Nel vortice competitivo tra colossi tecnologici statunitensi e governi di tutto il mondo, una tendenza apparentemente casuale sta assumendo i contorni di una strategia deliberata: il reclutamento di ex ministri del governo britannico nelle posizioni chiave delle imprese tecnologiche. L’ultimo caso eclatante, l’assunzione di George Osborne da parte di OpenAI per dirigere OpenAI for Countries, è solo l’esempio più recente di una dinamica che ha radici profonde nella geopolitica, nella trasformazione digitale globale e nella competizione per il controllo della regolamentazione dell’intelligenza artificiale e dell’innovazione tecnologica.
Per comprendere appieno perché figure come Osborne, Nick Clegg o persino Rishi Sunak risultino irresistibili per aziende come OpenAI, Meta, Microsoft e Anthropic, bisogna guardare oltre il titolo corporate vagamente descrittivo e scavare nella realtà dei rapporti tra politica, tecnologia e potere.
La prima parola chiave qui è capacitazione normativa. I governi occidentali, in particolare quelli europei, sono diventati negli ultimi anni molto più assertivi nel regolamentare i giganti tecnologici. Dalla privacy dei dati alle preoccupazioni antitrust, fino alle regole sull’intelligenza artificiale, l’Unione Europea esercita una pressione normativa che può frenare o accelerare l’adozione di tecnologie su scala globale. Un ex ministro britannico porta con sé non solo comprensione delle dinamiche politiche e regolatorie, ma anche reti di relazioni consolidate nelle amministrazioni pubbliche europee. In un contesto dove intelligenza artificiale governance non è più un concetto astratto ma una realtà che richiede interlocutori credibili con i policy maker, questa expertise politica diventa un asset strategico enorme.
George Osborne, ex Cancelliere dello Scacchiere britannico, non è stato chiamato a OpenAI per gestire server o sviluppare modelli di linguaggio. Il suo incarico, spiegato da Chris Lehane responsabile degli affari globali di OpenAI, è costruire ponti con governi e istituzioni per sviluppare infrastrutture di intelligenza artificiale, dalla capacità di calcolo alla formazione della forza lavoro, fino agli standard di sicurezza e cybersecurity. In altre parole, OpenAI non sta semplicemente assumendo un consigliere: sta investendo in qualcuno capace di navigare la politica pubblica globale, di facilitare accettazione e adozione dell’AI negli Stati nazionali e di mitigare rischi regolatori prima che diventino ostacoli insormontabili.
Questa strategia non è nuova. Nel 2018 Meta Platforms ha assunto Nick Clegg, ex Primo Ministro britannico, come dirigente per gli affari globali. Clegg aveva il compito di gestire la relazione con governi e organi regolatori proprio nel momento in cui Facebook e le sue aziende sorelle affrontavano critiche crescenti su privacy, disinformazione e impatto sociale. La portata di quel ruolo ricordava sorprendentemente quello che Osborne ora ricopre in OpenAI, sebbene con un mandato ancora più ampio. L’assunzione di Sunak come consulente da parte di Microsoft e Anthropic, sebbene part-time, ribadisce che questi giganti tecnologici vedono nei veterani della politica britannica una combinazione rara di credibilità, rete di contatti e familiarità con la regolamentazione sofisticata di mercati complessi.
Perché proprio il Regno Unito? Perché non, ad esempio, ex ministri tedeschi o francesi? La risposta richiede uno sguardo alla posizione geopolitica del Regno Unito post-Brexit. Londra si è ritagliata una nicchia come ponte tra la Silicon Valley e Bruxelles, offrendo un terreno di dialogo più flessibile, culturalmente affine alle imprese statunitensi ma radicato nel contesto normativo europeo. Il Regno Unito ha cercato di posizionarsi come hub per l’intelligenza artificiale, promettendo regolamentazioni “pro-innovazione” senza sacrificare sicurezza e diritti individuali. Un ex ministro britannico porta con sé non solo competenze politiche, ma anche una narrazione convincente: quella di un paese capace di dialogare con Washington e Bruxelles allo stesso tempo. In un mondo dove la regolazione dell’intelligenza artificiale Europa Stati Uniti è un terreno di scontro e di cooperazione, questa narrativa ha valore strategico.Ironia della sorte, mentre molte critiche ai giganti tecnologici ruotano attorno alla loro influenza eccessiva sui governi, qui vediamo la dinamica inversa: ex leader politici che portano la loro influenza nei gangli delle imprese tecnologiche. È un fenomeno che solleva domande profonde sulla natura della democrazia, della regolazione pubblica e del potere privato. Quando un ex Cancelliere dello Scacchiere si trova a guidare iniziative globali in un’azienda privata, la distinzione tra pubblico e privato diventa sfumata. Alcuni ritengono che questo tipo di “porte girevoli” tra politica e tecnologia sia inevitabile, altri che rappresenti un conflitto di interessi dai contorni problematici.
La risposta di OpenAI, apparentemente, è che in un mondo dove la tecnologia avanza più velocemente delle leggi, servono professionisti che comprendano entrambe le dimensioni. La formazione della forza lavoro per l’AI, la definizione di standard di sicurezza, l’integrazione con servizi pubblici essenziali non sono semplici problemi tecnici. Sono questioni che richiedono dialogo costante con governi, comprensione delle priorità pubbliche e, soprattutto, credibilità istituzionale. Chi meglio di un ex ministro con esperienza nel bilancio nazionale e nelle dinamiche legislative può facilitare questo tipo di conversazioni? Questo, almeno, è il ragionamento dietro la scelta di Osborne.
La portata dell’incarico di Osborne supera anche quella di Clegg. Mentre Clegg si concentrava sulle relazioni istituzionali e sulla gestione delle crisi normative per Meta, Osborne sembra essere chiamato a un ruolo quasi statale: aiutare nazioni a costruire infrastrutture di AI, migliorare servizi pubblici con l’intelligenza artificiale e formare lavoratori per una trasformazione digitale che sta già cambiando il mondo del lavoro. Questa non è una semplice posizione corporate, è una missione globalmente significativa. È come se OpenAI stesse costruendo una sorta di “ministero dell’intelligenza artificiale globale”, e Osborne fosse stato scelto come suo segretario esecutivo. Senza il mandato democratico.C’è un’altra dimensione che merita attenzione: la cultura aziendale e l’influenza transatlantica. OpenAI, come Meta prima di lei, ha visto un afflusso significativo di talenti da aziende tecnologiche consolidate. Circa un quinto della forza lavoro di OpenAI proviene da Meta. Questo crea non solo affinità di pensiero e pratiche operative, ma anche una cultura che valorizza l’esperienza in grandi organizzazioni dove le relazioni politiche e le lobby sono parte integrante del gioco. In un certo senso, assumere figure politiche britanniche è coerente con questo ecosistema culturale: una miscela di pragmatismo aziendale americano con sensibilità regolatorie europee.
Non sorprende quindi che OpenAI conceda spazio nel suo Slack interno a un canale dedicato agli ex dipendenti di Meta. È un segno della permeabilità culturale tra questi giganti tecnologici e un indicatore di come le strategie aziendali di una stiano influenzando le altre. L’assunzione di Osborne non è un atto isolato, ma un passo in una danza più ampia tra industria tecnologica, regolatori e Stati nazionali.
C’è chi potrebbe liquidare tutto questo come un semplice episodio di “porta girevole” tra politica e industria. Ma una lettura più profonda rivela un fenomeno più strutturale: le aziende tecnologiche non cercano solo competenze, cercano legittimità. In un’epoca in cui la fiducia pubblica nelle istituzioni è fragilissima e la tecnologia permea ogni aspetto della vita quotidiana, chi può garantire a un governo che una piattaforma di AI sarà sicura, affidabile, conforme alle normative? Non un ingegnere, non un manager. Ma qualcuno che ha negoziato bilanci nazionali e votato leggi.
La strategia funziona? Al momento sembra di sì. OpenAI vanta centinaia di milioni di utenti attivi e un impatto globale che cresce di giorno in giorno. La regolamentazione dell’intelligenza artificiale è ancora nella sua infanzia, e avere un ex ministro britannico come ponte tra pubblico e privato potrebbe essere un vantaggio competitivo reale. Ma questa stessa dinamica solleva interrogativi etici e politici che le società tecnologiche e i governi dovranno affrontare. Quando le frontiere tra pubblico e privato si dissolvono, chi rappresenta davvero l’interesse pubblico? E quale sarà il ruolo delle democrazie in un mondo dove le aziende tecnologiche modellano politiche pubbliche con ex ministri alle loro dipendenze? La risposta a queste domande determinerà non solo il futuro delle imprese tecnologiche, ma anche la natura stessa della governance nell’era digitale.