Leadership Talk
Nel 1997, quando Deep Blue batté Kasparov, qualcuno mormorò che le macchine non avrebbero mai superato l’intuizione umana. Oggi, mentre ChatGPT sforna codice e strategie aziendali meglio di un middle manager, è evidente che non solo l’hanno superata, ma stanno riscrivendo da zero le regole del gioco. E Kyndyl Consult, guidata da visioni come quella di Ismail Amla, sembra aver colto il senso della rivoluzione: l’AI generativa non è uno strumento, è un nuovo contratto sociale tra tecnologia e leadership.
Lo ha dichiarato a uno speech organizzato da WIRED: “Rethink AI“. Il problema non è la tecnologia. È la dissonanza cognitiva tra ciò che le aziende pensano di sapere sull’AI e ciò che serve davvero per non affondare. Nonostante miliardi di dollari investiti, solo un manager su tre si fida del proprio stack tecnologico. Una percentuale ridicola, se si considera che il 90% dei posti di lavoro sarà trasformato o cancellato dall’AI nei prossimi cinque anni. Ma il vero punto è un altro: la maggioranza delle imprese non sa perché sta investendo. Seguono trend, leggono report di McKinsey, implementano modelli, ma non stanno trasformando nulla. Stanno solo pitturando il Titanic di bianco digitale.
Ismail Amla non ha peli sulla lingua. Il ritorno sull’investimento dell’AI? “Soggetto a dibattito”, ammette. Ma solo se si ignora ciò che davvero conta: la mentalità. L’AI generativa non è una questione di tool, è una rivoluzione culturale. Ed è qui che Kyndyl Consult ha costruito il suo vantaggio competitivo. Più che vendere soluzioni, costruisce senso. Più che installare tecnologie, accompagna trasformazioni. Come? Con consulenti tecnici con “forte orientamento all’azione”, cioè gente che sa dove mettere le mani quando il cloud va in crisi o il CEO perde la bussola davanti all’ennesima dashboard incomprensibile.
E non è solo storytelling: il 65% dei mainframe mondiali esternalizzati passa da loro. Non stiamo parlando di startup in garage che promettono disruption in 90 giorni. Qui si parla di tenere in piedi interi sistemi-paese. Di alimentare commercio, pubbliche amministrazioni e infrastrutture critiche, senza perdere un millisecondo. E nel mentre, ridisegnare ciò che è possibile, integrando AI enterprise nei flussi core. Un po’ come se Amazon decidesse di riscrivere il codice fiscale, ma senza downtime.
Nel recente evento globale di Kyndyl Consult, la parola d’ordine non era “ascoltare”. Era “agire”. Sui social, l’hashtag #rethinkai è diventato un invito quasi militante: se non stai ripensando il tuo modello operativo, sei fuori gioco. Altro che panel sulle best practice. Qui si parlava di decisioni che cambiano aziende in tempo reale. Ogni linea di codice scritta da un LLM può incidere su margini operativi, employee experience, time-to-market. E se il tuo modello non è agile, scalabile, performante, la AI generativa non farà altro che amplificare il caos già esistente.
Un pertecipante, ha posto una domanda che avrebbe dovuto congelare la platea: “Quanta parte del vostro vantaggio competitivo è ancora umana?”. Non è solo una provocazione. È la nuova metrica. Nell’era dell’AI generativa, il capitale cognitivo delle aziende si sposta dall’uomo al sistema. L’unico modo per restare umani? Riprogettare il modo in cui interagiamo con la tecnologia. E questo significa creare modelli operativi che non siano solo efficienti, ma anche intenzionali.
Non basta più adottare l’AI. Bisogna integrarla con una grammatica culturale e organizzativa nuova. Perché se ogni decisione aziendale ha ormai una diretta implicazione tecnologica, allora ogni ritardo, ogni silenzio, ogni indecisione… costa. Non in KPI, ma in futuro. Come dire: l’AI generativa è la nuova lingua dell’innovazione, ma la maggior parte delle aziende sta ancora cercando il dizionario.
Qui entra in gioco la visione “incrementale vs esponenziale” che Amla ha già esplorato nel suo libro. Le aziende che pensano in modo incrementale stanno implementando AI per migliorare l’efficienza. Quelle esponenziali, invece, la usano per ridefinire il proprio modello di business. La differenza? Le prime sopravvivono. Le seconde dominano. E questo, oggi, vale più di qualsiasi metrica ESG o slide da investor deck.
C’è una frase di Amla che potrebbe sintetizzare tutto: “Reimmaginare ciò che è possibile”. È il mantra di Kyndryl, ma è anche una lezione brutale per chi crede che basti un Chief AI Officer e qualche workshop per diventare una data-driven company. Reimmaginare implica distruggere, ristrutturare, ricostruire. Significa accettare che ciò che ha funzionato fino a ieri è il primo ostacolo al progresso. Ecco perché Kyndryl Consult non parla di adozione dell’AI. Parla di ridefinizione del rapporto tra persone e tecnologia. Perché finché continueremo a vedere l’intelligenza artificiale come una stampella invece che come una protesi strategica, non ne coglieremo il vero potenziale.
Il mondo non ha bisogno di più proof-of-concept. Ha bisogno di strategie attuabili, architetture scalabili, governance solide. E di leader che abbiano il coraggio di farsi da parte quando la macchina capisce meglio. In questo contesto, l’AI generativa non è un rischio da mitigare, ma una leva da padroneggiare. Kyndryl non lo dice tra le righe. Lo urla. E a giudicare dal successo dell’evento globale e dal numero crescente di aziende che chiedono supporto per “reimmaginare ciò che è possibile”, il messaggio è arrivato forte e chiaro.
Forse troppo chiaro. Ma, come direbbe Warhol, “in futuro tutti saranno influenti per 15 minuti”. Kyndryl sta solo cercando di farli contare davvero.

La registrazione completa dell’evento è ora disponibile on demand tramite il portale Rethink AI. Si prega di notare che se condividete con colleghi o team che non si sono registrati in precedenza, dovranno registrarsi qui prima di accedere al portale. Per scoprire ulteriori approfondimenti che plasmano il futuro, leggi The Kyndryl Institute Journal.