Elon Musk ha deciso che non gli basta più dominare le auto elettriche, l’intelligenza artificiale e i razzi spaziali. Ora vuole anche mettere le mani nel cuore di silicio di tutto questo: i chip. Durante l’assemblea annuale di Tesla, il CEO ha lanciato un messaggio che ha fatto vibrare l’intero ecosistema tecnologico: “Come possiamo produrre abbastanza chip?”. La domanda non era retorica. Dopo l’approvazione del suo pacchetto retributivo da mille miliardi di dollari, Musk ha chiarito che la scarsità di semiconduttori rischia di frenare la corsa di Tesla nell’autonomia dei veicoli e nella robotica.

Il tono è stato quello di chi, di fronte ai limiti dei fornitori, decide di alzare l’asticella e costruire da sé la soluzione. “Anche nello scenario migliore, la produzione attuale non basta”, ha detto, suggerendo che Tesla potrebbe presto realizzare una “gigantesca fabbrica di chip”. È un passo che, se concretizzato, cambierebbe gli equilibri industriali tra Stati Uniti e Asia, dove la taiwanese TSMC e la sudcoreana Samsung dominano la produzione mondiale.

Musk non è nuovo a questo tipo di ambizioni verticali. Tesla già progetta internamente i propri chip per il Full Self-Driving e il supercomputer Dojo, ma finora si è affidata a partner esterni per la fabbricazione. L’idea di una fabbrica interna non è nata ieri: nel 2024 aveva già scritto su X che Tesla “potrebbe” costruirla, aggiungendo ironicamente “spero proprio che non dovremo farlo”. Ora, la realtà sembra bussare alla porta con forza.

Il problema dei chip non è solo tecnico. È geopolitico, economico, perfino filosofico per chi, come Musk, crede nella sovranità tecnologica. Dipendere da fornitori esterni significa accettare ritardi, costi e vincoli su scala globale. Per un’azienda che punta a rendere l’intelligenza artificiale il motore di ogni veicolo, robot e sistema produttivo, la catena di approvvigionamento è il tallone d’Achille. Il CEO di Tesla vuole tagliarlo via, trasformando la dipendenza in vantaggio competitivo.

C’è anche un messaggio implicito al mercato: Tesla non vuole più essere solo un costruttore di auto, ma un ecosistema completo che spazia dall’AI ai chip, dai dati all’energia. È la stessa logica che ha spinto Apple a creare i propri processori M1 e M2, ma con un livello di complessità industriale decisamente superiore.

Non a caso, durante l’assemblea, Musk ha accennato a una possibile apertura verso Intel, dichiarando che “vale la pena discuterne”. Una frase che è bastata per far schizzare le azioni del colosso di Santa Clara del 3% nelle contrattazioni after-hours, prima di un fisiologico ritracciamento. Anche questo è tipico di Musk: bastano poche parole per muovere miliardi.

Dietro le quinte, la sfida è enorme. Costruire una fabbrica di semiconduttori richiede investimenti nell’ordine delle decine di miliardi e una catena di fornitori che va dai materiali ultra-puri ai sistemi di litografia avanzata, dominati da pochissime aziende globali. Ma Musk non è mai stato un fan delle strade facili. Se il passato è un indicatore, potrebbe davvero provarci.

La domanda interessante non è se Tesla costruirà una fabbrica di chip, ma cosa significherà se lo farà. Potrebbe aprire la strada a un nuovo modello industriale americano, dove la manifattura high-tech torna in patria per alimentare l’intelligenza artificiale e l’autonomia dei robot. Oppure potrebbe diventare l’ennesima follia visionaria destinata a finire tra le note di colore delle sue assemblee annuali.

In entrambi i casi, il messaggio è chiaro: nel futuro che Musk immagina, chi controlla il silicio controlla il potere. E come spesso accade con lui, la linea tra strategia e provocazione è sottilissima, ma per il mercato ogni parola pesa tonnellate.