Nel panorama delle contrattazioni epocali tra hyperscaler e startup AI, la dichiarazione di Clay Magouyrk CEO Oracle (intervista CNBC) «ovviamente OpenAI può pagare 60 miliardi all’anno» per l’infrastruttura cloud suona come un manifesto: non è vanteria, è una scommessa militare sul futuro della tecnologia. ai
Magouyrk e Mike Sicilia, i due neo-co-CEO di Oracle, si sono presentati per incontrare il giornalista, un giorno prima dell’evento ufficiale sul palco del “AI World” di Las Vegas per ridisegnare non solo la strategia della società, ma le leggi implicite della scala economica nell’era dell’intelligenza artificiale. Il passaggio da “Cloud World” a “AI World” non è un escamotage da marketing: è un segnale che Oracle intende essere non più semplice fornitore di compute, ma architrave di un ecosistema AI integrato.
Questa dichiarazione sui 60 miliardi non è isolata, ma contestualizzata nel contratto quinquennale da oltre 300 miliardi con OpenAI accordo che vanta già oggi valenza strategica planetaria e che sottende previsioni che pochi oserebbero pensare credibili fino a pochi mesi fa.
Ma cosa significa davvero dire che OpenAI può sostenere una spesa di 60 miliardi all’anno? È una provocazione, una fiducia calcolata o un’espressione di iperbole strategica? E quali sono le implicazioni per Oracle, per OpenAI e per l’intero ecosistema tecnologico?
Prima verità: la dimensione dell’AI non è lineare. Chi pensa che il modello di business si limiterà ad “unità vendute × prezzo unitario” viene sorpassato. Magouyrk lo ripete: le applicazioni Oracle non hanno “addon AI” da vendere, l’AI è il substrato stesso del prodotto. L’infrastruttura, il database, le applicazioni settoriali: tutto incorporato. Il cliente non compra “un extra”, compra un sistema che “funziona già con AI”. Questo implica un salto di scala: la metrica non è il margine su un motore, ma la coesione tra infrastruttura e applicativo, e la capacità di vendere ecosistemi, non pezzi.
Seconda verità: se OpenAI non è oggi profittevole, non è detto che non potrà sostenere spese immense. È già in perdita netta (nel 2024 il rosso è stato di 5 miliardi) e continua a bruciare cassa, ma ha visione, domanda oggetto di hype e investitori disposti a sopportare dissesti temporanei in cambio di leadership futura. Se la crescita utente è esplosiva (Magouyrk cita “quasi un miliardo di utenti settimanali”), e se le aziende vorranno internalizzare l’AI come motore operativo, il sistema può spingere ricavi in area centinaia di miliardi. In quel mondo, spendere 60 miliardi all’anno per infrastruttura diventa “costo di base”, non eccezione.
Terza verità: il rischio di una bolla tecnologica. Se tutti cominciano a credere che “un giorno” le spese astronomiche siano sostenibili, si costruiscono edifici tecnologici sul vuoto. Reddit, come prevedibile, ha già iniziato a dire “l’AI bubble is worse than the dot-com bubble”. E non è una battuta: le valutazioni e gli accordi “pre-impegno” che stanno fioccando impongono di guardare con sospetto a chi cita numeri da bilancio statale per un’azienda privata.
Oracle però non è uno spettatore. I co-CEO (di recente nominati con l’uscita di scena di Safra Catz) hanno delineato una strategia in cui Oracle è al centro del valore, non un tassello periferico. Si punta ad avere più modelli AI operanti sull’infrastruttura Oracle che su qualunque altra offerta cloud concorrente. Su questo fronte, anche se OpenAI dovesse fallire, Oracle reclama che l’infrastruttura “AI di massa” rimarrebbe valida per altri clienti (banche, sanità, utilities, applicazioni verticali).
Per dirla chiaramente un conto finanziario va allineato con un paradigma tecnico. Per sostenere infrastrutture in espansione e data center su scala, hai bisogno di capitali, prestiti, partnership strategiche, joint venture, accordi con operatori energetici tutte cose che Oracle afferma di avere ben chiare nel disegno. Se i margini su singole installazioni possono essere comprimibili, il margine “blended” sull’intero ecosistema, dicono i dirigenti, potrà crescere con la scala.
Il confine più sottile: alimentazione elettrica, rete, supply chain. L’AI consuma energia. 10 gigawatt diventano una dimensione quasi nazionale, non aziendale. Magouyrk e Sicilia affermano che Oracle è già operatore nel settore energetico e che le relazioni con utility e infrastrutture sono parte del piano. Non se “avremo abbastanza energia”, ma se saremo abbastanza rapidi da costruirla prima che il mercato ci sorpassi.
Apoteosi o follia? Difficile dirlo con certezza. Quello che è certo è che, in questo momento, chi piazza numeri stratosferici con arroganza (o con fiducia) definisce i parametri del dibattito. Se OpenAI non potrà pagare 60 miliardi, si potrà dire che Magouyrk ha sparato troppo alto. Se invece potrà, allora stiamo osservando l’emergere di una nuova costante tecnologica: nei prossimi anni, il valore di “chi elabora l’AI” potrebbe superare il valore di “chi crea l’AI”.