C’erano una volta le società di consulenza, con i loro PowerPoint statici e le soluzioni preconfezionate da appiccicare come cerotti su ferite aziendali che urlavano trasformazione. Poi è arrivata la rivoluzione digitale, l’intelligenza artificiale, la cybersicurezza e una nuova generazione di CEO cresciuti a pane e disruption. Ed è in questo contesto, già saturo di sigle e buzzword, che Kyndryl — lo spin-off “muscoloso” di IBM — decide di giocarsi una carta inaspettata: creare un luogo fisico e intellettuale dove l’innovazione si interseca (e spesso si scontra) con il business. Lo hanno chiamato The Kyndryl Institute. E no, non è l’ennesima fabbrica di white paper.

Più che un centro studi, sembra un’accademia strategica per manager spaventati dall’algoritmo e affascinati dall’idea che l’AI possa diventare il loro miglior CFO. Il messaggio implicito? In un mondo in cui la tecnologia cambia più velocemente di quanto cambi un consiglio d’amministrazione, non basta più adottare l’innovazione: bisogna capirla prima degli altri.

Kyndryl, dal canto suo, non è più un semplice system integrator, ma un architetto globale dell’infrastruttura digitale. Con clienti che vanno dal settore bancario alla sanità, passando per il manifatturiero e le telecomunicazioni, ha le mani (e i dati) ovunque. The Kyndryl Institute è quindi la naturale estensione di questa ubiquità: un laboratorio di idee dove i dati diventano scenari, le tendenze diventano strategie e le parole chiave diventano politiche aziendali concrete.

Il valore aggiunto? Un mix tossico e potentissimo di esperti accademici, dirigenti visionari e tecnologi che parlano business fluentemente, capaci di fare quello che oggi molti board faticano a fare: collegare il futuro all’utile netto.

Ironico pensare che, proprio mentre molte aziende stanno ancora cercando di capire come usare bene Excel, Kyndryl parli di “potenziamento del processo decisionale strategico” attraverso analisi predittive, intelligenza aumentata e automazione cognitiva. Ma tant’è: chi oggi non ha una strategia AI è già in ritardo di due trimestri.

Nel manifesto operativo del Kyndryl Institute compaiono le parole chiave della contemporaneità: sicurezza informatica, modernizzazione IT, regolamentazione dell’intelligenza artificiale. Ma la vera parola d’ordine è una sola: accelerazione. È l’economia che corre, sono i mercati che chiedono immediatezza, sono le infrastrutture che devono scalare senza preavviso. E se una volta si parlava di vantaggio competitivo, oggi si parla di “non essere lenti”.

Curioso come questa visione sia perfettamente allineata con il messaggio che trasuda dal libro From Incremental to Exponential di Vivek Wadhwa e Ismail Amla (quest’ultimo executive proprio in Kyndryl). I due autori mettono in crisi il mito che vuole l’innovazione come prerogativa delle start-up. Anzi, sostengono l’esatto contrario: le grandi aziende, quelle “legacy”, hanno un potenziale esplosivo non ancora attivato. Dati, capitali, canali, reputazione. Tutto quello che serve, ma senza la fame del founder che dorme in garage.

E allora perché così poche riescono a sfruttarlo? Perché, come scrivono Wadhwa e Amla, esistono otto peccati capitali che inchiodano all’inerzia: dalla paura del fallimento alla burocrazia paralizzante, dall’arroganza del “così si è sempre fatto” alla tossicità del consenso forzato. L’innovazione, oggi, è un atto politico oltre che tecnologico. E come tale, richiede coraggio, visione e la disponibilità a farsi nemici interni.

Qui entra in gioco The Kyndryl Institute, non come salotto intellettuale ma come fucina di conflitti creativi. Un luogo dove i manager possono essere messi in discussione, dove le idee vengono “testate in battaglia” e dove si costruiscono narrazioni capaci di trasformarsi in roadmap. Non c’è nulla di accademico, in senso polveroso: piuttosto, c’è lo spirito da McKinsey con la voglia di sporcare le mani.

Satya Nadella, citato in apertura del libro, dice che “l’innovazione è agnostica su dove viene creata”. È vero, ma oggi è anche profondamente selettiva su chi è in grado di capirla, finanziarla, scalarla e proteggerla da sé stessa. L’innovazione non è democratica. È un gioco per pochi, e chi ha gli strumenti (intellettuali e tecnologici) per governarla può trasformare una commodity in una strategia esistenziale.

Siamo in un’epoca in cui anche i CTO devono diventare filosofi. Dove l’architettura IT deve prevedere non solo uptime e latenza, ma anche impatti etici, compliance normativa e resilienza geopolitica. In questo senso, il Kyndryl Institute può diventare una specie di specchio in cui il CEO moderno si guarda per capire se la sua azienda è ancora viva, o solo un relitto elegante del secolo scorso.

Un dettaglio, apparentemente minore, ma che racconta molto: nel comunicato ufficiale, si parla del ruolo dell’Istituto nel “fornire punti di vista unici e tempestivi”. Questo significa una cosa sola: anticipare, non reagire. Perché l’epoca della reattività è finita. Oggi si vince solo se si riesce a scrivere la narrativa prima degli altri. O, nel peggiore dei casi, almeno a capirla mentre gli altri la stanno ancora leggendo.

Nel frattempo, le aziende che non capiranno il valore di queste dinamiche — e continueranno a pensare che l’innovazione sia solo una voce di bilancio — faranno la fine dei dinosauri in giacca e cravatta. E The Kyndryl Institute sarà lì a raccontare, con dati e analisi, non solo perché sono scomparse, ma anche come sarebbe stato possibile evitarlo.

“Il futuro è già qui, solo che non è equamente distribuito,” diceva William Gibson. Kyndryl sembra aver preso sul serio la provocazione, cercando di renderlo almeno comprensibile per chi ha ancora il potere di cambiare le cose.