Non sempre per diventare ricchi serve un unicorno da miliardi o una miniera di litio. A volte basta… un’estensione internet. È la lezione di Anguilla, minuscola isola caraibica di 16.000 abitanti che, senza volerlo, si è ritrovata seduta sull’oro digitale grazie a un suffisso di due lettere: .ai.

Da spiagge bianche a startup unicorno

Negli anni ’90, quando all’isola fu assegnato il dominio nazionale, nessuno poteva immaginare che “.ai” sarebbe diventato sinonimo di intelligenza artificiale. Oggi è il biglietto da visita preferito di startup e colossi tecnologici: da you.ai a cloud.ai, con cifre da capogiro.

I numeri parlano chiaro: nel 2020 i domini .ai erano meno di 50.000; oggi superano 850.000. Nel 2024, solo dalle registrazioni, Anguilla ha incassato 39 milioni di dollari: quasi un quarto delle entrate del suo governo. Altro che tassa di soggiorno.

Prezzi da capogiro (e non solo dei resort)

Registrare un dominio costa tra pochi dollari e qualche centinaio, ma i “nomi premium” volano: alcuni hanno sfiorato le sei cifre. Un business che ha poco a che fare con spiagge e cocktail al tramonto, ma che sta rivoluzionando un’economia finora troppo dipendente dal turismo (e dagli uragani).

Il colpo di fortuna va gestito

Il governo ha già siglato un accordo di revenue-sharing con la società americana Identity Digital, mettendo al sicuro una parte del bottino. I proventi serviranno per ospedali, infrastrutture e persino un nuovo aeroporto: in pratica, l’AI non solo vola, ma fa volare anche gli aerei.

Fortuna sì, ma non solo

La morale? A volte nella vita basta un colpo di fortuna – due lettere, nel caso di Anguilla – per cambiare tutto. Ma il vero banco di prova sarà trasformare questa rendita digitale in resilienza. Perché i milioni dei domini .ai potrebbero durare più a lungo di un uragano, ma solo se investiti con visione.