Quello che a prima vista sembra ovvio, di solito non lo è. Prendiamo ad esempio xAI, il giocattolo nuovo di Elon Musk, il rivale “libertario” di OpenAI, lo sviluppatore del chatbot Grok. Se chiedete in giro qual è l’azienda del miliardario più focalizzata sull’intelligenza artificiale, otterrete una risposta corale e automatica: xAI. Ma la realtà, come spesso accade quando c’è di mezzo Musk, è molto più sfumata. O se preferite, molto più dissonante.

Tesla, l’azienda che agli occhi del mondo è ancora un produttore di auto elettriche, ha recentemente gettato la maschera. In una lettera agli azionisti, due membri del consiglio di amministrazione hanno affermato senza mezzi termini che la società sta “passando dai veicoli elettrici a un ruolo da leader nell’intelligenza artificiale, nella robotica e nei servizi correlati”. E per rendere il tutto più credibile, hanno giustificato un premio azionario da 23,7 miliardi di dollari a favore di Musk con la necessità imperativa di trattenerlo, vista la “guerra per i talenti nell’intelligenza artificiale”. Tradotto: senza Musk, Tesla rischia di perdere il treno dell’AI. Un’affermazione che, per inciso, non è stata fatta da xAI.

Il paradosso è evidente. Se Elon Musk è davvero il catalizzatore dell’intelligenza artificiale per Tesla, allora la sua doppia vita da CEO di xAI è tutto fuorché neutrale. E se Tesla sta puntando sulla guida autonoma, sulla robotica umanoide e su sistemi AI per gestire flotte di robotaxi, allora xAI diventa improvvisamente un concorrente interno. Una sorta di startup ombra che pesca nello stesso bacino di talenti, risorse, attenzione mediatica. Il consiglio di amministrazione di Tesla si trova così davanti a un problema classico della corporate governance, portato all’estremo da un uomo che non riconosce confini aziendali né gerarchie tradizionali. Il conflitto d’interessi non è un rischio ipotetico. È già realtà.

L’unica soluzione che avrebbe una sua logica industriale e strategica? Una fusione. Tesla e xAI sotto lo stesso tetto, con Musk come Grande Architetto dell’Intelligenza Artificiale. Un’idea che sta circolando con insistenza da settimane e che ha trovato eco anche nei tweet (piuttosto coloriti) del CEO. Quando Dan Ives di Wedbush ha suggerito che il consiglio di amministrazione di Tesla dovrebbe alzare la quota di voto di Musk al 25% per facilitare una fusione, Musk ha risposto con un lapidario “Stai zitto, Dan”. Una replica che, nel gergo muschiano, vale più di un comunicato stampa.

La fusione avrebbe dei vantaggi evidenti. Tesla potrebbe integrare verticalmente la ricerca AI di xAI, risparmiando su costi di assunzione e accelerando i propri progetti di guida autonoma. E xAI otterrebbe ciò che le manca disperatamente: soldi. Tanti soldi. Tesla ha oltre 36 miliardi di dollari in liquidità e investimenti a breve termine, mentre xAI è una startup che brucia cassa a un ritmo da Formula 1, senza ancora un modello di business funzionante. Sta cercando di costruire modelli AI proprietari, data center dedicati, chip personalizzati. E lo fa competendo contro giganti come Google, Amazon, Microsoft e Meta, che dispongono di fonti di finanziamento praticamente illimitate grazie a business consolidati e margini operativi a due cifre.

Il Wall Street Journal ha recentemente rivelato che xAI ha convinto Valor Equity Partners a raccogliere 12 miliardi di dollari per acquistare chip da affittare alla stessa xAI. Un’operazione da finanza creativa, una di quelle che solo Musk può concepire e solo i suoi investitori possono digerire. Ma anche un segnale lampante: Musk sa che xAI non ha le spalle abbastanza larghe per affrontare la guerra dell’intelligenza artificiale con le proprie forze. E sa anche che Tesla ha le risorse, la struttura e l’interesse strategico per supportare quel tipo di investimento.

Il problema, ovviamente, è che gli azionisti di Tesla potrebbero anche non essere entusiasti di finanziare una startup con margini negativi e rischi altissimi. Ma questo problema, in realtà, non esiste. Perché Musk ha già spostato Tesla verso un modello di business che trascende l’automobile. Non è più una casa automobilistica, è una piattaforma tecnologica. Con ambizioni nel campo dell’AI, dei robot umanoidi, della gestione autonoma del traffico urbano, dell’integrazione energetica tramite AI predittiva. In sostanza, tutto ciò che fa xAI, Tesla lo vuole fare meglio. E se non può farlo meglio, allora tanto vale farlo insieme.

Certo, la fusione sarebbe complicata. In termini legali, fiscali, operativi. Ma non dimentichiamo che Musk ha già portato avanti acquisizioni e fusioni ben più bizzarre. Twitter, ribattezzata X, ne è un esempio perfetto. Un’operazione guidata più dall’ideologia che dalla logica finanziaria. Eppure, da quell’operazione è nato un ecosistema che include Starlink, Tesla, SpaceX, xAI e la stessa X, legati da un filo conduttore: l’idea muschiana di una super-intelligenza decentralizzata e sovrana, libera dalle interferenze politiche e culturali del “woke capital”. In questa visione, la fusione tra Tesla e xAI non è solo sensata. È inevitabile.

Non è la prima volta che Musk gioca su più tavoli con lo stesso mazzo di carte. Con SpaceX e Tesla ha fatto qualcosa di simile. Ha usato i razzi per alimentare le batterie, i satelliti per vendere connettività a bordo, e ora forse userà le GPU di xAI per addestrare i modelli AI delle Tesla. A chi gli chiede se questo intreccio sia trasparente, Musk risponde con la consueta arroganza: la trasparenza è sopravvalutata, ciò che conta è la missione. Ed è proprio questa narrazione mitologica, questo storytelling da demiurgo tecnologico, che continua a incantare una fetta di investitori e a terrorizzare chi crede ancora nei manuali di governance aziendale.

Il vero nodo, dunque, non è tecnico. È psicologico. Gli investitori di Tesla sono pronti a vedere la loro azienda trasformarsi in un ibrido tra una casa automobilistica e un laboratorio AI sperimentale? E i dipendenti di xAI sono pronti ad accettare una cultura aziendale molto più regolamentata, soggetta a rendicontazioni pubbliche e vincoli da società quotata? Ma, soprattutto, Musk è disposto a sacrificare parte della sua autonomia su xAI in nome di una maggiore coerenza strategica?

A giudicare dai segnali, l’uomo non ha ancora deciso. Forse perché, come sempre, vuole avere tutte le opzioni aperte fino all’ultimo minuto. Ma la verità è che la fusione conviene a tutti. A Tesla, che può acquisire tecnologia e talenti senza rincorrere Google. A xAI, che può accedere a fondi veri. E allo stesso Musk, che può finalmente mettere ordine nel suo impero e presentarsi come il vero padrone dell’intelligenza artificiale, dalla strada fino alle stelle.

Se poi qualcosa dovesse andare storto, beh… c’è sempre un altro tweet per cambiare tutto.