Meta e Midjourney hanno appena messo in scena la mossa più prevedibile e al tempo stesso più cinica dell’industria dell’intelligenza artificiale: la retorica della “collaborazione tecnica” che cela un’operazione di potere puro. Alexandr Wang, il nuovo chief AI officer di Meta, ha parlato di “licensing della tecnologia estetica” come se stessimo trattando una collezione di quadri d’epoca e non l’algoritmo che genera miliardi di immagini digitali al giorno. È la nuova moneta di scambio del capitalismo cognitivo: l’estetica computazionale.

Chi ha ancora dubbi che Zuckerberg punti a trasformare Facebook e Instagram in una macchina di produzione visiva perenne si è perso gli ultimi mesi. Meta non si accontenta più di rincorrere OpenAI e Google, adesso punta a integrare la firma visiva di Midjourney dentro i propri modelli proprietari, una mossa che ha il sapore dell’acquisizione mascherata. Perché se è vero che David Holz continua a ripetere che Midjourney rimane indipendente, è altrettanto vero che accettare di “collaborare tecnicamente” con un gigante che ha appena speso 14 miliardi per prendersi metà di Scale AI equivale a firmare una cambiale che prima o poi scadrà.

Non è un mistero che il business model di Meta sia fondato sulla capacità di occupare lo spazio cognitivo degli utenti, saturandolo di contenuti infiniti. L’accordo con Midjourney risolve un problema estetico e uno competitivo allo stesso tempo. Da un lato, consente a Meta di proporre immagini e video che possano reggere il confronto con Sora di OpenAI o Veo di Google, evitando la percezione di “cheap AI” che affliggeva Imagine e Movie Gen. Dall’altro, toglie ossigeno a un player indipendente che, nonostante un fatturato previsto di 200 milioni di dollari nel 2023, rischia di diventare un’estensione anonima di un ecosistema molto più grande.

Wang parla di “approccio all-in” come se fosse un pokerista di Las Vegas, ma la realtà è che la corsa all’intelligenza artificiale non è un gioco a somma zero, è una partita truccata. La combinazione di capitale illimitato, ricercatori strappati a peso d’oro e partnership chirurgiche con startup esteticamente rilevanti è la strategia tipica di Meta: comprare tempo, comprare attenzione, comprare bellezza algoritmica. Se qualcuno ancora crede che si tratti di ricerca scientifica pura, basta guardare le clausole di questi accordi segreti per capire che la vera posta in gioco è il monopolio culturale sulle interfacce visive del futuro.

La vera ironia è che Midjourney, nata come laboratorio indipendente, comunitario, quasi anarchico, sta per diventare il fornitore ufficiale delle immagini che inonderanno i feed social. Una parabola perfetta: dalla ribellione estetica all’assimilazione aziendale. Zuckerberg non compra aziende, compra simboli. Non assorbe startup, ingloba immaginari. E poco importa se Disney e Universal hanno appena trascinato Midjourney in tribunale per violazione di copyright: Meta ha già calcolato che il rischio legale è un costo marginale rispetto al vantaggio competitivo.

Il punto è semplice: nel futuro prossimo, ogni interazione dentro WhatsApp, ogni post su Facebook, ogni storia su Instagram potrà essere arricchita da un pulsante che genera immagini iperrealistiche firmate Midjourney. Non sarà percepito come un servizio esterno ma come parte integrante dell’esperienza social. L’utente medio non saprà nemmeno che dietro quell’estetica ci sia un laboratorio che fino a ieri si presentava come “indipendente”. È la definitiva scomparsa dell’autorialità e la consacrazione dell’immagine come commodity algoritmica.

Mentre Wang sorride parlando di “collaborazione con i migliori attori del settore”, il messaggio tra le righe è brutale: se non ti allei con Meta, sarai spazzato via. OpenAI ha il vantaggio narrativo, Google ha il vantaggio infrastrutturale, ma Meta sta comprando l’unica cosa che conta davvero nell’era dello scroll infinito: la forma. La forma che seduce, distrae e trattiene. La forma che diventa sostanza.

Il futuro dell’intelligenza artificiale visiva non sarà deciso nei laboratori di ricerca, ma nei consigli di amministrazione dove estetica e capitale si intrecciano. Meta e Midjourney non stanno solo firmando un accordo tecnico, stanno disegnando i confini del prossimo monopolio cognitivo. E noi, che scorreremo passivamente tra un’immagine generata e l’altra, saremo i veri dati di addestramento di questa alleanza.