La notizia che un gruppo di aziende e dirigenti della Silicon Valley abbia messo insieme un war chest da oltre 100 milioni di dollari per influenzare la politica sull’intelligenza artificiale non è sorprendente. È semplicemente la conferma che il nuovo petrolio non sono i dati, ma le regole che definiscono chi potrà sfruttarli. Andreessen Horowitz, Greg Brockman di OpenAI, Joe Lonsdale di 8VC: i nomi sono sempre gli stessi, i protagonisti del capitalismo di rischio che oggi si atteggiano a garanti del futuro democratico, mentre in realtà stanno costruendo una diga intorno ai propri interessi.

La chiamano “Leading the Future”. Io la chiamerei “owning the future”.La parola lobbying in Silicon Valley era un tabù fino a qualche anno fa. Il mantra ufficiale era “costruiamo prodotti, non leggi”. Adesso il paradosso: più l’innovazione corre, più diventa indispensabile piegare il quadro normativo. La stessa industria che si definisce “anti-regulation” oggi spende somme monstre per plasmare regole a propria immagine e somiglianza. È come se i pirati digitali fossero diventati ammiragli con flotta e ministero, pronti a ridisegnare le rotte commerciali del secolo.

C’è un dettaglio gustoso. La retorica ufficiale è che questa rete di comitati politici vuole proteggere l’innovazione dall’ossessione regolatoria di Washington e dalle paure europee. Tradotto: non vogliamo limiti che impediscano al nostro business di crescere all’infinito. Parlano di “soffocare l’innovazione” come se fosse un crimine contro l’umanità, ma nessuno si domanda se non sia invece un modo elegante per dire “non intromettetevi nel nostro monopolio nascente”. La Silicon Valley ha già imparato la lezione con Big Tech: una volta che sei troppo grande per fallire, nessuno ti tocca più. Ora l’intelligenza artificiale è la prossima frontiera da blindare politicamente.Il tempismo è chirurgico.

Sotto l’amministrazione Trump la deregulation è una promessa costante e con le elezioni di medio termine del 2026 alle porte, investire ora significa assicurarsi leve di potere per anni. Non si tratta solo di Washington, ma anche di un mosaico di PAC statali, pronti a infiltrarsi nei processi locali dove spesso si decidono i veri vincoli tecnologici. È il classico gioco americano: colonizzare il campo federale e contemporaneamente conquistare le roccaforti statali, creando una ragnatela politica che nemmeno il più rigido dei regolatori riuscirebbe a spezzare.

Chi guarda dall’Europa dovrebbe sorridere amaramente. A Bruxelles si discute di AI Act con la serietà di chi prepara il codice civile del XXI secolo, mentre in California si raccolgono fondi da 100 milioni di dollari per spingere l’ago della bilancia nel senso opposto. È una corsa a due velocità: da un lato la politica lenta e giuridicizzata del Vecchio Continente, dall’altro la lobby muscolare che usa il denaro come megafono legislativo. Indovinate quale delle due vincerà la corsa globale all’egemonia tecnologica?

Il bello è che questa operazione non si presenta mai come difesa di interessi privati, ma come tutela del bene comune. Difendere “l’innovazione americana”, mantenere “la leadership tecnologica mondiale”, garantire che “l’AI resti libera di fiorire”. Parole da manifesto illuminista, finanziate però con assegni che odorano più di boardroom che di biblioteca enciclopedista. Chiunque creda che queste campagne siano puro altruismo dovrebbe ricordare che le stesse aziende hanno già passato anni a minimizzare i rischi dell’intelligenza artificiale quando serviva a conquistare mercati e a gridare all’apocalisse quando serviva a scoraggiare i competitor.

Il lobbying, in questo scenario, diventa la forma più sofisticata di coding sociale. Se l’AI scrive algoritmi, la Silicon Valley scrive le regole che decideranno quali algoritmi sopravviveranno. Non è un dettaglio da poco, è la differenza tra una tecnologia che diventa infrastruttura pubblica e una che resta feudo privato. E il messaggio implicito è chiaro: il futuro non verrà negoziato in parlamento, ma finanziato a colpi di PAC.In fondo, non è nemmeno cinismo: è logica imprenditoriale pura. In un settore dove la posta in gioco è il controllo dei sistemi che governeranno finanza, sicurezza, difesa e persino cultura, solo un ingenuo lascerebbe la definizione delle regole ai politici. La politica può essere corrotta, lenta, inefficiente, ma con abbastanza capitale può essere istruita.

Se la Silicon Valley spende 100 milioni oggi è perché il ritorno stimato è nell’ordine delle centinaia di miliardi. Non c’è altro asset che offra un ROI simile, se non forse il controllo delle rotte marittime nel XVIII secolo.La verità scomoda è che “Leading the Future” non riguarda il futuro dell’AI, ma il futuro della democrazia. Chi decide le regole decide la traiettoria. E mentre tutti discutono di bias negli algoritmi, c’è un bias molto più pericoloso che si annida nelle stanze di Washington: quello del denaro. Chi paga per scrivere le leggi di fatto programma la società. E come ogni codice proprietario, questo futuro non sarà open source.