La recente ondata di notizie su Palantir Technologies mette a nudo una dinamica che, per chi osserva da vicino la commistione tra tecnologia, difesa e potere politico, è insieme prevedibile e inquietante. Da una parte l’azienda conquista un ruolo strategico nel rafforzamento militare degli Stati Uniti, dall’altra finisce accusata da esponenti dem di avere legami “impropri” con l’amministrazione Donald Trump. La combinazione: software per costruire più sottomarini e sospetti su una master‑database che monitorerebbe i cittadini americani.

Negli ultimi giorni la marina militare statunitense ha annunciato che, grazie a un nuovo accordo con Palantir, userà la piattaforma software per accelerare la costruzione di sottomarini nucleari e navi da guerra. Il progetto, denominato ShipOS, prevede di applicare gli strumenti di analisi dati e intelligenza artificiale di Palantir per identificare colli di bottiglia nella catena di fornitura, migliorare la visibilità operativa e (nella migliore delle ipotesi) ridurre tempi e costi. Questo aspetto rafforza la posizione di Palantir come fornitore chiave per programmi sensibili di difesa.

Contemporaneamente un gruppo di senatori e deputati democratici ha sollevato serie perplessità su quello che definiscono un possibile abuso di potere e una “porta girevole” tra il governo Trump e aziende vicine all’establishment tecnologico‑militare. Secondo questi parlamentari, Palantir (assieme ad altri) potrebbe beneficiare di legami impropri con l’amministrazione in carica per ottenere contratti pubblici.

Le accuse non si limitano a conflitti d’interesse: riguardano il potenziale uso dei sistemi di Palantir per costruire una sorta di “mega‑database” che aggrega informazioni sensibili su cittadini americani da dati fiscali a informazioni gestite da diverse agenzie federali suscitando timori riguardo privacy, diritti civili e trasparenza.

Non stupisce che ex‑dipendenti di Palantir si siano pubblicamente dissociati da questi sviluppi. Tredici di loro hanno firmato una lettera in cui denunciano la rottura dei principi iniziali del progetto: la consapevolezza dell’impatto etico della tecnologia, la protezione dei diritti civili e delle libertà individuali.

Chi legge questo scenario con occhio critico (come piace fare a chi, come me, ragiona su tecnologia e potere) coglie immediatamente la contraddizione. Da un lato la narrativa ufficiale — Palantir fornisce “capacità analitica indispensabile” in contesti complessi come la difesa; dall’altro il timore reale che quella stessa “capacità” possa diventare strumento di sorveglianza diffusa, potenzialmente abusabile.

Curiosità: non si tratta di un salto nel vuoto per Palantir. L’azienda è sempre stata radicata in ambito governativo e militare. Nata con l’obiettivo di offrire software di analisi per intelligence e difesa, si è via via espansa. Ma la dimensione e la scala attuali — combinata con una leadership politica favorevole all’amministrazione Trump — rendono l’operazione qualcosa di molto diverso rispetto ai contratti di nicchia di una volta.

Il risultato è un bivio: da una parte un salto strategico che potrebbe cambiare la produzione industriale e militare degli Stati Uniti. Dall’altra un potenziale precedente per l’uso delle infrastrutture dati come leva politica o di controllo, con implicazioni che superano di gran lunga il business di Palantir.