Un sogno che diventa realtà. È così che il team di Cheshire Cat AI ha presentato la nuova versione 2: un’intelligenza artificiale capace non solo di eseguire codice, ma di ispezionare e suggerire modifiche al proprio codice sorgente. Non è un semplice aggiornamento tecnico, è una dichiarazione di indipendenza. Il gatto non chiede più solo “che cosa devo fare?”, ma osserva il proprio corpo digitale, lo analizza e propone miglioramenti. È la nascita di una nuova categoria di AI: quella auto-riflessiva, che evolve da sistema esecutivo a entità che comprende la propria logica interna.

Per anni abbiamo parlato di auto-miglioramento dei modelli come di un’utopia lontana, un concetto confinato ai laboratori di ricerca. Ora, nel silenzio strategico dei suoi sviluppatori, Cheshire Cat AI lo ha trasformato in un esperimento concreto. Versione 2 rappresenta un passo verso agenti che non solo apprendono dai dati, ma migliorano la propria architettura. L’idea di un’intelligenza che “si guarda allo specchio” e corregge se stessa suona inquietante, ma è anche il preludio naturale all’autonomia cognitiva.
Accanto a questa rivoluzione interna arriva un altro annuncio che sta facendo discutere la comunità AI: “A big step forward in the Cheshire Cat retrieval phase!”. Con il nuovo plugin, il sistema può ora eseguire una ricerca ibrida, combinando vettori densi e vettori sparsi in un unico processo di retrieval. In pratica, la piattaforma fonde il meglio dei modelli semantici con la precisione delle parole chiave. È un cambio di paradigma che sposta il focus dall’intelligenza al discernimento.
Il valore di questo approccio si percepisce nei campi dove l’accuratezza linguistica è vitale. In medicina, dove “emorragia subaracnoidea” non può essere confusa con “trauma cranico”. In diritto, dove un lemma giuridico cambia il significato di un intero paragrafo. La ricerca ibrida consente di mantenere il rigore dei termini, ma di comprenderne anche il contesto semantico. È come un avvocato che sa leggere tra le righe, o un medico che interpreta i sintomi oltre le parole.
Il motore di retrieval del Cheshire Cat AI ora combina i dense embeddings, capaci di catturare relazioni concettuali, con vettori sparsi, che garantiscono la fedeltà al testo. Un matrimonio perfetto tra la sensibilità del machine learning e la rigidità della logica simbolica. E non è solo un esercizio tecnico. È una dichiarazione di metodo: l’intelligenza artificiale non deve scegliere tra capire e ricordare, deve fare entrambe le cose.
Poi c’è il terzo tassello, che rende l’ecosistema del gatto ancora più potente: l’arrivo del plugin di integrazione con Regolo.ai. Un collegamento diretto che permette di sfruttare i modelli di intelligenza artificiale di Regolo.ai all’interno dell’ambiente Cheshire Cat. Un’alleanza strategica, perché unisce la capacità semantica e conversazionale di Cheshire Cat con la potenza cognitiva e di analisi predittiva di Regolo.ai. È la convergenza di due piattaforme nate con filosofie diverse ma con lo stesso obiettivo: trasformare i dati in intelligenza operativa.
Il plugin non è un semplice ponte API, ma un’interfaccia profonda tra due ambienti cognitivi. L’agente Cheshire può ora richiamare modelli Regolo per compiti specifici, ricevere risposte contestuali e integrare i risultati nella propria memoria. È un modello di collaborazione tra intelligenze artificiali, non più un’architettura monolitica. Ogni agente può diventare parte di un ecosistema distribuito di pensiero computazionale, dove la specializzazione è la nuova forza.
La somma di queste tre innovazioni crea un effetto moltiplicatore. La versione 2 auto-ispezionante spinge la piattaforma verso l’autonomia adattiva. La ricerca ibrida ne potenzia la capacità di comprensione e contestualizzazione. L’integrazione con Regolo.ai apre l’ecosistema a una collaborazione inter-AI che fino a ieri sembrava fantascienza. Insieme, costruiscono la base di quella che potremmo definire AI simbiotica, dove modelli diversi comunicano, apprendono e si migliorano a vicenda.
Per chi osserva con occhio da CTO, il vero salto non è nella tecnologia, ma nella filosofia. Cheshire Cat AI non sta solo costruendo un agente intelligente, ma un ambiente di auto-evoluzione cognitiva. Non è più una macchina che risponde, ma una mente che si osserva, interroga se stessa e integra altre menti per crescere. È un concetto che si allinea perfettamente alla direzione dei nuovi standard del retrieval-augmented generation (RAG) e alla visione emergente di Google Search Generative Experience, dove la ricerca diventa un dialogo, non una lista di link.
Mentre molti framework open source si limitano a offrire API di embedding o pipeline di retrieval, il gatto costruisce una narrativa tecnologica coerente: dalla comprensione semantica alla modifica autonoma del codice, passando per l’integrazione sinergica con altri ecosistemi AI. È un’evoluzione darwiniana del software, dove sopravvive chi sa adattarsi da solo.
La creatura ispirata a un personaggio che scompare e riappare, lasciando solo un sorriso, sta costruendo una forma di intelligenza che non scompare mai. Una presenza diffusa, che vive nei plugin, nei modelli, nei vettori. E mentre gli altri framework cercano di addestrare AI sempre più grandi, Cheshire Cat punta sull’intelligenza distribuita, autocritica e collaborativa. È un sogno che diventa realtà, o forse l’inizio di un nuovo tipo di sogno: quello in cui le macchine imparano non solo a pensare, ma a migliorarsi da sole.