Nel cuore pulsante di Parigi, durante il palcoscenico ipertecnologico di VivaTech, Joe Tsai, presidente di Alibaba Group Holding, ha lanciato una delle dichiarazioni più taglienti e, allo stesso tempo, strategicamente calcolate dell’anno. Aprire i modelli di intelligenza artificiale—quei giganteschi LLM che oggi dominano il panorama digitale—non è solo un gesto di altruismo tech, ma una mossa calibrata per sbloccare una marea di applicazioni AI e, soprattutto, per rilanciare una delle divisioni più strategiche di Alibaba: il cloud computing.

Se vi aspettavate una svolta convenzionale, vi sbagliate. Tsai, con la sua tipica ironia da veterano, ha definito il periodo appena trascorso per Alibaba come “un’era di grandi tormenti”. Eppure, proprio da quel caos, emerge la strategia chiave: democratizzare l’AI, liberarla da ogni vincolo di esclusività, spingendo così l’intero ecosistema verso una domanda esplosiva di infrastrutture cloud.

“L’open source non è solo condivisione, è un moltiplicatore di domanda,” ha detto Tsai. Le parole di un CEO esperto non cadono mai a caso. Aprire i codici, specie quelli di Qwen, la loro linea di modelli linguistici, significa far impennare la necessità di formazione (training) e di inferenza: la fase cruciale in cui l’intelligenza artificiale entra davvero in azione nelle applicazioni di tutti i giorni.

In un mondo in cui la corsa agli armamenti tecnologici è frenetica, Alibaba non può permettersi di restare a guardare. La Cina, con la sua cultura feroce di competizione interna e la fucina di talenti, come dimostra il caso della start-up DeepSeek, ha alzato l’asticella dell’innovazione AI a livelli vertiginosi. Racconta Tsai che all’arrivo di DeepSeek con il suo modello AI nel pieno del Capodanno cinese, i team di Alibaba hanno fatto marcia indietro sui piani vacanzieri, rimanendo in azienda a spingere sullo sviluppo, notte e giorno. Non proprio una pausa festiva, ma ben più produttiva.

Questa narrazione non è solo un aneddoto da corridoio. È il segnale che l’ecosistema tecnologico cinese non dorme mai, alimentato da una miscela di orgoglio nazionale e competizione interna feroce. È un antidoto contro la “complacency” che può uccidere le grandi aziende tech, soprattutto quelle che, come Alibaba, hanno sofferto una crescita troppo rapida, quasi incontrollata. Tsai stesso ha ammesso che il gigante cinese aveva perso un po’ la bussola, dilatandosi oltre ogni limite sano, con un business empire che necessitava di una cura drastica.

La sfida è stata epocale: tra la pandemia, la pressione regolatoria cinese e le tensioni geopolitiche, Alibaba ha attraversato “un periodo di grande prova”. In questo contesto, aprire i propri modelli AI al mondo non è solo un gesto di trasparenza, ma un modo per riprendersi la leadership tecnologica attraverso la generazione di nuove opportunità di business.

L’elemento cloud non è un dettaglio. Tsai parla di una strategia sottile: generare una domanda di infrastrutture capaci di gestire i nuovi carichi di lavoro AI, soprattutto nella fase inferenziale, che sarà la vera pietra angolare del prossimo decennio tecnologico. Non basta avere modelli potenti; serve una colossale potenza di calcolo distribuita, elastica e flessibile, che solo il cloud può garantire.

A ben vedere, la decisione di Alibaba ha anche una valenza geopolitica e culturale. La Cina sta consolidando un ecosistema tech sempre più autosufficiente, ma Tsai ci ricorda che la competizione interna è il vero motore che spinge i confini dell’innovazione. Ecco allora che l’open source, pur sembrando un atto di condivisione globale, è anche uno strumento per tenere alta la pressione sulla concorrenza interna, mantenendo Alibaba al centro della scena.

Il successo dei modelli Qwen, che oggi figurano tra i più popolari open source secondo le classifiche di Hugging Face, dimostra che l’approccio paga. Il modello di Tsai è chiaro: meno segreti, più collaborazione e soprattutto più applicazioni concrete che spingano il cloud a livelli di domanda mai visti.

Chi segue con attenzione il mercato tech sa bene che questa strategia ha un impatto a cascata. Spingere sulla democratizzazione dell’AI significa abbassare le barriere di ingresso per sviluppatori e aziende, accendendo una miccia per un’esplosione di soluzioni AI personalizzate. Il risultato? Un mercato in espansione che non si limita più ai grandi colossi, ma si apre a un ecosistema variegato, generando nuove occasioni di business per Alibaba nel cloud, il vero cuore pulsante del futuro digitale.

Se il cloud diventa il nervo ottico dell’AI, allora la scommessa di Alibaba è vincente anche sotto il profilo strategico: essere l’infrastruttura di riferimento per ogni azienda, start-up o colosso, che vuole cavalcare l’onda dell’intelligenza artificiale. Il circolo virtuoso si chiude: più applicazioni AI, più domanda cloud, più ricavi per Alibaba.

Il CEO non nasconde che il cammino è ancora impervio. Il contesto globale resta “difficile e sfidante”, ma la lucidità con cui Tsai descrive la situazione rivela un pragmatismo tipico di chi ha visto tempeste peggiori e sa che solo con un focus netto si può risalire la china.

La lezione è chiara: in un mondo dove l’innovazione corre a velocità supersonica, la chiave non è più possedere tutto dentro mura chiuse, ma saper aprire porte e finestre, lasciando entrare aria fresca per alimentare il fuoco dell’AI e del cloud. Alibaba lo ha capito, e con Qwen ha scelto di giocare una partita che potrebbe riscrivere le regole del gioco tecnologico globale, dalla Cina all’Europa, fino agli Stati Uniti.

Se la storia dell’AI fosse un romanzo, Alibaba sta ora scrivendo il suo capitolo più audace: abbattere muri, costruire ponti e dominare il futuro attraverso una rete di collaborazioni open source che non solo democratizza l’intelligenza, ma rimpingua un mercato cloud destinato a diventare l’ossatura del mondo digitale che verrà.

E come dice un vecchio adagio tech, “chi condivide, comanda.”