Il mattoncino era già pronto: a dicembre 2025 il Dipartimento della Difesa USA ha ufficialmente “premuto il bottone” su GenAI.mil. Nel video di annuncio, il segretario Pete Hegseth — che da qualche tempo si auto‑etichetta “Secretary of War” (senza che il Congresso abbia ratificato un cambio formale di nome) — dichiara che la piattaforma “mette i modelli di frontier‑AI più potenti del mondo nelle mani di ogni singolo guerriero americano”.

Dentro GenAI.mil non c’è un giocattolino spartano. Google Gemini for Government è stato selezionato perché è “enterprise-grade”, certificato come IL5 (Impact Level 5) per gestire CUI — informazioni classificate come “controlled unclassified information”. Accesso garantito solo mediante la “common access card” del Dipartimento, e solo su reti non classificate.

Il messaggio ufficiale enfatizza usi da ufficio: summarizzazione di manuali di policy, generazione di checklist di compliance, estrazione di termini chiave da contratti, valutazioni di rischio per piani operativi, automazione di flussi burocratici, semplificazione dell’onboarding di personale, accelerazione dei processi di contrattualistica. Il Dipartimento giura che i dati immessi non alimenteranno i modelli pubblici di Google.

Eppure la retorica non lascia dubbi: “The future of American warfare is here, and it’s spelled AI”, dice Hegseth. Nel comunicato ufficiale del Dipartimento — ribattezzato “War Department” sebbene senza ratifica — la piattaforma viene presentata come uno strumento destinato a “trasformare in profondità il Dipartimento, come non si vedeva da un decennio”.

Il piano non si ferma a Gemini: secondo il CTO del Dipartimento, Emil Michael, altri modelli frontier — di aziende come Anthropic, xAI, OpenAI — saranno integrati su GenAI.mil in futuro.

L’ironia (amara) sta nel contrasto tra uso dichiarato “burocratico‑amministrativo” e la narrativa da “forza letale”: in un colpo solo il Pentagono cerca di tenere dentro la plausibilità pubblica di “risparmio tempo e burocrazia” e la plausibilità interna di “supremazia tecnologica bellica”.

Chi ha visto comparire la finestra pop‑up con “Gen AI” sul proprio computer di lavoro (militare, civile o contractor) ha reagito con sospetto. Un post su un forum interno — trascritto su Reddit — diceva “It looks really suspicious to me”. Un altro commentava che “se non lo segnalo, sembrerò il tipo poco produttivo… ma non mi fido”.

Perché questo lancio cambia le regole del gioco per l’intera industria tech. Primo: un gigante come Google ottiene un acceso preferenziale al budget pubblicitario/militare per “AI enterprise-grade” con garanzia di data‑sovereignty. Il che definisce un precedente in cui le barriere etiche che fino a qualche mese fa – anche da parte delle stesse aziende – frenavano la collaborazione con sistemi militari, svaniscono. Il reclutamento massiccio (3 milioni di utenti potenziali già al debutto) significa che se Gemini, o un successore, dimostrerà efficacia sul campo (anche solo ordinario, non combat), la domanda interna a Google (o fornitori equivalenti) per “modelli AI pronti” salirà drasticamente.

Secondo: la soglia di confidenza sulle soluzioni “CUI/IL5” offerte da provider commerciali — cioè cloud + LLM + agentic workflows — è innalzata. Questo spiana la strada a un’escalation: non solo automazione di pratiche amministrative, ma possibile adozione in contesti più sensibili, logistic, intelligence, sorveglianza, analisi di immagini/video. I “modelli militari” e quelli “civil‑enterprise” iniziano a confondersi.

Terzo: per l’ecosistema europeo e italiano — e per chi, come me, guarda al futuro della trasformazione digitale — è un segnale di come “governo + AI generativa + cloud pubblico/commerciale” non è più concetto futuribile, ma realtà concreta. Questo rafforza l’argomento che anche Pubbliche Amministrazioni con vincoli stringenti (privacy, compliance, data sovereignty) possono — se vogliono — adottare modelli generativi, purché progettino infrastrutture e controlli adeguati.

Un effetto collaterale potenziale è la corsa competitiva: se il Dipartimento della Difesa USA spinge per “dominare la frontiera AI”, altri governi e contractor si sentiranno spinti a fare lo stesso. La separazione tra AI “privata” e “governativa/militare” si assottiglia.

E poi, la questione morale: la retorica di “AI per migliorare efficienza e compliance” è la maschera soft per un inevitabile salto verso capacità operative più aggressive, se la “cultura AI‑first” conquisterà l’intero “ritmo di battaglia” quotidiano. Il fatto che il lancio pubblico venga enfatizzato attraverso slogan da vittoria (“make our fighting force more lethal than ever before”) lascia poco spazio a negare l’intento strategico di deterrenza e potenza.

Alla fine, GenAI.mil non è un semplice salto tecnologico. È un punto di svolta geopolitico. Chi gestisce la generazione e l’infrastruttura AI detiene potere. E chi comanda la piattaforma — pubblica o privata — inizia a decidere cosa significhi “efficienza”, “segretezza”, “innovazione” in nome della “sicurezza”.