La scena è questa: mentre gli ingegneri del mondo sognano computer quantistici infallibili e Google gioca con Sycamore come se fosse il prototipo di un oracolo digitale, un gruppo di scienziati cinesi scopre che l’universo – letteralmente – sta sabotando l’intero sogno. Non metaforicamente: raggi cosmici, particelle subatomiche, muoni e gamma burst. Tutti intenti, là fuori, a scombinare le carte dentro i chip quantistici.

La ricerca, pubblicata su Nature Communications, arriva dal cuore pulsante della ricerca cinese: l’Accademia Cinese delle Scienze, la Beijing Academy of Quantum Information Sciences e l’Università Normale di Nanchino. Con un tono sorprendentemente sobrio, dichiarano di aver osservato direttamente i cosiddetti “quasiparticle bursts” causati da muoni generati dai raggi cosmici – e che questi fenomeni sono responsabili di errori correlati tra qubit, quegli oggetti misteriosi su cui poggia l’intera architettura dell’informatica quantistica.

Ecco il punto: a differenza dei bit classici che vivono una vita tranquilla tra 0 e 1, i qubit sono creature quantistiche che si muovono in stati sovrapposti, entangled, fragilissimi. In teoria, tutto questo promette velocità mostruose, crittografia inespugnabile, simulazioni molecolari da Nobel. In pratica, ogni singolo errore è come un granello di sabbia in un orologio svizzero. Se poi gli errori non sono isolati ma correlati, cioè si propagano simultaneamente su più qubit, addio correzione. Perché il grande trucco dell’AI quantistica si basa proprio su algoritmi di correzione del tipo “se uno sbaglia, gli altri lo correggono”. Ma se tutti sbagliano insieme?

Google lo aveva già visto con Sycamore: improvvisi errori a cascata, eventi di decoerenza simultanei. Ma ora il team cinese ha deciso di mettere il dito nell’universo, collegando un processore quantistico da 63 qubit con rilevatori di muoni. Risultato: il 18,4% dei burst è causato dai muoni, l’81,6% dai gamma rays. Insomma, il cielo non è neutro. I raggi cosmici non stanno solo illuminando l’aurora boreale: stanno minando la scalabilità dell’informatica quantistica.

Un momento da rileggere due volte: questi burst non solo avvengono, ma sono troppo veloci per essere gestiti con le tecnologie attuali. Tradotto: le correzioni d’errore, per quanto sofisticate, arrivano tardi. È come avere un airbag che si attiva dopo l’incidente. E se pensate che si possa risolvere con un po’ di piombo ben posizionato, dimenticatelo: i muoni attraversano tranquillamente metri di roccia. Serve andare “deep underground”. Letteralmente. Spostare i laboratori sotto montagne intere. Con costi da tunnel del Brennero e tempi da fisica delle particelle.

Ora, per essere chiari, non è la fine della computazione quantistica. Ma è un bello schiaffo in faccia all’ingegneria dell’ottimismo. L’idea stessa di fault-tolerant quantum computing, la promessa che anche con errori casuali il sistema possa comunque funzionare, si scontra qui con errori non casuali e sincronizzati da eventi cosmici. Cose che non si correggono semplicemente con più ridondanza o qualche gate logico in più.

Eppure c’è un paradosso ironico: questo stesso esperimento potrebbe servire anche per qualcos’altro. I ricercatori propongono di utilizzare i metodi sviluppati per rilevare muoni anche in applicazioni di astrofisica e ricerca della materia oscura. In pratica, ogni errore quantistico diventa un segnale dell’universo. Come dire che l’instabilità della macchina diventa finestra sulla natura. Un punto che farebbe sorridere Heisenberg.

Certo, il fatto che eventi rari ma devastanti come questi possano invalidare l’output di interi calcoli su centinaia di qubit dovrebbe farci riflettere. Soprattutto ora che ogni big tech sta promettendo la luna quantistica a clienti enterprise affamati di velocità esponenziali e cifrature inviolabili. Il rischio non è solo tecnico, ma narrativo. Perché l’epopea del quantum computing si regge ancora sul fragile equilibrio tra marketing e meccanica quantistica. E ogni volta che un muone passa, quel racconto trema.

La verità è che l’universo non gioca solo a dadi, ma ha anche un certo gusto per la beffa. Come se, mentre l’umanità prova a dominare la realtà a livello subatomico, ci ricordasse chi comanda davvero. I muoni non sono hacker, non hanno intenzioni. Ma stanno sabotando silenziosamente il futuro dell’informatica con la stessa efficienza con cui il tempo rovina i sogni: lentamente, inevitabilmente, con particelle.

Alla fine, è proprio l’invisibile che deciderà se i nostri sogni quantistici potranno sopravvivere alla realtà. O se saranno solo un’altra nota a piè di pagina nella lunga storia dell’ambizione tecnologica umana.

Cosmic-ray-induced correlated errors in superconducting qubit array