliardi. Roba che neanche un commercialista ubriaco riuscirebbe a giustificare. Ma Musk non è un commercialista. È il prodotto finale di una Silicon Valley che ha fuso il concetto di tech con quello di culto personale.
Trump, ovviamente, lo ha salutato con una pacca sulla spalla e un “tornerà, vedrete”. Il che è plausibile. Perché in questo teatrino iperrealista chiamato politica americana, l’unico vero criterio di valutazione è la visibilità. E qui Musk vince a mani basse.
Curiosità laterale: quando il Times ha citato il saluto in stile nazista eseguito da Musk in una convention, pochi hanno colto la gravità simbolica. Ma lui lo sa. Ogni gesto è un pezzo di codice lanciato nel grande algoritmo mediatico. E se quel gesto ha valore semantico, poco importa che sia disgustoso. Ciò che conta è l’eco.
La vera droga di Musk non è la ketamina. È l’attenzione. Quella costante, bulimica, nevrotica. È il rimanere al centro di tutto anche quando tutto va a fuoco. I razzi esplodono? Non fa nulla, ecco una foto col figlio che gli dà un pugno in faccia. I conti di Tesla crollano? Non importa, ci sono i meme. È l’impero dell’assurdo, ma mascherato da logica di mercato.
Alla fine, tutto questo ci dice molto più su di noi che su Elon Musk. In un mondo dove un uomo può essere allo stesso tempo capo di un’agenzia governativa, principale donatore di una campagna presidenziale, CEO di due aziende strategiche e testimonial involontario dell’uso di sostanze dissociative, forse non è lui il problema. Forse è il sistema operativo che andrebbe riavviato.
Ma si sa, rebootare l’intero sistema costa più di una dose di ketamina. E rende molto meno.