L’equo compenso oggi non è più solo un tema sindacale, una battaglia da avvocati che inseguono parcelle più dignitose o da giornalisti che si aggrappano all’illusione di una retribuzione proporzionata allo sforzo intellettuale. L’equo compenso è diventato la vera frontiera del diritto d’autore nell’era digitale, un concetto che davanti agli uffici di Rivista.AI e con caffè con lo SMART amico esegetico come come D.D. e con lo sguardo sul palazzo che a Roma ricorda il Flat Iron di New York, sembra quasi risuonare come uno slogan scolpito nel cemento: chi crea non deve più essere un servo della gleba dell’algoritmo.

L’equo compenso oggi si colloca all’incrocio tra diritto, tecnologia e potere economico, trasformandosi da tema sindacale in questione di politica legislativa e regolamentare. La normativa italiana, con la legge n. 247 del 2012, ha già stabilito principi chiari sul diritto d’autore degli avvocati, ma la disciplina si è presto dimostrata insufficiente ad affrontare la complessità del mercato digitale. Il decreto legislativo n. 68 del 2021, attuativo della direttiva europea 2019/790 sul copyright nel mercato unico digitale, ha introdotto elementi di tutela specifica, ma la reale applicazione rimane più retorica che concreta. Paradossalmente, mentre la tecnologia promette trasparenza e tracciabilità, il tessuto normativo procede a rilento, lasciando gli autori in un limbo contrattuale dove la disparità è endemica.

La direttiva europea sul copyright ha sollevato il tema del value gap, il divario tra chi produce contenuti e chi li monetizza, evidenziando la necessità di meccanismi di remunerazione equa. In Italia, la legge sul diritto d’autore, modificata dal D.Lgs. 68/2021, introduce strumenti come l’equo compenso proporzionato all’utilizzo dell’opera, obbligando editori e piattaforme a riconoscere una remunerazione adeguata. Tuttavia, il testo normativo non definisce criteri oggettivi per misurare tale proporzione, lasciando spazio a interpretazioni che spesso favoriscono gli intermediari più potenti. La giurisprudenza più recente ha cercato di colmare questo vuoto, richiamando la centralità dell’autore nella contrattazione e ribadendo il principio secondo cui la creatività è un valore economico non sostituibile, ma i contenziosi restano numerosi e complessi.

Blockchain e smart contract rappresentano strumenti innovativi che potrebbero cristallizzare il principio di equo compenso nella pratica, trasformando ogni interazione digitale in un tracciamento automatico dei flussi economici. Il registro distribuito promette un sistema trasparente, dove la remunerazione è automatica, proporzionale e pubblicamente verificabile. L’introduzione di NFT e token come certificazione digitale dell’opera permette non solo di attestare la paternità intellettuale, ma anche di agganciare i pagamenti alla fruizione reale, riducendo il rischio di sfruttamento da parte delle piattaforme. La normativa europea, in particolare il regolamento 2019/790 e la proposta di direttiva sui mercati digitali, offre strumenti per integrare tali tecnologie, ma manca ancora un quadro nazionale coerente che renda operativi questi meccanismi.

Il legislatore italiano ha affrontato in modo specifico l’equo compenso per le professioni intellettuali attraverso l’articolo 13 della legge 247/2012, prevedendo che gli avvocati percepiscano un compenso proporzionato alla complessità e all’importanza dell’incarico, senza poter accettare pagamenti simbolici che riducano la dignità della prestazione professionale. Questo principio, traslato nel contesto digitale, dovrebbe garantire agli autori che ogni utilizzo dell’opera sia retribuito in modo corretto, ma l’attuazione pratica richiede contratti chiari, trasparenti e verificabili, spesso mediati da intermediari tecnologici che devono rispettare norme di tracciabilità, protezione dei dati e responsabilità civile.

L’equo compenso non è solo questione di cifre, ma di equità contrattuale. L’articolo 70 della legge sul diritto d’autore sancisce che gli autori hanno diritto a ricevere una remunerazione proporzionata all’utilizzo dell’opera, anche quando il contratto prevede una cessione esclusiva dei diritti. In pratica, ciò significa che editori, piattaforme streaming e marketplace digitali devono rispettare una proporzione tra valore economico generato e compenso percepito, principio che trova applicazione diretta nelle clausole contrattuali e, in futuro, negli smart contract. L’assenza di standard definiti per calcolare questa proporzione genera contenziosi che la giurisprudenza italiana sta lentamente risolvendo, ma resta evidente una frattura tra norme e mercato reale.

La tecnologia, pur promettendo equità, non sostituisce il diritto. L’illusione di un sistema completamente automatizzato rischia di ridurre la normativa a decorazione di facciata, mentre le major digitali continuano a esercitare un potere contrattuale smisurato. La legge italiana e europea riconoscono l’importanza della trasparenza e del tracciamento dei flussi economici, ma il vero nodo resta l’interpretazione dei contratti, la definizione del compenso proporzionato e la verifica della reale fruizione dell’opera. Senza interventi normativi più incisivi, anche la blockchain più sicura non impedirà la concentrazione del valore nelle mani dei grandi operatori.

Il diritto d’autore nell’era digitale è quindi un terreno di scontro tra innovazione tecnologica e principi consolidati di equità. La legge 633/1941, pur con le modifiche successive, rappresenta ancora il fondamento della tutela dell’opera, ma deve confrontarsi con scenari nuovi: creazione frammentata, contenuti generati da intelligenze artificiali, piattaforme globali che sfruttano economie di scala per comprimere i compensi. L’equo compenso diventa così uno strumento di giustizia economica, non più un semplice slogan sindacale, ma un principio operativo che può garantire la dignità del lavoro creativo.

Il rischio di contrattazione asimmetrica persiste. Fotografi, scrittori, musicisti e autori digitali spesso accettano condizioni contrattuali penalizzanti, perché il potere negoziale è concentrato nelle mani di chi controlla la distribuzione e la monetizzazione. La normativa italiana prevede strumenti per riequilibrare questo rapporto, come l’articolo 2 della legge 68/2021, che impone trasparenza nella gestione dei diritti e obblighi di rendicontazione chiari, ma l’applicazione concreta dipende dalla volontà delle parti e dall’efficacia dei controlli.

NFT, smart contract e registri blockchain rappresentano un’opportunità unica per tradurre la normativa in pratica operativa, permettendo un monitoraggio in tempo reale e una remunerazione automatica proporzionata. Tuttavia, la legge deve adattarsi per definire responsabilità precise, standard di conformità e strumenti di risoluzione delle controversie, altrimenti il divario tra creatore e intermediario digitale resterà inalterato. Il diritto d’autore diventa così un laboratorio di innovazione normativa, dove tecnologia, giurisprudenza e contrattazione si intrecciano in un gioco complesso di poteri e doveri.

In Italia, la riforma del diritto d’autore e l’introduzione dell’equo compenso devono affrontare una sfida culturale oltre che normativa: educare autori, editori e piattaforme a riconoscere il valore reale del lavoro creativo. La normativa europea, pur avanzata, richiede traduzione operativa nel diritto nazionale, con decreti attuativi chiari, linee guida sugli standard di remunerazione e strumenti di controllo che impediscano abusi. Senza questi accorgimenti, anche la tecnologia più sofisticata non potrà compensare l’asimmetria strutturale del mercato.

L’equo compenso diventa così la frontiera di un diritto d’autore moderno, in cui la tecnologia serve a rendere operativa la legge, ma la legge deve dare sostanza alla tecnologia. Il principio sancito dall’articolo 70 del codice del diritto d’autore, integrato dalle modifiche del D.Lgs. 68/2021, richiede non solo la proporzionalità economica, ma la possibilità concreta di verificarla. Smart contract, NFT e blockchain offrono strumenti di verifica, ma senza norme dettagliate sulla loro applicazione il rischio rimane che la remunerazione equa resti un principio teorico.

La contrattazione digitale e l’equo compenso rappresentano il nuovo volto della dignità economica. Non è più sufficiente parlare di creatività come valore culturale; oggi l’autore deve essere tutelato come soggetto economico, con strumenti concreti che garantiscano remunerazione proporzionata, trasparenza e responsabilità. La legge italiana, se applicata con rigore, offre strumenti per raggiungere questo obiettivo, ma richiede attenzione, controllo e capacità di aggiornarsi al ritmo della tecnologia.

Il diritto d’autore nell’era digitale non è più statico. È un organismo vivente che deve confrontarsi con algoritmi, flussi economici globali e creazione collettiva. L’equo compenso non è un dettaglio opzionale, ma il principio cardine che determina se il lavoro creativo sarà valorizzato o sfruttato. Chi pensa che si tratti di un dibattito accademico non ha compreso che la prossima rivoluzione non sarà estetica, ma contrattuale, e che il successo di una norma dipenderà dalla sua capacità di rendere reale la giustizia economica.