Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Autore: Dina Pagina 2 di 40

Direttore senior IT noto per migliorare le prestazioni, contrastare sfide complesse e guidare il successo e la crescita aziendale attraverso leadership tecnologica, implementazione digitale, soluzioni innovative ed eccellenza operativa.

Apprezzo le citazioni, ma il narcisismo dilaga proprio quando ci si nasconde dietro frasi altrui. Preferisco lasciare che siano le idee a parlare, non il mio nome.

Con oltre 20 anni di esperienza nella Ricerca & Sviluppo e nella gestione di progetti di crescita, vanto una solida storia di successo nella progettazione ed esecuzione di strategie di trasformazione basate su dati e piani di cambiamento culturale.

Amazon e la sua corsa ai chip AI: una mossa strategica per sfidare Nvidia

Nel panorama tecnologico odierno, dominato da Nvidia con la sua piattaforma CUDA, Amazon ha deciso di lanciare la sua sfida nel mercato dei chip per l’intelligenza artificiale (AI). Con l’introduzione dei chip personalizzati come Trainium e Inferentia, sviluppati dalla sua controllata Annapurna Labs, Amazon mira a ridurre la dipendenza da fornitori esterni e a offrire soluzioni più economiche e ottimizzate per i carichi di lavoro AI.

Microsoft e OpenAI, la storia d’amore sull’orlo del divorzio

È ironico che un colosso tecnologico come Microsoft, che ha costruito il suo impero sull’arte del compromesso e sulle partnership strategiche, possa ora trovarsi a un bivio che sembra stridere con la sua natura pragmatica. La notizia, riportata dal Financial Times, parla di tensioni crescenti tra Microsoft e OpenAI, il creatore di ChatGPT, con un possibile allontanamento in vista mentre OpenAI si prepara a trasformarsi in un’entità profittevole. Un matrimonio tecnologico a rischio divorzio, e per un motivo che non sorprende: i soldi.

Un Papa americano, l’intelligenza artificiale e il ritorno dell’etica industriale

L’applauso dei cardinali, stavolta, non era di rito. Quando il nuovo pontefice americano, Leone XIV, ha parlato di intelligenza artificiale come sfida morale del secolo, più di un porporato ha capito che qualcosa era cambiato. Non solo il nome, evocazione della “Rerum Novarum” e del Leone XIII che sfidò i baroni della seconda rivoluzione industriale. Ma l’intenzione, dichiarata e inequivocabile: porre la Chiesa cattolica come soggetto attivo e regolatore nel caos algoritmico del capitalismo digitale.

È una rivoluzione silenziosa che ha già fatto rumore in America e ne ha parlato in un articolo il WSJ. C’è una distorsione che si insinua sottile, ma potente, nell’interpretazione del pontificato americano di Leone XIV, soprattutto da parte della stampa e dell’analisi USA: la tentazione di leggere ogni parola del nuovo papa come un atto politico in senso stretto, inquadrato nei binari familiari del potere, del lobbying, delle influenze industriali.

L’umore instabile di Trump e la polveriera mediorientale: pace cercasi, ma le bombe parlano prima _ UPDATED

Non si tratta più di “se”, ma di “quanto” manca al prossimo scoppio. Il Medio Oriente è, di nuovo, sull’orlo del baratro. Ma stavolta lo scenario è più cupo, più globale, più carico di follia nucleare e presidenze imprevedibili. Sei giorni di guerra aperta tra Iran e Israele, e l’ex presidente Trump, l’uomo delle frasi a effetto e degli impulsi compulsivi, ha appena chiesto una “resa incondizionata” all’Ayatollah Khamenei. Con tanto di minaccia online: “Sappiamo dove sei, ma non ti uccideremo. Per ora.”

Pausa drammatica. Che fine ha fatto la diplomazia?

Come replicare le analisi di McKinsey gratis (usando solo 3 mega prompt)

Ecco, testuali, i 3 mega-prompt esatti che utilizzo per replicare gratuitamente insight in stile McKinsey. Gratis, nel senso più spietato del termine.

Prima, però, capiamo cosa fanno realmente i consulenti McKinsey. Spoiler: PowerPoint. Ma andiamo con ordine.

Questi sono i compiti classici:

  1. Analizzano i trend di settore e le dinamiche competitive
  2. Confrontano aziende e prodotti (benchmark)
  3. Individuano rischi strategici e opportunità
  4. Impacchettano tutto in slide eleganti, le fanno passare per oro e ti presentano la fattura da sei cifre

E ora, la parte gustosa:

Oggi l’AI può fare il 90% di questo lavoro, in tempo reale, senza cravatta e senza espresso lungo.

Ti faccio vedere come.

Uso questi 3 mega prompt per tre scopi diversi. Non servono incantesimi, solo testo ben calibrato.

Quando l’AI risponde meglio del tuo help desk: il caso Voyxa

C’è un momento preciso in cui ogni CTO, ogni responsabile IT o customer service manager, si ritrova a fissare il centralino come se fosse un nemico. Il telefono squilla. Nessuno risponde. Oppure risponde qualcuno, ma è il solito inferno ciclico di FAQ trite, smarrimenti di ticket, e frustrazione sia interna che esterna.

Ed è lì che capisci che non serve un’altra dashboard. Non ti serve un altro IVR anni Novanta con accento texano che recita “Premi uno per parlare con un operatore”.

OpenAI contro Microsoft: la guerra fredda dell’intelligenza artificiale

“Non ci sono amici permanenti, né nemici permanenti, solo interessi permanenti.” Henry Kissinger, seppur in tutt’altro contesto, avrebbe colto perfettamente il sapore metallico che aleggia nei corridoi di OpenAI e Microsoft. La loro partnership, celebrata come la più rivoluzionaria alleanza del XXI secolo in campo tecnologico, sta sfaldandosi sotto il peso delle ambizioni divergenti (WSJ). E mentre Satya Nadella e Sam Altman rilasciano dichiarazioni congiunte che odorano di cerotto diplomatico, dietro le quinte si prepara uno scontro nucleare — metaforico, ma potenzialmente letale.

Il grande occhio che non dorme mai: il lato oscuro della robotica urbana

Le città della Bay Area e del Paese si sono organizzate per 
le proteste “No Kings”, in concomitanza con 
la parata militare del presidente Donald Trump a Washington, DC. 

C’è una scena perfetta, degna di un film distopico, che si sta consumando per le strade di San Francisco: cittadini, spesso giovani e arrabbiati, si scagliano contro innocui taxi bianchi senza conducente, Waymo, come se fossero emissari di un potere alieno. E in un certo senso lo sono. Perché questi veicoli non sono solo mezzi di trasporto autonomi, sono strumenti mobili di sorveglianza capitalista, silenziosi, efficienti, e soprattutto legali.

Nella loro architettura, ci sono occhi ovunque. LIDAR, videocamere a 360 gradi, sensori ambientali. Registrano tutto, sempre. Ma il punto non è più la sicurezza. Il punto è il potere.

L’europa ha scoperto l’intelligenza sovrana. peccato che sia made in USA

A prima vista, la scena ha il sapore grottesco di una diplomazia tecnologica postmoderna: Jensen Huang, CEO di Nvidia, col suo solito outfit da guru tech in pelle nera, atterra nei palazzi severi di Bruxelles per spiegare ai burocrati europei che sovereign AI non è un’utopia continentale, ma una strategia industriale concreta. Una strategia, però, che per ora si compra… da lui.

Google taglia i ponti con Scale AI, dopo il flirt con Meta: quando l’intelligenza artificiale diventa geopolitica

Che cos’è più rischioso per un gigante tecnologico: una fuga di dati o una fuga di cervelli? Google sembra aver risposto scegliendo la seconda opzione. La decisione, riportata da Reuters, di interrompere (quasi) tutti i rapporti con Scale AI non è solo una questione commerciale. È un atto di autodifesa strategica, una mossa muscolare in un mercato dell’intelligenza artificiale sempre più contaminato da interessi incrociati, partecipazioni incestuose e “amicizie” da manuale di guerra fredda.

Trump lancia la più grande deportazione di massa della storia americana, e questa volta fa sul serio

A Washington il sole sorge rosso sangue quando Trump si sveglia con il dito già sospeso sopra il pulsante pubblica di Truth Social. Le lettere sono maiuscole, l’intonazione è apocalittica, e l’obiettivo, ancora una volta, sono le “città infestate” da immigrati illegali: Los Angeles, Chicago, New York. Tutte roccaforti democratiche. Tutte perfette per alimentare il feticcio del nemico interno.

Il presidente in cerca di rielezione ha rispolverato il suo vecchio cavallo di battaglia: l’invasione. Ma stavolta il cavallo ha blindati al posto degli zoccoli, 4.000 uomini della Guardia Nazionale e 700 Marines schierati direttamente in California, come se si trattasse di Falluja e non di una città americana con un sindaco democraticamente eletto.

Il peluche che batte l’intelligenza artificiale: come Labubu ha sconfitto i chatbot a colpi di ghigno

Mentre Sam Altman predica l’arrivo di AI capaci di “cognizione sbalorditiva”, i mercati finanziari, quelli veri, si inginocchiano non davanti a un algoritmo quantistico, ma a un pupazzo con la faccia da Joker mal riuscito: Labubu. Il produttore cinese Pop Mart è schizzato in Borsa con un +595% che nemmeno le migliori startup AI sognano di vedere. Nell’epoca in cui i bit dovrebbero governare i cuori e i portafogli, a dominare la scena è un feticcio di vinile e peluria, con gli occhi spiritati e il sorriso da psicopatico kawaii.

L’intelligenza artificiale capisce solo quello che non capisce: perché i filosofi contano più degli ingegneri

Great Engineers, Terrible Philosophers

A conversation on the rapid evolution of AI technology, the nature of intelligence, and the importance of the European project

Luciano FloridiGiannis PerperidisAlexandros Schismenos

In un mondo dove i CEO delle big tech annunciano trionfalmente che l’AI potrà presto eseguire “compiti cognitivi davvero sbalorditivi”, ci troviamo a guardare negli occhi un paradosso epistemologico: macchine che sembrano capire, ma non capiscono nulla. Siamo diventati spettatori di un grande spettacolo illusionistico. Gli ingegneri sono bravissimi con i circuiti, ma appena aprono bocca sulla coscienza umana si trasformano in apprendisti stregoni.

La falsa promessa del messia digitale: l’intelligenza artificiale è solo un’abile truffa di marketing?

Nel teatro sempre più affollato dell’intelligenza artificiale, le luci sono puntate sui profeti di una nuova era. Dario Amodei, Demis Hassabis, Sam Altman: non sono scienziati, sono evangelisti in giacca sartoriale, determinati a convincerci che il nostro futuro dipende da un algoritmo che non sa distinguere un paradosso logico da una battuta di spirito. E se vi sembra un’esagerazione, provate a leggere l’ultima fatica di Apple Research, che smonta con precisione chirurgica le velleità dei nuovi oracoli digitali.

C’è qualcosa di quasi comico, se non fosse tragico, nell’osservare Sam Altman dichiarare con la gravità di un presidente in tempo di guerra che siamo “vicini a costruire una superintelligenza digitale”. Il tono è messianico, la promessa epocale: un’IA più intelligente di noi, che spazzerà via intere classi di lavori, e ci costringerà a riscrivere il “contratto sociale”. Forse con una postilla scritta da GPT-5. Ma, nel frattempo, queste AI soffrono ancora di crisi di identità quando affrontano una semplice equazione con due incognite.

Iran sta per fare la bomba? il paradosso nucleare innescato da Israele

Non è l’uranio arricchito a costruire una bomba. È la paura. La paura che il nemico, messo all’angolo, abbandoni ogni freno ideologico e giochi la sua ultima carta: la dissuasione atomica. Israele lo sa, ma ha scelto comunque di alzare la posta. Con chirurgica brutalità ha colpito il cuore pulsante del programma nucleare iraniano, assassinando scienziati, bombardando impianti e facendo saltare in aria non solo edifici, ma equilibri strategici.

L’Iran si ritrova oggi in un vicolo cieco. E come ogni bestia ferita, potrebbe scegliere di fare ciò che ha sempre negato pubblicamente: costruire l’arma che non osa nominare. Perché tra Teheran e la bomba, ormai, non ci sono più barriere tecnologiche. Solo un velo sottile di reticenza politica, l’ultima linea di difesa prima del punto di non ritorno.

NAM 2025 Stefano Epifani: Etica dell’intelligenza artificiale, ovvero il nuovo volto della propaganda tecnologica

E’ stato un piacere e un onore ascoltare Stefano Epifani. President DIGITAL TRANSFORMATION INSTITUTE al Nam 2025. Un lampo, un tuono ha squarciato l’apertura del convegno organizzato da NAMEX al Gasometro.

Quando qualcuno oggi parla di “etica dell’intelligenza artificiale”, raramente si riferisce all’etica. È più facile che stia facendo marketing, PR o damage control. Perché l’etica quella vera, non quella da policy framework aziendale è una cosa sporca, scomoda, lenta e spesso irricevibile nei board meeting. L’etica, per sua natura, spacca i consensi, apre i conflitti e sabota la narrativa del progresso inarrestabile. È ciò che rende una decisione tecnologica politica, cioè carica di valori, visioni del mondo e rapporti di forza. Ed è proprio questo che molti oggi preferirebbero ignorare.

Quando un cervello da miliardi cade su una scacchiera da otto bit

Una scacchiera grigia, pochi pixel maldestri. Un processore da 1.19 MHz, Atari 2600, anno 1977. E poi c’è ChatGPT, monumento del machine learning, con miliardi di parametri, ore di training, infrastruttura da superpotenza. Risultato? Umiliazione. Confusione tra pezzi. Errori da principiante. Scacco matto dall’intelligenza di un tostapane glorificato.

Non è ironia cosmica. È una lezione spietata sul perché l’intelligenza artificiale non è onnisciente, e sul fatto che il contesto – come sempre – conta più dell’intelligenza in sé.

Le IPO tech suonano di nuovo forti: ecco perché la FOMO ha superato la razionalità

Sentito quel pop? No, non è lo champagne di qualche startup unicorn appena quotata. È il suono della nuova bolla, ma stavolta nessuno vuole chiamarla così. Perché quando Chime—una fintech che somiglia a una banca ma preferisce non esserlo—esordisce al Nasdaq con un +37% rispetto al prezzo IPO, chi osa fare il guastafeste?

Quello che accade sotto gli occhi di Wall Street è il ritorno del grande spettacolo delle IPO tech, con una sceneggiatura vecchia quanto i dot-com: hype, rally iniziale, FOMO contagiosa e occhi a dollaro nei pitch deck. Gli investitori istituzionali (quelli veri, con i polsini inamidati) e i retail più speculativi (quelli di Reddit) si stanno dando il cinque virtuale, ringraziando i banker di Morgan Stanley come se fossero DJ in un festival di capitali.

NAM 2025 Stefano Quintarelli: Quando la ricchezza evapora: come l’economia immateriale ci sta dissanguando senza che ce ne accorgiamo

A Roma, tra la placida eleganza barocca di palazzi e la tensione strisciante del futuro digitale, il keynote di Stefano Quintarelli al Namex 2025 ha fatto più rumore di quanto ci si aspettasse. Sotto la superficie rassicurante della retorica mainstream sul digitale come panacea universale, Quintarelli ha smontato pezzo dopo pezzo la narrazione dominante. E ciò che ne emerge è un paradosso: stiamo guadagnando valore, ma ne beneficiamo sempre meno. In fondo, è la stessa logica con cui si può morire di sete su una zattera in mezzo all’oceano.

Partiamo dai numeri, quelli veri. Quintarelli, con l’ostinazione di un filosofo prestato all’ingegneria e il rigore di un contabile, ha citato dati ufficiali del Bureau of Economic Analysis statunitense: se si includono i servizi nel calcolo della bilancia commerciale, e si aggiusta il tutto per l’inflazione – magari usando il 2007, l’anno dell’iPhone, come spartiacque simbolico – il famigerato deficit commerciale USA smette di sembrare una voragine apocalittica. Anzi, è sorprendentemente stabile. Le esportazioni crescono, le importazioni pure. Ma non c’è alcun abisso in allargamento. E allora perché tutti urlano alla fine del mondo?

Oracle Fiscal 2025 Fourth Quarter and Fiscal Full Year Financial Results

Oracle scommette tutto sulla nuvola e prende a calci la vecchia guardia

Il vecchio dinosauro di Redwood Shores ha finalmente tirato fuori i denti. Dopo anni passati a inseguire i giganti del cloud come un avvocato stanco che rincorre le big tech in tribunale, Oracle sembra aver trovato il suo punto di pressione: l’IA. E i numeri, almeno per ora, sembrano dare ragione a Safra Catz, che con un candore quasi spietato ha sparato: “Le nostre percentuali di crescita saranno drammaticamente più alte.”

Tradotto dal cattivo gergo delle earnings call: Oracle prevede una crescita del 70% nel business cloud nell’anno fiscale in corso. Una cifra che fa sobbalzare anche gli algoritmi delle sale trading, visto che il titolo è salito di oltre il 6% nel dopoborsa. Chiariamolo subito: non è solo storytelling da CFO con l’occhio lucido e il power suit impeccabile. Dietro c’è una scommessa brutale da $25 miliardi di capex, spinti soprattutto da acquisti di GPU Nvidia e altri arnesi indispensabili per servire il grande banchetto dell’intelligenza artificiale generativa.

Quando l’intelligenza artificiale prende fuoco: cronache da una rivolta post-luddista a Los Angeles

Nelle strade di Los Angeles, dove la città ribolle sotto la superficie patinata da cartolina, 750.000 dollari di veicoli autonomi Waymo sono andati in fumo, letteralmente. Un incidente isolato? Una follia vandalica da parte di qualche sbandato con un accendino e troppo tempo libero? Forse. Ma più probabilmente è un sintomo. Un segnale. Uno di quei momenti che, se hai l’occhio giusto, ti fanno drizzare le antenne e ti obbligano a mettere in pausa l’entusiasmo da Silicon Valley.

OpenAI stringe la mano a Google mentre prende le distanze da Microsoft: una liaison da miliardi nel cloud dell’intelligenza artificiale

Una stretta di mano tra rivali, una manovra laterale ad alta tensione geopolitica dell’AI, una sorta di Guerra Fredda tra chip e datacenter che improvvisamente si fa tiepida. OpenAI, l’astro nascente alimentato da Microsoft, ora pesca nel giardino dell’arcinemico: Alphabet. Sì, proprio Google. E non per due briciole di potenza computazionale, ma per espandere la sua infrastruttura AI con la forza di fuoco della nuvola di Mountain View. Il tutto nel momento in cui ChatGPT – definito “il rischio più concreto per il dominio di Google nella search da vent’anni a questa parte” – continua a mangiarsi fette di attenzione, di mercato e, va detto, anche di narrativa pubblica.

Oracle sogna l’ipercloud mentre Stargate resta un miraggio da 500 miliardi

Il palcoscenico era pronto, i riflettori accesi, e poi… niente. Stargate, la presunta alleanza epocale tra Oracle, SoftBank e OpenAI per dar vita a un’infrastruttura da 500 miliardi di dollari destinata all’intelligenza artificiale, è ancora una chimera. Safra Catz, CEO di Oracle, lo ha dichiarato con candore durante l’ultima call sugli utili: “non è ancora stata costituita”.

Gazometro ribolle: NAM 2025 e NAMEX riscrivono la mappa digitale italiana

Al Gazometro, ex impianto industriale rigenerato nel quartiere Ostiense — non certo tra i marmi del Campidoglio — il 11 giugno 2025 si è celebrato il Namex Annual Meeting, meglio noto come NAM 2025: un’accensione di infrastrutture silenziose e cifrate, una celebrazione pragmatica della rete sotto la cupola storica di Roma

Ogni tanto, persino nel futuro si inciampa. Mentre tutti si affannano a raccontare la prossima grande innovazione, il prossimo pivot, la roadmap a 18 mesi (che nessuno rispetterà), c’è qualcuno che accende un piccolo riflettore storto su ciò che è stato. Non per nostalgia, ma per legittimità. Perché il presente non nasce mai da zero. E se non riconosci chi ha acceso la miccia, come Namex finisci per raccontare una favola storta l’ennesima.

Le cifre non mentono. Superati 1 terabit per secondo di traffico già a gennaio 2025, e picchi di 1,122 Tbps toccati durante una partita Atletico–Real Madrid trasmessa da Prime Video a marzo. Un balzo in avanti che racconta molto più di numeri: è l’autorevolezza infrastrutturale che si afferma, mentre il cuore silenzioso della rete scorre sotto Roma.

Moratoria o morfina? Il tentativo Trumpiano di sedare l’AI con una legge che congela il futuro

Se volevate un esempio plastico del connubio perverso tra lobby, politica miope e Big Tech in cerca di deregulation, eccolo servito su piatto d’argento: un emendamento, sepolto nella finanziaria proposta da Donald Trump — il suo “big, beautiful bill” — che di fatto congela per dieci anni qualsiasi regolazione statale sull’intelligenza artificiale. Una mossa che ha più il sapore di una sabotaggio preventivo che di una visione strategica. Ma forse è proprio questo il punto: la strategia è uccidere il dibattito sul nascere, mentre si finge di attendere un’ipotetica, mai vista regolamentazione federale.

L’emendamento non si limita a fermare la corsa alla regolazione locale — la sola che negli ultimi anni abbia prodotto qualcosa di concreto — ma revoca retroattivamente anche quelle poche norme già esistenti. Uno stop totale, indeterminato e regressivo, imposto nel momento esatto in cui il settore AI accelera verso un’adozione massiva e incontrollata.

Nam 2025 Namex Roma aggancia la rete globale: il nodo EXA nel data center di Aruba è la nuova spina dorsale del Mediterraneo

Roma non è più solo la capitale d’Italia, ma si candida ad essere il cuore pulsante della connettività digitale del Mediterraneo. Non è un’iperbole, è un cavo in fibra da 400 Gbps. Quando EXA Infrastructure ha annunciato, durante il NAM 2025 di Namex, il nuovo Point of Presence (PoP) all’interno del campus Aruba IT4, in molti hanno annuito distrattamente. Ma chi conosce davvero l’infrastruttura digitale ha capito: questo non è solo un aggiornamento tecnico. È una dichiarazione geopolitica travestita da specifica di rete.

L’era dell’ovvio straordinario: Altman, ChatGPT e l’inizio della singolarità morbida

C’è qualcosa di paradossale nella calma con cui Sam Altman annuncia che l’umanità ha appena varcato un “event horizon” verso la superintelligenza. Come se stesse commentando la temperatura del tè, il CEO di OpenAI ha scritto: “Siamo oltre il punto di non ritorno; il decollo è iniziato.” È il tipo di frase che dovrebbe causare panico, o almeno un improvviso bisogno di respirare profondamente. Invece, niente. La reazione globale? Un misto di entusiasmo, scetticismo e una scrollata di spalle tecnologicamente rassegnata.

Secondo Altman, ci stiamo avviando verso quella che chiama singolarità morbida, un passaggio dolce ma inesorabile verso l’intelligenza digitale superiore. Non la distopia di Skynet, non l’esplosione prometeica di una mente artificiale che ci ridicolizza; piuttosto, una transizione “gestibile”, graduale, quasi noiosamente prevedibile. Il problema è che, come ogni vera rivoluzione, anche questa si maschera da evoluzione lineare.

AI.gov o l’algoritmo dell’Impero: la Casa Bianca reinventa la burocrazia col GPT. Happy Uploading, America

Benvenuti nell’era in cui l’intelligenza artificiale sostituisce l’intelligenza istituzionale, e la democrazia si trasforma in un backend API-first. Non è un distopico racconto di Gibson né una bozza scartata di Black Mirror: è l’America del 2025, dove l’innovazione di governo si chiama AI.gov e parla fluentemente il linguaggio dei Large Language Models. La fonte? Il codice sorgente pubblicato su GitHub. E come sempre, il diavolo si nasconde nei commit.

L’amministrazione Trump, evidentemente non ancora sazia di plot twist tecnocratici, ha deciso di lanciare una piattaforma di intelligenza artificiale gestita dalla General Services Administration, guidata da Thomas Shedd, ex ingegnere Tesla e fedelissimo del culto eloniano. Un tecnico più affine al codice che alla Costituzione. Il sito AI.gov – attualmente mascherato da redirect alla Casa Bianca – è il punto focale di una nuova strategia: usare l’AI per “accelerare l’innovazione governativa”. La parola chiave, naturalmente, è “accelerare”, il verbo preferito da chi taglia, privatizza, automatizza.

Italia, startup e intelligenza artificiale

C’è un’Italia che parla di intelligenza artificiale come se fosse a cena con Elon Musk e c’è un’altra Italia che, più realisticamente, cerca ancora di capire come configurare il Wi-Fi aziendale. In mezzo ci sono loro: le startup AI italiane, una fauna affascinante quanto rara, spesso invocata nei panel dei convegni con tono salvifico, ma ignorata dai capitali che contano.

Secondo Anitec-Assinform, metà delle oltre 600 imprese digitali innovative italiane si fregia dell’etichetta “AI-enabled”. Ma definirle startup di intelligenza artificiale è come dire che chi ha una Tesla è un esperto di energie rinnovabili. L’uso della tecnologia, nella maggior parte dei casi, è decorativo, marginale, ornamentale. Non guida, non decide, non cambia il modello di business. È là per fare scena, come un’insegna a LED su un ristorante vuoto.

L’intelligenza artificiale nella PA italiana è un’illusione da procurement

In Italia anche l’intelligenza artificiale fa la fila, aspetta il suo turno, e spesso si ritrova in mano a funzionari che confondono una GPU con un acronimo del catasto. La recente indagine dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) suona come una radiografia dell’ennesima rivoluzione digitale annunciata, ma mai del tutto compresa. Titolo dell’operazione: “L’intelligenza Artificiale nella Pubblica Amministrazione”. Dietro la neutralità statistica dell’inchiesta, si cela una PA che tenta di aggrapparsi alla corrente dell’innovazione mentre arranca con zavorre fatte di burocrazia, consulenze esterne e KPI vaghi come le promesse elettorali.

Il censimento dei progetti IA ha coinvolto 108 organizzazioni pubbliche su 142 contattate, con 120 iniziative tracciate. Numeri apparentemente incoraggianti, che però si sgretolano sotto la lente di chi osserva il panorama non come un ottimista tecnologico, ma come un chirurgo delle inefficienze digitali. Solo 45 enti hanno davvero avviato progetti. Gli altri? Presumibilmente ancora impantanati nei comitati di valutazione, nei verbali, nelle richieste di pareri legali e nei flussi autorizzativi che scoraggerebbero persino una macchina a stati finiti.

Quando i robot diventano figli unici: il paradosso cinese dell’assistenza agli anziani

C’è qualcosa di profondamente poetico — e vagamente inquietante — nel fatto che la Cina, un paese plasmato per decenni dalla politica del figlio unico, si ritrovi ora a programmare androidi per accudire i propri anziani. Come se la Silicon Valley del Dragone stesse tentando di correggere, con servomeccanismi e intelligenze artificiali, le lacune biologiche di una demografia sempre più sbilanciata. Ma tranquilli: non è fantascienza. È politica industriale, e pure parecchio concreta.

Il nuovo programma pilota lanciato congiuntamente dal Ministero dell’Industria e dell’Informazione e dal Ministero degli Affari Civili cinese prevede l’inserimento massiccio di robot per l’assistenza agli anziani. Sì, avete letto bene: badanti a circuito integrato, caregiver con sensori Lidar, compagni di vita con algoritmo di riconoscimento emotivo. Non è un nuovo anime giapponese, è il piano strategico della seconda economia mondiale per sopravvivere a se stessa. E non è un caso che il Giappone — eterno fratello-rivale nell’arena della senilizzazione — sia già da tempo sulla stessa strada.

GSM8K, LLM, il re è nudo: Apple smonta il mito del ragionamento matematico

C’è qualcosa di profondamente sbagliato nella maniera in cui valutiamo l’intelligenza artificiale, e Apple — sì, proprio Apple — ha appena scoperchiato il vaso di Pandora dell’autocompiacimento algoritmico. Niente Keynote, niente scenografie minimaliste da Silicon Valley, ma una bomba scientifica che mina il cuore stesso della narrativa dominante: i Large Language Models, osannati come nuovi oracoli logici, sono in realtà più illusionisti che matematici. E il trucco, come sempre, è tutto nei dettagli.

La scena del crimine si chiama GSM8K, una benchmark ormai celebre tra i cultori del deep learning. Una collezione di problemini da scuola elementare usata per valutare quanto un modello sappia ragionare “formalmente”. Ma come ogni quiz scolastico, anche GSM8K ha un punto debole: più lo usi, più diventa prevedibile. E gli LLM, che sono addestrati su miliardi di dati, imparano non a ragionare, ma a riconoscere pattern. Una differenza sottile, ma cruciale.

Il capitalismo dello sguardo: perché Sam Altman vuole scannerizzarti l’iride nei centri commerciali britannici

Londra, primavera 2025. Mentre il Regno Unito si prepara all’ennesimo reboot politico tra intelligenza artificiale e distopia quotidiana, una novità luccicante spunta all’orizzonte urbano: un globo metallico, lucido, vagamente alieno, ti invita ad “autenticarti”. Non con password, né con documenti. Ti chiede solo… gli occhi. O meglio, l’iride.

La macchina si chiama Orb, la società che la distribuisce Tools for Humanity. Nome ironico per un progetto tecnocratico. Dietro le quinte, l’onnipresente Sam Altman, CEO di OpenAI, e il co-fondatore Alex Blania. Non bastava ChatGPT a rivoluzionare il pensiero umano, adesso l’obiettivo è mappare chi è effettivamente umano. Non in senso filosofico — Dio ci salvi da Kant — ma in senso biometricamente verificabile.

Apple: La grande illusione del pensiero artificiale

C’era una volta l’illusione che bastasse aumentare i parametri di un modello per avvicinarlo al ragionamento umano. Poi arrivarono gli LRM, Large Reasoning Models, con il loro teatrino di “thinking traces” che mimano una mente riflessiva, argomentativa, quasi socratica. Ma dietro al sipario, il palcoscenico resta vuoto. Lo studio The Illusion of Thinking firmato da Shojaee, Mirzadeh e altri nomi illustri (tra cui l’onnipresente Samy Bengio) è una doccia fredda per chi sperava che la nuova generazione di AI potesse davvero pensare. Spoiler: no, non ci siamo ancora. Anzi, forse ci stiamo illudendo peggio di prima.

Moratoria AI: il senato USA blocca le leggi locali e spalanca le porte a big tech

Una moratoria decennale sulle leggi statali in materia di intelligenza artificiale non è semplicemente una misura di buon senso burocratico. È, in realtà, una clava politica che rischia di tagliare fuori ogni tentativo locale di regolamentare un settore ormai centrale nella nostra vita quotidiana. I senatori repubblicani del Comitato Commercio, nella loro ultima versione del mega pacchetto di bilancio del presidente Donald Trump, hanno inserito proprio questo: un blocco alle normative statali sull’AI. Un regalo dorato a Big Tech, mascherato da protezione della crescita economica e competitività americana. E mentre chi lo difende parla di “semplificazione normativa”, un numero crescente di legislatori e associazioni civiche grida al disastro, vedendo all’orizzonte l’azzeramento delle tutele per consumatori, lavoratori e persino bambini.

La tecnologia ci renderà più umani? Una provocazione firmata Ray Kurzweil

“Ciò che ci rende umani è la nostra capacità di trascenderci.” Lo dice Ray Kurzweil, e non è un filosofo new age o un poeta esistenzialista, ma un ingegnere, inventore, multimilionario e profeta della Singolarità. La stessa Singolarità che, secondo lui, arriverà verso il 2045, con l’eleganza chirurgica di un algoritmo che impara a riscrivere il proprio codice. Un futuro che profuma di silicone e immortalità.

Report Stati evolutivi AI: linguaggio, forma, percezione con AI fisica

L’analisi e la visione del futuro e della ricerca insieme al Prof. Roberto Navigli professore presso il Dipartimento di Ingegneria Informatica, Automatica e Gestionale (Università La Sapienza Roma Babelscape) e la Prof.ssa Barbara Caputo Professoressa Ordinaria Dipartimento di Automatica e Informatica (Polito) EVENTI Milano Finanza

Intelligenza artificiale generativa, non è una moda ma un’egemonia algoritmica

Dall’intervento della Prof.ssa Barbara Caputo si evince che se c’è un errore semantico che continuiamo a reiterare, con la pigrizia di chi crede di parlare di futuro usando parole del passato, è chiamare “moda” quella che è, senza ambiguità, la più profonda rivoluzione computazionale dagli anni ’40 a oggi. L’intelligenza artificiale generativa non è un gadget filosofico per TED Talk, né un effetto speciale da tech-conference, ma una svolta epistemologica nella modellizzazione del reale. Non è un’opzione. È la condizione.

META, il fabbro dimenticato dell’intelligenza artificiale moderna

E’ sabato e mi voglio concedere un pò di esegetica, c’è un paradosso elegante quasi beffardo nel vedere Yann LeCun, Chief AI Scientist di Meta, scagliare la sua verità come un martello di Thor nel silenzio autoreferenziale della Silicon Valley: “Senza Meta, molta dell’AI moderna non esisterebbe.” E mentre il pubblico digita “OpenAI” nella barra di ricerca con la stessa naturalezza con cui un tempo si scriveva “Google”, c’è chi nell’ombra ha martellato il ferro dell’open source per anni, senza ottenere mai il credito da copertina.

La questione, al di là dell’ego e delle polemiche accademiche, è brutale nella sua evidenza: senza PyTorch, oggi non avremmo neppure la metà della cultura di machine learning che inonda GitHub e arXiv. Quel framework flessibile, nato in un laboratorio di Meta (o meglio, Facebook AI Research, per gli archeologi della memoria), è l’asse portante su cui poggiano DeepSeek, Mistral, LLaMA e un’intera galassia di modelli che si vendono come “open”, “free” o “alternativi”.

Perché l’Intelligenza artificiale ama i tuoi dati sanitari più di quanto tu ami il tuo medico

Diciamolo senza girarci intorno: l’Intelligenza Artificiale non è interessata al tuo cuore, ma al tuo cuore visto da una risonanza magnetica, incrociato con i tuoi esami del sangue, i tuoi battiti notturni tracciati dall’Apple Watch, le tue abitudini alimentari dedotte da quanto sushi ordini su Glovo e da quanto insulina consumi nel silenzio della tua app.

Benvenuti nell’era dell’ecosistema dei dati sanitari, un mondo che sembra pensato da un bioeticista impazzito e un data scientist con la passione per il controllo.

Mentre l’European Health Data Space (EHDS, per gli amici stretti della Commissione Europea Regolamento 2025/327) si appresta a diventare il cuore pulsante del nuovo continente digitale della salute, le big tech affilano gli algoritmi. Il paziente europeo diventa il più grande fornitore gratuito di dati strutturati mai esistito. E noi? Noi firmiamo i consensi informati senza leggerli, applaudiamo all’efficienza predittiva, e poi ci indigniamo perché la nostra assicurazione sanitaria sa che abbiamo preso troppo ibuprofene a maggio.

The New York Times vs OpenAI: come distruggere la fiducia nell’AI in nome del copyright

Il paradosso perfetto è servito. In un’epoca in cui le Big Tech si fanno guerre epiche a colpi di etica e algoritmi, a tradire la promessa di riservatezza non è un CEO distopico né una falla nella sicurezza: è un’ordinanza giudiziaria. OpenAI, la regina madre dei modelli generativi, è costretta per ordine del tribunale a violare una delle sue stesse policy fondanti: la cancellazione delle conversazioni su richiesta dell’utente. Cancellazione, si fa per dire.

Quello che accade dietro le quinte di ChatGPT oggi non è un incidente tecnico né una svista legale. È un ribaltamento formale della logica contrattuale tra utente e piattaforma, e rappresenta un passaggio simbolico nella guerra fredda tra intelligenza artificiale e diritto d’autore. Il tutto, ovviamente, con in mezzo il cadavere illustre della privacy digitale.

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