Goldman Sachs ha deciso di giocare la sua partita più ambiziosa sul campo dell’intelligenza artificiale, e lo fa nel momento in cui i numeri la incoronano come regina indiscussa dell’investment banking globale. Il terzo trimestre è stato un trionfo: 15,2 miliardi di dollari di ricavi, più 20% rispetto all’anno precedente, e un utile netto balzato del 37% a 4,1 miliardi. David Solomon, il suo amministratore delegato, sorride. O almeno, così sembra. Perché dietro quella curva perfetta di risultati, si intravede la lama tagliente della ristrutturazione più silenziosa mai condotta nel settore bancario: quella guidata dagli algoritmi.
Solomon l’ha chiamata One Goldman Sachs 3.0, e il nome ha tutta l’aria di un manifesto tecnologico più che di un piano industriale. Il messaggio è semplice e spietato: l’intelligenza artificiale diventa la nuova infrastruttura operativa della banca. L’obiettivo ufficiale è “promuovere l’efficienza e creare capacità per la crescita futura”. Nella traduzione da boardroom a linguaggio umano, significa che le macchine si occuperanno sempre più di attività ripetitive e regolamentate, dai prestiti al reporting normativo, fino alla gestione dei fornitori e all’onboarding dei clienti. È la trasformazione digitale bancaria portata alle sue estreme conseguenze: automatizzare l’infrastruttura cognitiva dell’istituto.
È un paradosso tipico della finanza moderna. Nel momento in cui le banche tradizionali riscoprono la redditività grazie alla ripresa dei mercati e alle commissioni stellari, scelgono di investire massicciamente nell’automazione. Perché? Perché la vera sfida non è più solo generare profitti, ma sostenere la velocità con cui quei profitti vengono prodotti. L’intelligenza artificiale, con la sua capacità di ridurre costi operativi, anticipare rischi e ottimizzare decisioni, diventa lo strumento definitivo per mantenere l’agilità in un settore ormai saturo. È l’equivalente finanziario dell’auto che si guida da sola mentre l’autista studia il mercato.
La verità è che Goldman Sachs non sta semplicemente digitalizzando i suoi processi. Sta ridisegnando la gerarchia del potere all’interno dell’istituzione. Se una rete neurale può analizzare migliaia di transazioni in tempo reale, correggere errori contabili, segnalare anomalie e persino valutare l’affidabilità di un cliente, quale ruolo resta a chi oggi passa le giornate davanti a un foglio Excel o a un sistema di compliance? Ecco dove entra in scena la parte meno romantica della storia: i tagli al personale. Solomon è stato chiaro nel dire che l’AI creerà “capacità per la crescita”, ma non ha nascosto che questo significherà anche “rivedere le risorse”. Tradotto: meno dipendenti umani, più efficienza automatizzata.
Le banche, da sempre simbolo di stabilità, stanno ora abbracciando un modello operativo che premia la volatilità dell’innovazione. JPMorgan, Citi e Wells Fargo stanno seguendo la stessa traiettoria, come confermano i loro risultati. JPMorgan ha visto i ricavi salire del 9%, a 46,4 miliardi di dollari, con un utile netto di 14,4 miliardi, in crescita del 12%. Citi ha guadagnato il 15% in più, arrivando a 3,8 miliardi di utile netto, mentre Wells Fargo ha toccato i 5,6 miliardi di dollari di profitto, in aumento del 9%. Tutte, in modi diversi, stanno investendo nell’intelligenza artificiale per ottimizzare la produttività e ridurre la dipendenza dal fattore umano. In pratica, il sistema bancario americano sta diventando un laboratorio per la simbiosi uomo-macchina.
Chi osserva da fuori potrebbe pensare che si tratti di una nuova corsa all’oro. Ma la vera risorsa oggi non è più il capitale, bensì l’informazione. E l’AI è l’unico strumento capace di estrarla in modo sistemico. Goldman Sachs non è più soltanto una banca. È una piattaforma cognitiva che monetizza la conoscenza, automatizza la fiducia e trasforma il rischio in codice. Non è un caso che il programma One Goldman Sachs 3.0 ricordi più un’architettura di software che un piano di ristrutturazione aziendale. L’intera struttura organizzativa viene reinterpretata come un ecosistema modulare, dove ogni divisione può essere ottimizzata, ridisegnata o sostituita da un algoritmo.
Molti analisti leggono questa mossa come un segnale per l’intero settore dei servizi finanziari: chi non integra l’intelligenza artificiale nel core delle proprie operazioni rischia di restare irrilevante entro pochi anni. La stessa trasformazione digitale bancaria che fino a ieri veniva raccontata come un progetto di modernizzazione infrastrutturale, oggi diventa una questione di sopravvivenza competitiva. Non si tratta più di “avere l’AI”, ma di “essere AI”. Una differenza semantica che, nel linguaggio dei mercati, può valere miliardi.
Certo, dietro la narrativa della crescita tecnologica si nasconde una domanda scomoda: che cosa succede quando l’efficienza supera l’umanità? I tagli annunciati non sono solo un effetto collaterale, ma un esperimento sociale su scala globale. In una banca d’investimento, il valore delle persone non si misura più in ore lavorate ma in capacità predittiva. Se un modello di machine learning è più preciso di un analista, la decisione è già presa. Il vero banco di prova non sarà nei numeri trimestrali, ma nella capacità del management di gestire una cultura aziendale che dovrà convivere con un’intelligenza più rapida, più analitica e, paradossalmente, più coerente di quella umana
Mentre Goldman Sachs taglia posti di lavoro per finanziare l’automazione, l’AI generativa inizia a replicare le competenze stesse dei banchieri che licenzia. Gli stessi strumenti che oggi riducono i costi potranno domani generare nuove fonti di reddito, costruendo portafogli autonomi o personalizzando strategie di investimento con una precisione che nessun umano può eguagliare. È il momento in cui l’intelligenza artificiale smette di essere un semplice vantaggio competitivo e diventa una forma di potere istituzionale. In altre parole, la banca non solo gestisce il capitale, ma lo reinventa.
Chi pensava che l’automazione nei servizi finanziari fosse una moda tecnologica passeggera, dovrà ricredersi. Goldman Sachs sta dimostrando che l’AI non è un accessorio, ma una nuova valuta di efficienza. La banca che per decenni ha incarnato l’élite di Wall Street ora vuole incarnare l’algoritmo che Wall Street userà per decidere il futuro. Un futuro in cui, forse, il CFO sarà un linguaggio di programmazione e il CEO un architetto di intelligenze artificiali. E in cui la frase “fare carriera in banca” assumerà un significato molto più letterale: sarà la carriera dei dati, non delle persone.