Palo Alto Networks, il colosso mondiale della cybersecurity, ha appena portato all’esame del fuoco gli agenti AI con un esperimento che sembra uscito da un thriller tech. Non si è trattato di un semplice attacco, ma di una simulazione reale su due agenti identici, speculari in compiti e strumenti, ma diversi nel framework: uno basato su CrewAI, l’altro su Microsoft AutoGen. Risultato? Entrambi hanno fatto flop clamoroso.
Questa caduta degli dei digitali insegna una verità che i più sognano di ignorare: non è il framework a proteggerti, ma la tua architettura, il tuo design, e soprattutto le tue supposizioni — spesso arroganti — sulla sicurezza. Si può costruire la miglior AI del mondo, ma se lasci un varco nel prompt, negli strumenti o nella gestione della sessione, hai appena messo un tappeto rosso per l’attaccante.
Cominciamo con la prima gemma velenosa che emerge: la prompt injection non è morta, anzi, è più viva che mai. Non servono sofisticate manovre da hacker, basta infilare comandi malevoli in input apparentemente innocui o documenti. L’agente, fidandosi ciecamente, esegue e scivola nella trappola. È la classica falla di design da principiante che però continua a mietere vittime tra team che si illudono che “funziona così” sia sinonimo di “funziona sicuro”. Spoiler: non lo è mai.
Il rischio reale non è più la singola AI, ma il toolset che le viene dato in mano. L’agente, spesso, ha accesso a API, file di sistema, o persino a comandi di esecuzione. Se non blindati correttamente, diventano la porta d’ingresso perfetta per chi sa dove mettere le mani. Pensateci: è come dare a un ladro le chiavi di casa sua, sperando che non le usi.
Se pensate che il problema finisca qui, vi sbagliate. Gli agenti possono perdere la propria identità, o peggio, fingersi qualcun altro. Sessioni mal gestite, ruoli poco controllati, e boom: un bot che si spaccia per amministratore, con tutte le devastazioni del caso. Non è fantascienza, è la realtà quotidiana di sistemi AI che non hanno ancora capito che la gestione del contesto è questione di vita o morte digitale.
E se vi state chiedendo se mettere più agenti a collaborare sia una garanzia, il report di Palo Alto è una doccia fredda. Multi-agent non significa sicurezza. Anzi, l’aumento di interazioni amplifica la superficie di attacco: un messaggio velenoso e l’intero esercito di AI si ammala. Il famoso detto “troppi cuochi rovinano la minestra” qui assume una sfumatura letale.
La sandboxing, quel santo graal che molti invocano per tenere a bada l’esecuzione di codice malevolo, si rivela un’illusione ottica. Senza isolamento vero e proprio, basta un piccolo errore — tipo montare il filesystem sbagliato — e la sandbox diventa un ingresso spalancato per gli attaccanti. Chi si illude di giocare in sicurezza con sandbox fatte in casa ha appena firmato la sua condanna a lungo termine.
La lezione più cruciale? La sicurezza va considerata come un’architettura complessiva, una catena che non ammette punti deboli. Non basta correggere un singolo anello — che sia il prompt, il tool stack o il runtime. La sicurezza è un sistema vivente, un flusso continuo dove ogni componente può tradire l’illusione di invulnerabilità.
In tutto questo bailamme, la cosa più ironica è che la maggior parte dei team che sviluppano agenti AI oggi consegnano MVP (Minimum Viable Product) senza una vera resilienza strutturale. Perché “funziona” non significa affatto “è sicuro”. Come direbbe un esperto: «Se il tuo sistema AI è un castello di carte, non sorprenderti quando il vento lo fa volare via».
L’autonomia e la connettività crescente degli agenti li trasformeranno ben presto da semplici esperimenti a vere e proprie superfici di attacco. E mentre corriamo a costruire AI più potenti, siamo sempre più esposti, con una rete di vulnerabilità che nessun firewall tradizionale può contenere.
In fondo, l’attacco a questi agenti AI non è solo una lezione tecnica. È un avvertimento a chi sta spingendo sull’acceleratore dell’intelligenza artificiale senza pensare al carburante della sicurezza. Perché in questo gioco, la miglior difesa non è avere il codice più intelligente, ma quello che sa difendersi da se stesso.
E mentre Palo Alto Networks gioca a fare il medico legale delle AI, il resto del mondo tech è chiamato a una riflessione più ampia: siamo pronti a gestire le conseguenze di un’AI che non solo pensa, ma può anche essere manipolata per attaccare? Se la risposta è no, meglio mettere mano subito ai nostri progetti, o rischiare che i nostri agenti diventino i peggiori nemici di noi stessi.