Microsoft ha deciso di cambiare tono di voce. Non più solo l’azienda che parla ai CIO e ai responsabili IT delle Fortune 500, ma un brand che cerca spazio anche nelle vite quotidiane di chi apre TikTok la mattina. Secondo Bloomberg, il colosso di Redmond ha iniziato a collaborare con influencer come Alix Earle, che con i suoi otto milioni di follower su TikTok e cinque su Instagram è diventata il volto inconsapevole del nuovo marketing dell’intelligenza artificiale. In un video chiede a Copilot come sembrare più giovane, in un altro lo definisce un “lifesaver” per organizzare piani di gruppo. È la nuova strategia: far sembrare un chatbot qualcosa di familiare, amichevole, quasi pop.
Il contesto però è più spietato dei sorrisi dei social. Microsoft ha sì un solido zoccolo duro di clienti enterprise, ma quando si guarda ai numeri di utilizzo globale, Copilot arranca. Oggi conta circa 150 milioni di utenti attivi al mese, mentre Gemini di Google ne registra 650 milioni e ChatGPT di OpenAI tocca 800 milioni di utenti attivi a settimana. Numeri che raccontano un divario imbarazzante, soprattutto se si pensa che Microsoft è stata la prima a scommettere miliardi sull’AI generativa e sulla partnership con OpenAI. Ma il successo commerciale non si misura solo con gli investimenti.
La differenza di trazione emerge anche dai download. Secondo Sensor Tower, Copilot è stato scaricato 99 milioni di volte. Un dato che, messo accanto ai 1,4 miliardi di download di ChatGPT, ai 392 milioni di Gemini, ai 158 milioni di DeepSeek e ai 124 milioni di Perplexity, fa sembrare il suo ingresso nel mercato più una comparsa che un debutto trionfale. La verità è che Copilot non ha ancora trovato una sua identità chiara nel segmento consumer. Troppo tecnico per gli utenti comuni, troppo semplificato per i professionisti dell’AI.
Da qui la svolta. Yusuf Mehdi, Chief Marketing Officer Consumer di Microsoft, lo ha ammesso con una certa lucidità: “Siamo un marchio challenger in questo ambito, stiamo emergendo. Anche se la credibilità percepita dell’influencer non è altissima, la familiarità che genera con il pubblico può spingere le persone a provarlo.” Tradotto: Microsoft sta cercando di usare la popolarità come scorciatoia per l’empatia. Una mossa che sa di startup più che di colosso tecnologico, ma forse è proprio ciò di cui aveva bisogno.
La scelta non è casuale. Le aziende tech stanno riscoprendo l’efficacia dell’influencer marketing come leva psicologica più che promozionale. Dopo anni di campagne costruite su spot patinati e conferenze stampa in stile Silicon Valley, ora è il tempo delle “micro-connessioni” e dei video da 15 secondi che creano intimità digitale. L’influencer marketing è diventato una vera disciplina accademica, con corsi universitari dedicati e algoritmi di misurazione del ROI che ormai valgono quanto una laurea in economia.
Il punto è che Microsoft non sta solo cercando nuovi utenti. Sta cercando di riscrivere la percezione pubblica della propria AI. Vuole far capire che Copilot non è solo un’estensione di Word o Excel, ma un assistente personale capace di dialogare, consigliare, persino divertire. In altre parole, un prodotto con una personalità. Il problema è che questa personalità deve ancora nascere. Al contrario di ChatGPT, che è già diventato sinonimo di chatbot generativo, Copilot resta un nome tecnico, un po’ freddo, quasi da cockpit aeronautico.
La stessa Microsoft che per anni ha dominato i mercati enterprise ora si trova costretta a imparare la grammatica del virale. La domanda “Come faccio a sembrare più giovane?” vale più di mille demo aziendali. Il linguaggio dei social, se usato bene, può essere un’arma potente per normalizzare la tecnologia. Ma può anche banalizzarla, riducendo l’AI a un filtro di bellezza digitale. È una scommessa culturale, prima ancora che commerciale.
L’operazione Copilot-influencer mostra quanto la guerra delle intelligenze generative sia diventata una questione di storytelling. ChatGPT è percepito come geniale e accessibile, Gemini come scientifico e preciso, DeepSeek come alternativo e ribelle. Copilot, per ora, è il “corporate assistant” che cerca di diventare umano. Il rischio è che l’utente non lo percepisca mai come una voce autentica ma come l’ennesimo strumento Microsoft con un tocco di trucco social.
Se però l’azienda riuscirà a trasformare la sua credibilità tecnica in appeal emozionale, allora il distacco dai rivali potrebbe ridursi più in fretta del previsto. Dopo tutto, l’AI non è solo una corsa ai modelli più potenti, ma una sfida per conquistare l’attenzione e la fiducia delle persone. E in questo, gli influencer sono i nuovi ambasciatori della fiducia digitale.
Microsoft ha sempre saputo reinventarsi. Se questa strategia funzionerà, non sarà solo una vittoria per Copilot ma un segnale che la comunicazione dell’intelligenza artificiale sta entrando nella sua fase più umana, dove il codice incontra il carisma. Anche se, per adesso, a parlare è più TikTok che Redmond.