Il Fantastic non aveva nulla di spettacolare l’altra mattina a Sète. Un gigante di metallo di 180 metri, abituato a solcare la rotta tra Francia, Italia e Maghreb con la regolarità di un pendolo. Vent’anni di traversate, migliaia di passeggeri, una routine rassicurante fatta di orari, cabine e motori. Eppure, per quattro giorni, quel traghetto è diventato qualcosa di diverso: un oggetto sospeso in una zona grigia dove il mare incontra il codice, e la geopolitica si nasconde dietro una porta USB.
L’inchiesta, rivelata da Le Monde, prende forma lontano dal ponte di comando. Parte da un’informazione trasmessa dall’intelligence italiana alla Direzione generale della sicurezza interna francese (DGSI). Un dettaglio apparentemente minimo: due uomini a bordo, un dispositivo tecnologico non identificato, e una finestra temporale pericolosamente ravvicinata all’attracco in Francia. In un’epoca in cui le infrastrutture critiche sono sistemi informatici prima ancora che strutture fisiche, è abbastanza per far scattare l’allarme.
Il 14 dicembre, mentre il Fantastic rientra dall’Algeria e si ormeggia a Sète, la DGSI sale a bordo. Non c’è scena, non c’è rumore. Due uomini vengono prelevati. Uno è un giovane lettone, poco più che ventenne, da poco imbarcato come marinaio in formazione su una nave della compagnia italiana GNV. L’altro è un dipendente bulgaro del traghetto. È un’operazione rapida, chirurgica, tipica di un’Europa che ha imparato a muoversi in silenzio quando la minaccia non indossa uniformi.
Il cuore dell’indagine non è un’arma convenzionale, ma un oggetto piccolo, anonimo: un dispositivo elettronico sofisticato, simile a una chiave USB o a un disco esterno. Secondo gli investigatori, quello strumento avrebbe permesso di compromettere il sistema informatico del ferry installando un RAT, un Remote Access Tool. In termini semplici: un accesso remoto persistente, invisibile, capace di trasformare una nave passeggeri in un’entità manovrabile a distanza.
Non è un dettaglio tecnico. È un punto di rottura. Un ferry moderno non è solo acciaio e carburante: è software di navigazione, sistemi di controllo, reti interne. Prenderne il comando significa riscrivere la relazione tra uomo e macchina, tra capitano e algoritmo. Ed è qui che la storia smette di essere cronaca marittima e diventa materia da intelligence e, sempre più, da intelligenza artificiale applicata ai sistemi complessi.
Il giovane lettone viene trasferito a Parigi e messo sotto custodia per reati che, già nella loro formulazione giuridica, raccontano un nuovo tipo di conflitto: attacco a sistemi di trattamento automatizzato di dati in banda organizzata, associazione a delinquere, detenzione di strumenti di hacking con finalità legate agli interessi di una potenza straniera. L’altro uomo viene rilasciato, mentre il Fantastic resta sotto sequestro.
Intanto, sul molo, 650 passeggeri attendono senza sapere. La nave non parte. Le spiegazioni non arrivano. Famiglie dirette in Algeria per motivi personali restano bloccate, ignare di essere finite sullo sfondo di un’operazione di sicurezza nazionale. È uno degli elementi più tipici delle storie di spionaggio: la vita ordinaria che continua a scorrere accanto a una trama invisibile.
Le perquisizioni non si fermano in Francia. In Lettonia, con il supporto di Eurojust, scattano operazioni parallele. L’indagine è ormai europea, come europee sono le vulnerabilità che mette in luce. Il dispositivo sequestrato viene inviato in laboratorio. Gli analisti cercano di capire non solo cosa facesse, ma per chi fosse stato progettato. La tecnologia, come spesso accade, non parla. Bisogna interrogarla.
L’ipotesi che aleggia, senza mai essere formalmente dichiarata, è quella di un’operazione indiretta, condotta tramite intermediari dell’Europa orientale, secondo schemi già noti ai servizi occidentali. Non è necessario dimostrare un legame diretto: basta osservare il metodo. Reclutamento opaco, strumenti sofisticati, obiettivi civili ad alto impatto simbolico. Prendere il controllo di una nave in acque francesi sarebbe stato un salto di qualità inquietante.
Quando, dopo giorni, il Fantastic riceve il permesso di ripartire, non c’è alcuna celebrazione. La nave lascia il porto “liberata”, dicono le autorità, da ogni presa di controllo fantasma. Ma il fantasma vero resta: l’idea che una linea di codice, forse scritta lontano dal Mediterraneo, abbia quasi trasformato un mezzo di trasporto in un vettore di destabilizzazione.
Questa non è solo una storia di spionaggio, come avrebbe potuto raccontarla John le Carré, fatta di identità ambigue e silenzi pesanti. È una storia sul presente: su come l’intelligenza artificiale, la cybersecurity e i sistemi automatizzati abbiano spostato il campo di battaglia. Non più solo ambasciate e confini, ma reti, firmware e accessi remoti.
Il mare, come sempre, non ha memoria. I sistemi informatici sì. E qualcuno, da qualche parte, ha provato a usarli.