Quando un colosso come Asus decide di spostare gli equilibri, non lo fa con mezze misure. Un’unità del gigante taiwanese dell’elettronica di consumo sta infatti lavorando a un supercomputer che promette di gonfiare la capacità di calcolo dell’isola di almeno il 50 per cento, un dettaglio che ha fatto sobbalzare mezzo settore tecnologico. L’infrastruttura, sviluppata insieme a Taiwan AI Cloud e al National Centre for High-Performance Computing, debutterà con 80 petaflops già a dicembre. Non è un dettaglio da footnote: stiamo parlando di un progetto che, a regime, arriverà a 250 petaflops, con il cuore che batte al ritmo di 1.700 GPU Nvidia H200.

Peter Wu, CEO di Asus Cloud e Taiwan AI Cloud, non ha esitato a spiegare la portata del progetto in un’intervista al South China Morning Post. La collaborazione con Nvidia non è casuale né improvvisata, ma frutto di conversazioni avviate uno o due anni fa. Una scelta strategica, vista la scarsità globale di chip di fascia alta, che ha permesso ad Asus di garantirsi forniture laddove molti competitor si trovano con le mani legate. È qui che entra in gioco quella mentalità da campione di scacchi che distingue i leader industriali: non reagire, ma anticipare.

Il supercomputer sorgerà a Tainan, nel sud di Taiwan. Qualcuno potrebbe sorridere nel confrontarlo con El Capitan, il mostro di 1.742 petaflops di Hewlett Packard Enterprise che occupa 7.500 piedi quadrati nel Lawrence Livermore National Laboratory in California. Ma ridere sarebbe un errore strategico. In un mondo in cui la capacità di calcolo è la nuova valuta geopolitica, ogni percentuale di crescita locale è ossigeno puro. Taiwan, che oggi dispone di circa 160 petaflops, punta a 1.200 entro il 2029. Non è un numero buttato lì: significa moltiplicare la potenza di quasi otto volte in meno di cinque anni.

La narrativa ufficiale è semplice: diventare una delle prime tre potenze di calcolo in Asia. Dietro questa dichiarazione si intravede però molto più di una corsa al primato. C’è il desiderio, quasi ossessivo, di smarcarsi dalla dipendenza tecnologica estera e consolidare un ecosistema domestico capace di attrarre intelligenza artificiale generativa, quantum computing e genomica computazionale. Wu stesso ha sottolineato che la spinta verso agentic AI, sistemi capaci di eseguire compiti in autonomia per conto di utenti o altre macchine, sarà uno dei driver principali. L’idea di un framework ad architettura aperta, incoraggiata dal Ministero degli Affari Digitali, è un’arma silenziosa: abbattere barriere d’ingresso e spingere le aziende locali a cavalcare l’ondata invece che esserne travolte.

Non si tratta solo di ambizioni locali. Taiwan AI Cloud ha già firmato progetti infrastrutturali a Singapore e in Vietnam, quest’ultimo in partnership con il colosso statale Viettel. È interessante notare come il via libera da Washington all’esportazione delle GPU Nvidia abbia reso possibile la costruzione del data center vietnamita, che girerà su “appena” 200 schede. Non è un dettaglio banale: il controllo americano sull’hardware critico si traduce in potere politico. Se qualcuno pensava che i chip fossero “solo elettronica”, dovrebbe aggiornare le proprie priorità geopolitiche.

Sul fronte cinese, Wu ha ammesso senza giri di parole che non sarà facile replicare progetti simili. La scarsità di GPU di fascia alta obbliga Pechino a sperimentare strategie alternative come lo “stacking” e il clustering di chip meno performanti. Una soluzione che può funzionare in ambito inferenziale, cioè quando l’AI deve semplicemente elaborare dati già addestrati, ma che mostra i suoi limiti quando si tratta di training e fine-tuning. “Gli sviluppatori potrebbero non dormire sonni tranquilli sapendo di non avere la libertà di scelta sulle GPU”, ha chiosato Wu con una freddezza che sa di provocazione.

C’è un dettaglio che molti osservatori hanno sottovalutato: la connessione con l’exploit di DeepSeek e del suo modello R1, lanciato a gennaio e celebrato per le capacità di ragionamento logico. Con l’aumento della domanda di inference, lo scenario si complica. Se l’intelligenza artificiale entra in una fase in cui il ragionamento è più importante del calcolo bruto, il terreno di gioco cambia. Non si tratta più soltanto di petaflops, ma della qualità del software che li governa. Tuttavia, senza le GPU giuste, anche il modello migliore diventa un leone in gabbia.

Non manca una nota quasi filosofica nelle riflessioni di Wu. Ha indicato tre aree destinate a plasmare il futuro: genomica computazionale, quantum computing e digital twin. Qui l’immaginazione tecnologica si spinge oltre la solita retorica da slide aziendale. Wu parla di digital twin applicati all’assistenza agli anziani, con avatar virtuali in grado di aiutarli a gestire farmaci, cibo o persino azioni quotidiane come fare la doccia. La battuta è tanto ironica quanto inquietante: se la killer app dell’AI sarà convincere una nonna a prendere la pillola giusta, allora il business non conosce davvero limiti.

In questo scenario, l’annuncio di Asus non è un semplice upgrade tecnologico. È una dichiarazione di guerra industriale mascherata da progresso infrastrutturale. È il segnale che la capacità di calcolo è la nuova moneta forte in Asia, più della valuta fiat, più del PIL, forse persino più delle riserve energetiche. Perché chi controlla i petaflops, controlla la prossima generazione di intelligenze artificiali, e chi controlla le AI controlla inevitabilmente i flussi economici, culturali e politici del ventunesimo secolo.