Bill Pulte, nuovo direttore della Federal Housing Finance Authority, ha sganciato una bomba sul settore: Fannie Mae e Freddie Mac stanno valutando di prendere partecipazioni dirette in società tecnologiche. Non parliamo di piccoli esperimenti di innovazione, ma di equity swap offerti da giganti tech per accedere al potere di due colossi che controllano buona parte dell’ecosistema finanziario americano.

È un ribaltamento concettuale: da istituzioni iper-regolate a player ibridi che flirtano con il venture capital. Pulte, con una calma quasi provocatoria, ha ammesso che “abbiamo alcune delle più grandi aziende pubbliche che offrono equity a Fannie e Freddie in cambio di partnership strategiche”.

La mossa, se concretizzata, cambierebbe la traiettoria delle due GSE, spingendole verso un modello di business misto, pubblico-privato, in linea con la nuova era della finanza ibridata con la tecnologia. L’eventuale IPO delle due entità, che l’amministrazione Trump potrebbe decidere entro l’inizio del prossimo anno, avrebbe così un contorno molto più ambizioso di una semplice privatizzazione: un ingresso diretto nel gioco dell’innovazione.

Mentre in America si discute di potere finanziario e alleanze tecnologiche, in Cina l’intelligenza artificiale assume toni quasi morali. Chen Deli, ricercatore chiave di DeepSeek, ha avvertito che gli sviluppatori di AI dovranno agire come “difensori” della società. Un’affermazione che sembra uscita da un romanzo distopico, ma che riflette una verità lucida: nel momento in cui l’AI potrà automatizzare quasi tutto il lavoro umano, chi la progetta avrà una responsabilità etica di portata inedita.

“Sono estremamente positivo sulla tecnologia, ma vedo l’impatto sociale in modo negativo”, ha detto Deli, in una delle frasi più oneste pronunciate nel panorama tech cinese degli ultimi anni. Un’eco che rimbalza in Occidente, dove l’ottimismo artificiale rischia spesso di soffocare il dibattito sui rischi reali della sostituzione di massa. DeepSeek, poco nota al grande pubblico, sta emergendo come una delle realtà più aggressive nella ricerca sull’AI cognitiva, e il tono del suo messaggio è chiaro: o l’intelligenza artificiale diventa un meccanismo di difesa collettiva, o diventerà una forza di disgregazione sociale.

Nel frattempo, Nvidia gioca una partita più geopolitica che tecnologica. Jensen Huang, il suo CEO carismatico, ha chiarito che non ci sono “discussioni attive” per la vendita del chip Blackwell in Cina. È il cuore pulsante dell’intelligenza artificiale di nuova generazione, ma Washington ha deciso di tenerlo lontano da Pechino per motivi di sicurezza nazionale. L’idea di una versione “ridotta” del chip rimane sul tavolo, ma Huang ha tagliato corto: “Al momento non abbiamo in programma di spedire nulla in Cina”. Un’affermazione che dice molto più di quanto sembri. Nvidia, leader incontrastata dei semiconduttori per AI, si trova al centro di una guerra fredda digitale dove ogni transistor è un’arma strategica. Le restrizioni americane, più che proteggere la sicurezza, stanno ridisegnando la geografia industriale globale, con effetti potenzialmente esplosivi sul medio periodo.

Fannie Mae, DeepSeek e Nvidia. Tre nomi che sembrano appartenere a mondi diversi, ma che raccontano la stessa storia: quella di un potere tecnologico che si sposta, si concentra e si politicizza. Il fatto che due agenzie nate per garantire mutui alla classe media americana vogliano oggi entrare nel capitale delle big tech dice molto sulla nuova logica del capitale. In Cina, invece, i ricercatori parlano già di difendere la società dall’AI che loro stessi stanno creando. Negli Stati Uniti, le aziende devono difendersi dal governo per poterla vendere. È il paradosso perfetto della modernità digitale: tutti parlano di innovazione, ma ognuno cerca solo di controllarla.

Il mondo finanziario sta imparando a parlare la lingua della tecnologia, mentre l’intelligenza artificiale impara, suo malgrado, quella della politica. Pulte gioca con l’idea di fondere housing finance e tech equity. Chen Deli invoca una moralità digitale. Huang difende la sovranità del silicio. Tre prospettive diverse, unite da un’unica ossessione: chi controllerà il futuro del potere computazionale. La risposta, come sempre, arriverà dal mercato, ma il mercato non è più neutrale. È già un attore politico.