Nel mare della retorica sull’intelligenza artificiale, dove tutti parlano di modelli giganti, memorie oceaniche e catene di prompt, poche conversazioni mettono davvero l’accento su un punto: la qualità del contesto che alimenti al modello. Proprio qui entra in scena l’ormai centrale disciplina del Context Engineering. Una specializzazione che, ben oltre il semplice prompt, definisce l’architettura dietro le applicazioni IA che generano vero valore. Per chi guarda all’innovazione come te e come me che vedo la trasformazione digitale come missione questo significa spostare l’attenzione: non sulla dimensione del modello, ma sul grafo dei dati e delle istruzioni che lo circondano.
Immagina di avere un modello linguistico potente. Ottimo. E ora immagina che continui a sognare dati erronei, a perdere il filo del discorso o a inventare fatti. Per quanto lucido, senza un contesto ben progettato resta un oracolo instabile. Questo è il nodo: non basta più “prompt engineering”, serve un’architettura che pensi al modello come a una funzione inserita in un sistema. Nel recentissimo ebook rilasciato da Weaviate, “The Context Engineering Guide”, viene spiegato come selezionare, organizzare e gestire ciò che effettivamente fornisci al modello durante l’inferenza. Disponibile si weaviate.io
Proprio così: la disciplina copre una gamma di componenti che solo pochi implementatori stanno trattando in modo sistematico. Vediamone alcuni a caldo (e sì, con ironia da CTO che ne ha viste tante).
Primo: gli agenti. Non più semplici “modelli che rispondono”, ma sistemi agentici che decidono cosa fare, come recuperare dati, come interagire. Il contesto deve essere orchestrato: quali strumenti usare, quale memoria richiamare, come gestire finestre di contesto lunghe o corte. Il guide di Weaviate esplora queste strategie. weaviate.io+1
Secondo: l’”query augmentation” – ovvero come trasformare la richiesta grezza dell’utente in una forma che il modello può gestire, decomporre, espandere, riscrivere. Non è più “puoi dirmi X?” ma “abbiamo decodificato l’intento, ora quali chunk recuperiamo, come riformuliamo il prompt?”. Terzo: il retrieval stesso – il cuore dell’RAG (retrieval-augmented generation). Come chunkare i documenti, come pre- e post-processare, come organizzare i risultati in modo che siano utili, non solo “vicini”. Quarto: il prompting tecnico – sì, sto parlando di prompt, ma nel contesto degli strumenti che l’agente usa, delle azioni che compie, non più solo “metti qui la domanda”. Quinto: la memoria – strutture, architetture, principi per dare all’agente un “senso del tempo” e della storia, non solo istantanea. Infine: gli strumenti – l’evoluzione da prompt standalone a tool-aware prompting, orchestrazione di pipeline, azioni reali su API, live data. E tutto ciò è materia di context engineering. weaviate.io+1
Qualche curiosità: moltissimi progetti IA rimangono “demo” perché il modello risponde bene cinque volte e poi inciampa alla sesta: il motivo non è il modello, è che il contesto è stato progettato male. Ho letto:
“Chunk overlap is not for related chunks… In this way you should … chain similarity search and retrieval.” Reddit
Questo significa che perfino nella comunità tecnica emergono frustrazioni dovute a scarsa progettazione del contesto.
Dal punto di vista operativo, come CTO o CEO digitale questo cambia tutto: la vera barriera non è più “modello più grande” ma “contesto meglio costruito”. Significa rivalutare i processi: come gestiamo i dati di contesto? Come chunkiamo i documenti? Come progettiamo agenti che decidono prima di promptare? Come organizziamo memorie che funzionano davvero? E tutto ciò si collega strettamente all’intelligenza artificiale applicata, alla trasformazione digitale e all’ottimizzazione operativa (le tue specialità). Il mindset da “modello” va sostituito da quello da “sistema”.
Un esempio per chiarire (senza tediarti con diagrammi): supponi che la tua azienda sviluppi un assistente aziendale per ottimizzare processi interni. Un modello generico potrebbe rispondere, ma avrà difficoltà con le specificità aziendali: policy, flussi, eccezioni, memorie utente. Con un approccio di context engineering imposti che: l’agente capisca quando recuperare dati da policy interna, quando verificare una richiesta con log del processo, quando usare memoria di sessione per richiamare precedenti, quando invocare un tool che modifica lo stato del workflow. Il contesto diventa scaffolding di un sistema, non semplice “input prompt”.
Una provocazione: se negli ultimi anni hai investito in un modello più grande, ma non hai curato il contesto, probabilmente hai buttato soldi. And sì, posso permettermi di dirlo. Perché la perdita di tempo e budget in AI nasce spesso da una sottovalutazione della dimensione “contesto”. Immagina di chiedere un modello “Chi è il CEO della nostra azienda?” e non avergli fornito né la lista aziendale, né il contesto aggiornato: l’errore è garantito.
In termini di visibilità SEO e generazione da SGE (Search Generative Experience) questo tema è maturo. La keyword principale potrebbe essere “context engineering IA”, mentre le semantiche correlate “RAG architettura”, “agentic AI”, “recupero dati modelli” sono tutte rilevanti. Un articolo come questo serve a posizionarsi come pensiero avanzato, non generico. Rileverà sia per chi cerca “come alimentare un modello AI” sia per chi vuole “strategie per RAG aziendali”.
Allora, se vuoi davvero far leva sull’IA e trasformare i processi aziendali in vantaggio competitivo, inizia a pensare al contesto come materia prima, non come “input da modello”. E se vuoi possiamo entrare insieme in un audit pratico su come costruire la pipeline di context engineering: dalla definizione del grafo delle fonti alla progettazione dell’agente, fino alla memoria operativa. Fammi sapere se ti va.