
La ricerca Which Humans? della Harvard Kennedy School (Joseph Henrich et al., pubblicato su PsyArXiv, settembre 2023) affronta esattamente il concetto che citi: i modelli linguistici (Large Language Models, LLMs) riflettono in larga misura valori psicologici e culturali tipici di popolazioni WEIRD (Western, Educated, Industrialized, Rich, Democratic) e gradualmente si allontanano da questi man mano che ci si muove verso culture più “diverse” o distanti da quel profilo. (vedi Harvard Kennedy School)
Il “cracking chart” che menzioni sembra derivare proprio da questo studio: è mostrato un calo della correlazione tra le risposte di GPT e i dati umani man mano che aumenta la distanza culturale dal contesto statunitense. Nel paper: “their performance on cognitive psychological tasks most resembles that of people from WEIRD societies but declines rapidly as we move away from these populations (r = −.70)”.
Quindi sì, l’affermazione che “più qualcuno è culturalmente distante dagli USA, meno le risposte di GPT sono correlate ai suoi valori culturali” è fondata su dati empirici recenti. Non è un falso mito: è osservato, quantificato, e misurato.
Mentre Which Humans? è robusto, è bene aggiungere contesto e verificare alcuni dettagli:
I dati usati nel paper sono basati su psychological measures, ovvero questionari, scale psicologiche (valori, attitudini) raccolte in survey globali. Non sono tutte le tipologie di compito: ciò che viene misurato è come GPT risponde su valori e atteggiamenti esistenti in quelle survey, non su contenuti specialistici, pratiche locali molto concrete, ecc.
La correlazione di r = .70 (negativa) indica un calo sensibile, ma non che il modello sia incapace: significa che mentre per culture vicine agli USA le risposte tendono a coincidere a buon grado con le risposte umane locali, per culture più lontane la divergenza cresce.
Altre ricerche analoghe rafforzano l’idea che i modelli hanno “bias culturali”: per esempio lo studio Cultural Bias & Alignment in LLMs usa i dati delle survey Integrated Values Surveys (WVS/EVS) per misurare come GPT-varianti rispondono su dimensioni culturali, verificando che tutto il gruppo dei paesi anglofoni / protestanti europei è quello meglio rappresentato nelle risposte del modello.
Rischi reali nel “risparmio” su mercati non prioritari
A partire da queste evidenze, le tue preoccupazioni sono più che legittime. Ecco perché affermazioni come “usiamo AI per moderazione / analisi nei mercati non prioritari per tagliare i costi” portano con sé rischi strutturali:
Perdita di insights locali
Quando un modello mostra valori culturali falsati rispetto al contesto locale, le analisi basate su testi o opinioni potrebbe ignorare o travisare aspetti che per la comunità locale sono centrali. Decisioni basate su dati “medi globali” tenderanno a favorire narrative globali o occidentali, marginalizzando quelle locali.
Flattening culturale
Se molti operatori (aziende, istituzioni, governi) affidano la comprensione culturale all’output generico di LLM con bias WEIRD, il risultato sarà una standardizzazione dei contenuti interpretativi. Le culture meno rappresentate perderanno voce o saranno assimilate sotto semplificazioni, stereotipi o generalizzazioni.
Bias nei prodotti, servizi, policy
Quale moderazione si applica nei social media locali? Quale tipo di contenuto è considerato offensivo, normale, opportuno? Un modello che non riflette i valori locali potrebbe censurare o promuovere contenuti erroneamente, causare danni reputazionali, o addirittura questioni legali / normative.
Erosione della fiducia
Se gli utenti percepiscono che l’AI “non capisce” (culturalmente) il proprio contesto, la fiducia diminuisce. Questo può impedire l’adozione o portarli a usare soluzioni locali più artisan o a diffidenza verso applicazioni ritenute “imposte”.
Alcune ricerche mostrano che:
CulturalBench (2024) produce quesiti coprendo 45 regioni globali, in 17 temi, per testare la conoscenza culturale degli LLMs. Risulta che anche i modelli all’avanguardia (es. GPT-4o) hanno performance significativamente inferiori rispetto agli umani in regioni come Sud America e Medio Oriente. (arXiv)
Un’altra linea è lo “culture prompting”: chiedere al modello di allinearsi esplicitamente a valori culturali di un paese. In Cultural Bias & Alignment in LLMs, si scopre che per il 71-81% dei paesi testati questa tecnica riduce la distanza culturale nei valori misurati. (PubMed)
La situazione è complessa, non è solo bianco o nero. Alcune sfumature:
La distanza culturale non è sempre un’unica variabile misurabile con precisione. Dipende dal dominio: per valori astratti le survey funzionano, ma per norme sociali concrete, espressioni linguistiche particolari, sensibilità locali (religione, genere, arte) le misure possono fallire o essere troppo generiche.
Limbaggio, traduzione, sensibilità semantica: un modello può “capire” male perché la lingua usata nel training non include certe espressioni idiomatiche o concetti culturali specifici; o perché le risorse linguistiche per quella cultura sono scarse. Questo non è solo “bias” di valore ma di dati.
Modelli più recenti migliorano: GPT-4, versioni turbo, modelli con addestramento multilingue / dati culturali specifici tendono a ridimensionare, anche se non eliminare, il bias. Ma migliorare richiede sforzo, dati, progettazione, risorse.
Cosa fare per evitare che il mondo diventi “più piccolo”
Dal ns punto di vista di un CTO / CEO che vuole operare con rigore internazionale, queste sono alcune strategie per mitigare i rischi:
Incorporare nei modelli dati e valutazioni culturali locali nel training o nella supervisione. Non solo dati testuali, ma anche survey, questionari, focus group locali.
Usare cultural prompting o contextual prompting: chiedere esplicitamente al modello di rispondere come se fosse un appartenente di quella cultura, di tenere conto di norme locali, sensibilità etc.
Progettare audit culturali periodici: test con benchmark culturali (CulturalBench, IVS, WVS) per valutare quanto il modello sia in linea con valori locali.
Non delegare la moderazione/reportistica a modelli generici senza supervisione umana locale. Personale locale esperto e revisioni qualitative restano essenziali.
Localizzazione profonda: adattare non solo linguaggio ma usi culturali, tabù, norme, stili comunicativi.
Coinvolgere comunità locali nella progettazione: advisory board culturali, partnership con Università o istituzioni locali.
Il bias culturale nei modelli non è solo un problema da evitare, è anche un’opportunità competitiva per chi lo affronta bene. Aziende che investono su AI che capisce culture diverse in modo accurato possono:
entrare nei mercati internazionali con un vantaggio reale: prodotti che “parlano la lingua” non solo letteralmente ma culturalmente;
guadagnarsi fiducia degli utenti (e delle autorità) grazie a sensibilità locali;
costruire moderazione più equa e regolamentazione meno conflittuale.
Inoltre le ricerche emergenti (CultureLLM, CulturalBench, CulturePark) stanno cercando di modellare metodi per “addestrare modelli culturali specifici” o benchmark globali che valutino i modelli in contesti molto variegati.
Ignorare il grafico di Which Humans? non è un lusso che imprese con visione internazionale possono permettersi. Il mondo è davvero più grande e più complesso di quanto molti progetti AI prefigurino. Usare AI “cheap” per mercati considerati “non prioritari” può sembrare smart, ma è una scorciatoia che rischia di costare caro: in termini di qualità, reputazione, impatti sociali, e, ironicamente, in termini economici.