Larry Ellison si sveglia con cento miliardi in più nel conto e pensa che il momento sia perfetto per andare a fare shopping a Hollywood. Non è una battuta, è cronaca: il Wall Street Journal ha riferito che la famiglia Ellison, tramite una combinazione tra la nuova entità Paramount Skydance e la liquidità della casa madre tecnologica, starebbe preparando un’offerta in gran parte in contanti per acquisire Warner Bros. Discovery, un’operazione che potrebbe aggirarsi, considerando la capitalizzazione e l’assunzione del debito, ben oltre i settanta miliardi. (The Wall Street Journal)
Non sorprende che la tentazione esista. Oracle ha vissuto un giorno di eccessi: il titolo è schizzato dopo l’annuncio di contratti cloud legati all’intelligenza artificiale, portando a un aumento del patrimonio di Larry Ellison stimato intorno ai cento miliardi in una sola giornata. La fotocopia della favola del capitalismo: idee tecnologiche che attraggono capitali, capitali che gonfiano titoli, titoli che trasformano opzioni in contanti e consentono ai ricchi di giocare a fare i magnati dei media. Non tutte le montagne d’oro nascondono lo stesso minerale però.
La logica finanziaria che sottende questa mossa è semplice e al tempo stesso fragile. Se Oracle batte il tamburo dell’AI e raccoglie ordini miliardari, allora la valutazione sale e la capacità di finanziare operazioni titaniche è reale. Il fatto che OpenAI abbia firmato un accordo pluriennale per una fornitura massiccia di potenza di calcolo con Oracle viene riportato come uno dei fattori scatenanti della corsa del titolo, ma proprio quell’accordo porta con sé domande enormi sulla sua sostenibilità e sull’esposizione al rischio di concentrazione su un singolo cliente. Se il mercato AI dovesse raffreddarsi o se OpenAI incontrasse difficoltà di raccolta capitale, la base su cui poggia questa ricchezza virtuale potrebbe rivelarsi fragile.
Ciò che sorprende, o meglio inquieta, è la rapidità con cui si trasferiscono capitali dall’universo cripto-AI-venture al regno dei contenuti. La fusione già completata che ha dato vita a Paramount Skydance è costata intorno agli otto miliardi e ha spostato David Ellison in posizione di controllo nel panorama mediatico. La nuova mossa proposta sarebbe una rapida escalation: passare da una scommessa su una major caratterizzata da dipendenza dal business del cavo, già in contrazione strutturale, a una fusione che ingloberebbe Warner Bros. Discovery con la sua massa di canali, studio e libreria di IP. Il rischio non è solo finanziario, è strategico. Il settore dei contenuti paga da anni la tassa della sovraofferta e della frammentazione degli spettatori.
Warner Bros. Discovery non è certo un soggetto perfetto ma non è neppure una carcassa. Il gruppo, nato dalla fusione tra Warner e Discovery, ha ridotto il suo indebitamento netto di qualche miliardo e continua a produrre IP di enorme valore commerciale. Tuttavia il suo debito netto resta ingombrante, si parla di cifre nell’ordine di decine di miliardi, una realtà che complica qualsiasi operazione di aggregazione, specialmente quando il compratore è di dimensioni relative più piccole e basa parte della propria capacità d’acquisto su un patrimonio personale volatilizzato dai listini. Un accorpamento di Warner con Paramount Skydance implicherebbe un bilancio combinato carico di leva finanziaria con tutti i rischi che ne derivano.
Il quadro si complica ulteriormente se si considera l’asset mix. Acquistare WBD “nella sua interezza”, inclusi i canali via cavo, significa aumentare l’esposizione su un modello di ricavi in declino. Le stesse notizie indicano che WBD stava considerando lo scorporo dei suoi assets legacy di cavo proprio per isolare e valorizzare meglio gli elementi in crescita come lo studio e lo streaming. Comprare prima che lo scorporo avvenga significa prendere il cavo in blocco, con tutto il suo peso. È come comprare una casa con il tetto ammalorato sperando che il sole torni a splendere. Chiunque abbia un minimo di prudenza finanziaria saperebbe che aumento del debito più ricavi in discesa è una combinazione che richiede una strategia di deleveraging chiarissima. La domanda concreta rimane: quanti soldi metterà Larry Ellison realmente sul tavolo, e per quanto tempo sarà disposto a sostenere una squadra che potrebbe richiedere capitali extra?
Non si può ignorare il contesto politico e regolamentare. Le relazioni del clan Ellison con figure politiche di primo piano hanno fatto notizia e, sebbene la politica non sia una garanzia, in alcuni casi può facilitare passaggi regolatori. Non bisogna però confondere la probabilità di approvazione con la convenienza dell’operazione. La pratica antitrust negli Stati Uniti rimane attenta a concentrazioni che riducano la competizione nel mercato dei media e dello streaming. Un soggetto che controlla grandi librerie di contenuti e canali rilevanti per l’informazione può essere osservato con attenzione da autorità sia domestiche sia internazionali. Il fatto che una relazione politica possa accelerare procedure burocratiche non elimina la domanda di merito economico dell’operazione.
Dal punto di vista industriale la scommessa non è priva di senso. Mettere insieme cataloghi come quelli di Warner e Paramount crea sinergie di contenuto, scala per la distribuzione e una potenziale maggiore leva negoziale contro i grandi tech che dominano l’attenzione globale. Il problema è che queste sinergie sono spesso più facili da teorizzare che da realizzare, specialmente in settori dove gli asset intangibili richiedono investimenti continui in produzione e marketing per rimanere rilevanti. Inoltre le aspettative di ritorno sugli investimenti devono fare i conti con l’aumento dei costi di produzione, la guerra dei prezzi nello streaming e la lenta erosione del modello pay-TV. La domanda strategica è semplice: trasformare scala in valore richiede disciplina operativa, non solo una pila di franchising famosi.
C’è infine la questione della natura stessa del capitale che sostiene l’acquisto. L’iniezione di liquidità derivante dall’aumento del valore azionario di Oracle è un fenomeno reale ma volatile. Il rally del titolo, alimentato da previsioni di RPO future legate a contratti AI, ha mostrato il lato speculativo del mercato: il giorno dopo il boom è arrivata una fase di raffreddamento con un ritracciamento delle azioni di Oracle. Questo tipo di oscillazioni rende rischioso basare una strategia di acquisto su plusvalenze di breve periodo. Un conto è giocare in borsa per creare un’astrazione di ricchezza, un altro è impegnare quella ricchezza in accordi che richiedono impegni pluriennali e risorse liquide stabili.
In termini pratici vale la pena ricordare che Warner Bros. Discovery, pur avendo una gigantesca biblioteca di titoli e marchi, affronta la pressione per migliorare la redditività. La potenziale combinazione con Paramount Skydance potrebbe provocare economie di scala ma comporterebbe anche duplicazioni, ristrutturazioni e costi di integrazione che eroderebbero i benefici attesi nel breve termine. Non si tratta solo di tirare fuori nuove serie o di mettere Batman insieme a Indiana Jones, si tratta di riallocare risorse, tagliare processi e gestire reticoli contrattuali con talenti, distributori e sindacati che non amano i tagli rapidi. Il lavoro più sporco in queste fusioni non è il firmare assegni, è il sostenere i costi della transizione.
La narrativa romantica del magnate che reinventa Hollywood è allettante e vende benissimo sulle prime pagine. La realtà dei numeri e della struttura del mercato suggerisce invece prudenza. Fare leva sul successo di una singola giornata di mercato per intraprendere una trasformazione industriale richiede piani contingenti, impegni di capitale misurati e una governance pronta a resistere alla volatilità. Se la famiglia Ellison ha la capacità finanziaria di sostenere un lungo periodo di ridefinizione industriale, allora la mossa può avere senso. Se invece la strategia si regge su contingenze di listino e promesse di contratti pluriennali che potrebbero essere rinegoziati o annullati, il rischio di rovina è concreto.
Un’ultima curiosità politica e culturale: l’immaginario collettivo ama l’idea del tycoon che compra un pezzo di mondo per poter dire che lo possiede. In questo caso però la posta in gioco non è solo il possesso di franchise o studios, è la capacità di governare un ecosistema complesso che richiede pazienza, investimenti sostenuti e visione a lungo termine. Se Larry Ellison e suo figlio sono davvero convinti che il futuro passi per una scala di contenuti integrata con capacità tecnologiche, allora il gioco è aperto e interessante. Per gli spettatori, il rischio è che la mossa produca meno blockbuster e più ristrutturazioni. Per gli investitori, il rischio è che cento miliardi siano un mattone su una diga che potrebbe avere delle falle.
La finanza che respira aria di AI è potente ma non onnipotente. Il valore non si crea solo con titoli che volano, si costruisce con modello di business robusti, leva finanziaria gestita e una strategia industriale che tenga conto delle frizioni reali del settore. Se i protagonisti di questa storia lo hanno capito, allora la cronaca che vedremo nei prossimi mesi sarà interessata e densa. Se non l’hanno capito, allora il cinema potrebbe regalarci il miglior esempio recente di un film di rischio troppo reale.