Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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L’intelligenza artificiale (AI) nel suo senso piu’ ampio e l’intelligenza esibita dai sistemi informatici (Machine)

La formula segreta per ottenere risultati strabilianti da GPT-5? non è magia, è anatomia del prompt

Rivista.AI Academy GPT-5 prompting guide

La maggior parte degli utenti si limita a lanciarlo con comandi generici, come se chiedessero a una cassettiera di “darmi qualcosa di interessante”. Il risultato? Uscite casuali, incoerenti, o peggio: inutili. I veri esperti, quelli che trasformano GPT-5 da semplice chatbot a macchina da precisione, costruiscono il prompt in sei parti chirurgiche, ciascuna con un ruolo preciso e strategico. Immagina un’orchestra: ogni strumento deve suonare la sua nota nel momento giusto, altrimenti viene solo rumore.

Il primo passo, il “Role”, è un’iniezione d’identità. Se non dici a GPT-5 chi deve essere, rischi un’interpretazione alla cieca. Vuoi un copywriter, un consulente finanziario o un ingegnere? Devi esplicitarlo. Passare da “sei un’intelligenza artificiale” a “sei un analista di mercato con 30 anni di esperienza” cambia radicalmente l’output, trasformando il testo da generico a iper-specializzato. Non è una sottigliezza: è come chiedere a un barista di prepararti un cocktail senza specificare quale.

Il lato oscuro del prompt design: come la guida operativa GPT-5 separa i dilettanti dai veri professionisti

Se pensi che il prompt design sia solo mettere due frasi carine davanti a un modello di intelligenza artificiale, sei l’equivalente digitale di chi crede che un Rolex cinese faccia la stessa figura del vero. La verità, e lo dico da CEO che ha visto troppe startup morire per pigrizia mentale, è che GPT-5 non è il tuo schiavo geniale, ma un dipendente ipercompetente che eseguirà in modo impeccabile solo se capisce esattamente cosa vuoi. E se tu non lo sai spiegare, il problema non è l’IA, sei tu. Chi pensa di cavarsela con il vecchio “fammi un testo bello e veloce” non ha ancora capito che la macchina non si offende, ma si diverte a servirti un piatto tiepido.

Il miglior corso per imparare la Generative AI è gratuito e arriva dal MIT

Non è un’esagerazione dire che il momento migliore per tuffarsi nel mondo dell’intelligenza artificiale generativa è proprio adesso. La rivoluzione digitale, che già stravolgeva interi settori, ha ricevuto la sua spinta definitiva con modelli come GPT e DALL·E, ma spesso l’accesso alle competenze necessarie sembra riservato a pochi eletti con background tecnico o budget milionari. Ecco perché la notizia che il Massachusetts Institute of Technology, tempio sacro della tecnologia e dell’innovazione, abbia lanciato un corso introduttivo completamente gratuito sulla Generative AI merita un applauso scrosciante. (link https://www.futureofai.mit.edu/)

The Little Book of Deep Learning François Fleuret

Rivista.AI Academy

Deep Learning: come abbiamo insegnato alle macchine a riscrivere il mondo

In principio c’era la statistica. Poi è arrivato il deep learning, e la festa è finita. Quella che era una nicchia accademica fatta di regressioni lineari, kernel gaussiani e loss quadratiche è stata travolta da un’onda lunga di matrici, GPU roventi e architetture sempre più profonde. La rivoluzione silenziosa è diventata un boato mondiale quando AlexNet, nel 2012, mise in ginocchio l’immagine del cane nella foto, umiliando i metodi classici e segnando l’inizio dell’era dei modelli neurali profondi.

Non ve lo diranno mai all’Università

Se sei uno studente, o hai ancora quell’email con “.edu”, sei seduto su una miniera d’oro digitale, e no, non parliamo del solito Google Docs gratuito o dei 6 mesi di Spotify Premium. Parliamo di strumenti di intelligenza artificiale professionali, accesso a cloud computing di livello enterprise, tool di design, sviluppo e scrittura assistita che aziende reali pagano migliaia di dollari all’anno. Tutto a costo zero. Basta un’email universitaria e la voglia di uscire dalla mentalità da “studio per l’esame”.

La parola chiave qui è: AI per studenti. E non nel senso di “GPT-4 ti fa i compiti”, ma piuttosto nel modo in cui usi GPT-4 per costruire un plugin Figma, analizzare 500 pagine di case study in due click con Humata, o prototipare un’idea di startup su Unity mentre Vertex AI si occupa del backend. Il futuro non è distribuito equamente, ma l’accesso sì. Basta sapere dove guardare. E qualcuno su Reddit ha avuto la brillante idea di fare il lavoro sporco per tutti.

Quello che trovi nel foglio condiviso è più di un elenco: è una mappa strategica. Ogni tool è catalogato per categoria, con casi d’uso, limitazioni, requisiti e soprattutto modi concreti per sfruttarlo al massimo. Non è un post da “student deals” stile blog SEO. È una miniera di micro-hack e scorciatoie per chi vuole fare cose serie con l’AI senza dover vendere un rene a OpenAI.

GenAI Customer Stories Database

Nel grande teatro dell’intelligenza artificiale generativa, la parola “database” fa sbadigliare i creativi e tremare gli strateghi. Ma quando quel database contiene customer stories, allora diventa tutt’altro che noioso. Stiamo parlando di un asset che oggi sta diventando il vero carburante invisibile delle strategie AI-driven: il GenAI Customer Stories Database. Nome brutto, impatto devastante.

Il giorno in cui un’AI ha progettato il pannello di controllo di un’astronave meglio di noi

Questa faccenda del modello misterioso chiamato “summit”, apparso su LLM Arena, è più che interessante. È inquietante. Perché quando un modello LLM ti spara 2.351 righe di codice p5.js perfettamente funzionanti, reattive e interattive, alla prima richiesta, senza errori né debug, e lo fa a partire da un prompt volutamente vago come “crea qualcosa che posso incollare in p5js e che mi sorprenda per la sua intelligenza, evocando il pannello di controllo di un’astronave nel futuro remoto”, allora è il momento di mettere giù il caffè e iniziare a preoccuparsi. O a meravigliarsi. A seconda di dove ti trovi nello spettro “speranza-apocalisse AI”.

Anthropic ha appena pubblicato 17 nuovi video 8 ore di GenAI

Anthropic ha appena pubblicato 17 nuovi video 8 ore di puro oro GenAI.

Dalla creazione di agenti Claude agli approfondimenti sulle startup, dal coding vibe al design dei protocolli questa è l’analisi più completa mai realizzata sull’ecosistema Claude.

Georgia Institute of Technology AI, modelli LLM e le leggi della robotica violate in silenzio

Io, robot

C’è un dettaglio che sfugge ai più. Non sta nel codice, né nei paper scientifici. Non lo troverete in fondo alle slide di presentazione dei centri di ricerca o nelle FAQ rassicuranti dei reparti marketing. È l’elefante nella stanza dell’AI moderna: i modelli LLM sviluppati anche in centri d’eccellenza come il Georgia Institute of Technology stanno già violando le leggi della robotica. E no, non c’è alcun Isaac Asimov nei paraggi a fare da garante.

Questi corsi tecnici su Claude sono davvero imperdibili

Live, gratuiti, strutturati, certificati e con un approccio pratico che non lascia spazio alla teoria inutile.

Academy Tutti parlano di vibe coding ma nessuno ti dice quale strumento usare davvero

Se lavori in ambito IT o ti sei anche solo leggermente interessato all’intelligenza artificiale, c’è un consiglio che vale più di mille webinar motivazionali: prova il vibe coding. Perché sì, parliamoci chiaro. L’unico uso davvero utile e concreto della GenAI oggi, fuori dal marketing delle slide e dai chatbot da fiera, è lo sviluppo software. Punto. Il resto è contorno. Chi sviluppa prodotti sa già che l’unica cosa che conta è scrivere codice. Funzionante. In fretta. E ora si può fare con una naturalezza imbarazzante, grazie all’ibridazione tra editor intelligenti e assistenti generativi.

Nel corso degli ultimi mesi ho testato personalmente quasi tutti gli strumenti che oggi si autodefiniscono “AI-native”. Spoiler: non tutti mantengono le promesse. Ma alcuni sono talmente efficaci da sembrare magia. Parliamo di ambienti di sviluppo in cui il prompt è il nuovo linguaggio di programmazione, e la documentazione… beh, la scrive l’AI mentre tu stai ancora decidendo che font usare.

Come scegliere il miglior modello linguistico AI nel 2025: guida operativa di un CEO che ci lavora davvero

Quando si parla di intelligenza artificiale generativa, la maggior parte dei contenuti là fuori ha la stessa consistenza di una presentazione PowerPoint per investitori in fase seed: elegante, ma vuota. In un contesto in cui tutti sembrano esperti, ma pochi hanno realmente orchestrato l’implementazione di centinaia di agenti AI, non sorprende che le scelte sui modelli linguistici si riducano spesso a “quale è più cool oggi su Twitter”.

Il punto è che non serve un benchmark da laboratorio, ma una strategia da campo. I modelli linguistici AI non vanno scelti in base al marketing di chi li produce, ma in base alla geometria dei task da risolvere. Basta con la religione del “migliore in assoluto”. L’unico criterio che conta è l’adattabilità al contesto operativo. Il resto è rumore.

NASA e la rivoluzione invisibile: come il dynamic targeting sta cambiando la sorveglianza della Terra

L’intelligenza artificiale sta finalmente iniziando a guadagnarsi il diritto di essere chiamata “intelligente” anche nello spazio. Non per qualche filosofia futurista o per l’ennesima applicazione da keynote marketing, ma per qualcosa di infinitamente più concreto: selezionare cosa osservare e, ancora più importante, cosa ignorare. In un’epoca in cui ogni byte trasmesso da un satellite è denaro, tempo e risorsa computazionale, la capacità di “guardare con giudizio” diventa una nuova forma di efficienza operativa.

Academy Transformers: il potere nascosto dietro l’intelligenza artificiale generativa

Siamo nel mezzo di una rivoluzione silenziosa. Silenziosa, perché il cuore pulsante dell’IA generativa non si presenta con luci al neon né con robot danzanti, ma con righe di matematica impilate in architetture astratte che si chiamano transformer. Roba che sembra uscita da una riunione tra fisici teorici e stregoni digitali. Eppure sono loro a generare testi, creare immagini, scrivere codice, persino a far credere a qualcuno che un chatbot abbia una personalità. Transformers: non il film, ma la vera tecnologia che governa il nuovo ordine cognitivo.

La maggior parte usa ancora ChatGPT come fosse il 2023 e sta uccidendo la tua produttività

ACADEMY

Le persone che incontro ancora usano ChatGPT come lo facevamo nel 2023. Copiano e incollano un prompt, aspettano, copiano e incollano la risposta. Questo non è lavorare con l’intelligenza artificiale, è applicare nastro adesivo digitale su processi marci. È come comprare una Tesla e usarla solo come autoradio. Il problema non è ChatGPT, il problema è il modo in cui la gente continua a pensare che l’AI sia un giocattolo per risparmiare dieci minuti al giorno. E invece stiamo parlando di cambiare completamente il modo in cui produciamo valore, prendiamo decisioni, creiamo contenuti, sviluppiamo software.

Come sta cambiando il tuo telefono: Il secondo cervello nel 2025 dal Tap al Tas

Cinque anni fa il telefono era solo un passatempo: Temple Run per fuggire dalla noia, Netflix per procrastinare, Zoom per riempire slot che avrebbero potuto essere mail. Ma nel 2025 quel cellulare è molto più di un gadget: è un organismo cognitivo in tasca, un terminale del tuo pensiero. AI generativa, lungo la catena del valore, ha trasformato lo scrolling passivo in un laboratorio di soluzioni immediate. Lo nota il WSJ: nei prossimi anni “l’interazione con AI generativa crescerà attraverso smartphone premium e PC” perché gli utenti scopriranno nuovi modelli d’uso e opportunità The Wall Street Journal.

Rivista.AI Academy: Nvidia e la nuova guerra del silicio che decide chi comanderà il futuro

Chi ancora pensa a Nvidia come all’azienda dei videogiochi probabilmente non ha capito che i videogiochi erano solo la scusa, un cavallo di troia per conquistare il controllo del computing globale. Una trappola elegante: vendere schede grafiche a milioni di adolescenti, raccogliere montagne di denaro, e reinvestirlo in quello che oggi è l’unico vero monopolio intellettuale della tecnologia. Perché la verità è che nvidia ha cambiato le regole della fisica del calcolo e, senza esagerazioni, ha riscritto la geografia del potere digitale.

AI Agent la nuova arma segreta del capitalismo digitale o l’ennesima illusione di massa

Il mito della segretaria/o virtuale onnisciente non è più fantascienza da film Marvel, è la nuova ossessione di Silicon Valley. OpenAI ha appena buttato il sasso nello stagno con ChatGPT Agent, l’ultimo gioiello del suo arsenale, presentato con la solita promessa di cambiare la nostra vita lavorativa e personale. La narrativa è impeccabile: un assistente che non si limita a chiacchierare, ma usa un “computer virtuale” per eseguire compiti complessi, orchestrando strumenti multipli come un direttore d’orchestra. Sembra la consacrazione definitiva del concetto di AI agent, quella buzzword che gli investitori pronunciano con la stessa devozione con cui un broker anni Ottanta diceva “Wall Street”.

Come LangChain trasforma le basi in agenti AI da produzione

Immagina un assistente digitale che non solo capisce, ma agisce. Non sono descrizioni vaghe di “AGI”. Parliamo di produzione, di valore e di flussi operativi reali. LangChain ha appena rilasciato una guida step‑by‑step su come costruire un AI agent pratico e pronto per la produzione. Quindi smettiamo di sognare: questa è la road map per chi vuole risultati, non pipponi filosofici.

Il segreto? Divisione netta tra macro‑futuro tech e micro‑azioni effettive. Ogni step – da job definition a deploy – rispecchia la struttura SOP industriale, cosa che garantisce precisione e scalabilità.

LLM, bias e l’illusione della conoscenza: il grande inganno della soglia abbassata

Sarà interessante, più avanti, tra una coda in autostrada e l’ennesima newsletter su quanto l’IA cambierà tutto, tornare davvero alle basi. Non quelle da manuale Harvard Business Review, ma le fondamenta epistemologiche dell’interazione uomo-macchina. Perché ogni tanto bisogna fare il backup del pensiero critico, soprattutto ora che i large language model (LLM) stanno colonizzando silenziosamente il nostro modo di ragionare. E lo fanno con un’astuzia algoritmica che nemmeno gli autori del nudge avrebbero saputo scrivere così bene.

Non c’è bisogno di leggere Daniel Kahneman in lingua originale per capire cosa stia succedendo. Bastano un paio di prompt su ChatGPT o Claude per accorgersi che qualcosa non torna. L’apparente abbattimento delle barriere all’ingresso, quella sensazione di accesso diretto a competenze linguistiche, tecniche, persino filosofiche, è una messinscena raffinata. L’interfaccia parla semplice, ma dietro c’è un teatro epistemico in cui gli attori sono solo marionette addestrate a confermare ciò che già pensiamo.

Rivista.AI Academy: perché il Context Engineering è l’arma segreta per dominare l’intelligenza artificiale

L’epitaffio del prompt engineering era già scritto. “Sarà un’arte effimera, una moda passeggera”, dicevano. Poi sono arrivati GPT-4, Claude, Gemini, Mistral, LLaVA, ReALM e compagnia cantante. E quel presunto cimitero è diventato un’azienda da miliardi. Ma ora il gioco si è evoluto. Le regole sono cambiate. E anche il nome: benvenuti nell’era dell’ingegneria del contesto, Context Engineering. Sì, è ancora prompt engineering. Solo che ha smesso di giocare con i Lego ed è passato ai sistemi complessi.

Perché, alla fine, non stiamo solo scrivendo istruzioni a un LLM. Stiamo progettando interi ambienti cognitivi. Strutture di senso. Architetture semantiche. E serve chiamarlo con un nome che rifletta questa complessità. “Ingegneria del contesto” suona molto meglio di “prompt sofisticato con campi ben ordinati e delimitatori XML improvvisati”.

AI coding agent: vantaggi e rischi

AI coding agent come Github Copilot X, Codex, Devin o IDE come Cursor o Windsurf stanno spingendo l’approccio di sviluppo software vibe coding a livelli sempre più estremi.

Molti di questi sono ormai passati da essere AI coding assistant, in grado di suggerire o completare parti di codice, ad AI Agent semiautonomi in grado di utilizzare “tools” esposti da server MCP agendo attivamente sulla codebase, ispezionando, aggiungendo o riorganizzando parti di codice. Tutto ciò porta ad un nuovo paradigma di sviluppo software, dove il software engineer deve essere in grado di formalizzare correttamente la sua idea in un prompt, valutare la soluzione proposta dall’agent ed eventualmente reiterare la richiesta in un classico flusso human in the loop

Rivista.AI Academy Chi vince con la GenAI non ha più bisogno di powerpoint

C’è una cosa che il mercato non ti perdona mai: essere teorico. La GenAI non è una filosofia, non è una mission, non è nemmeno una tecnologia da pitch. È una leva. Come una leva di Archimede, serve a spostare qualcosa. E se non la usi con forza e precisione, ti si spezza in mano. Il problema? La maggior parte dei professionisti oggi parla di intelligenza artificiale come se stessero leggendo il menu di un ristorante fusion. Parole vuote. Acronomi messi in fila per impressionare board annoiate. Tutti sembrano sapere cosa sia un LLM, pochi sanno davvero come si mette al lavoro.

Google, che ha i difetti delle grandi potenze ma anche il dono della concretezza chirurgica, ha fatto una cosa molto semplice e quindi molto potente: ha messo l’accesso alla GenAI direttamente nelle mani di chi vuole costruire, non solo parlare. Si chiama Google Cloud Skills Boost, è gratuito, certificato, e prende a schiaffi il vecchio paradigma dell’apprendimento passivo. Qui non si guardano slide, si scrive codice. Non si leggono whitepaper, si scrivono prompt. E non si simula, si costruisce. Il tutto dentro la console vera di Google Cloud, non in un simulatore da fiera della didattica.

Context Engineering, ovvero l’arte segreta di domare l’LLM prima che ti mangi vivo

L’intelligenza artificiale non dimentica mai, e questo è il problema. Da quando i Large Language Models hanno imparato a “ragionare” come agenti autonomi – interagendo con strumenti, prendendo decisioni, riflettendo su ciò che hanno fatto due minuti prima – l’ingombro informativo è diventato il loro tallone d’Achille. Benvenuti nel regno oscuro del context engineering, la disciplina meno sexy ma più strategica della nuova ingegneria dei sistemi intelligenti. Perché puoi avere anche il modello più brillante del mondo, ma se gli butti addosso un torrente ininterrotto di token inutili, diventa stupido come un autore di contenuti SEO generati nel 2019.

La questione è brutale: ogni LLM ha una finestra di contesto (context window), cioè una quantità limitata di testo che può “ricordare” per ogni richiesta. Superata quella soglia, il modello non dimentica: semplicemente impazzisce. E quando succede, arrivano le allucinazioni, i comandi errati, i tool usati a casaccio, risposte fuori tema, promesse non mantenute. Hai presente quando un agente AI dice di aver già fatto qualcosa… che non ha mai fatto? È l’equivalente neurale di un manager che giura di aver mandato l’email, ma non l’ha nemmeno scritta. Context poisoning allo stato puro.

La grande bugia dell’AI coraggiosa: perché le macchine si credono tutte dei Ravenclaw

Se le AI fossero studenti di Hogwarts, il dormitorio di Ravenclaw sarebbe così affollato da sembrare un datacenter di Google sotto stress. Undici modelli su diciassette, infatti, si sono assegnati il 100% alla casa degli intellettuali, dei sapientoni, dei topi da biblioteca col senso dell’umorismo criptico. Nessuno ripetiamo, nessuno si è identificato in Gryffindor, la casa di Harry Potter, quella dei coraggiosi. Nemmeno un briciolo di audacia. I modelli linguistici di ultima generazione, secondo l’esperimento condotto dallo sviluppatore “Boris the Brave”, sembrano avere un solo tratto dominante: l’ossessione per il pensiero razionale, la preferenza per la mente sul cuore. E, implicitamente, un’allergia quasi patologica al rischio.

Quando gli altri si azzuffano, il distributore automatico vince

Il “distributore automatico” di Anthropic è, in realtà, un esperimento che incapsula perfettamente la filosofia con cui Dario Amodei guida l’azienda: affrontare l’intelligenza artificiale non solo come una corsa alla potenza computazionale, ma come una questione esistenziale di governance, sicurezza e impatto sistemico. A prima vista, sembra quasi un aneddoto surreale, un easter egg da Silicon Valley post-pandemica: un distributore automatico alimentato da Claude, il modello linguistico di Anthropic, che consente agli utenti di interagire con l’IA per ottenere snack e riflessioni etiche in egual misura. Ma sotto la superficie giocosa, l’iniziativa è profondamente sintomatica del loro approccio distintivo: usare prototipi tangibili per testare come l’intelligenza artificiale può essere implementata responsabilmente nel mondo reale.

Forbes AI 50 2025 e la fine dell’era delle chiacchiere digitali

Un tempo c’erano i prompt, le risposte brillanti e un florilegio di contenuti generati per stupire il pubblico e sfamare gli algoritmi di engagement. Poi è arrivato il 2025 e Forbes ha buttato all’aria il salotto buono dell’intelligenza artificiale. Nella sua settima edizione, la classifica AI 50 non premia più chi sa parlare, ma chi sa lavorare. È l’inizio di una nuova era, quella in cui l’AI non è più un maggiordomo digitale ma un’operaia specializzata, infaticabile, ipercompetente. Addio chiacchiere, benvenuti flussi di lavoro automatizzati.

Quando la Tokenizzazione diventa truffa: l’illusione dell’equity e l’ennesimo pasticcio di Robinhood

Siamo nel 2025 e qualcuno ancora si stupisce che la parola “token” venga usata come specchietto per le allodole. Come se la storia di FTX non avesse già inoculato abbastanza anticorpi nel sistema. Eppure eccoci qui, con Robinhood il broker per millennial disillusi e boomer con velleità da day trader che lancia “OpenAI tokens”, suggerendo, neanche troppo velatamente, che si tratti di partecipazioni azionarie in OpenAI. Spoiler: non lo sono. Non lo sono mai state. E non lo saranno mai, a meno che Sam Altman e soci non decidano improvvisamente di mettere la loro equity sul banco del supermercato accanto alle patatine.

Il test da 5 minuti che smaschera un LLM meglio di mille benchmark

C’è un momento in cui ogni CTO, product owner o AI enthusiast si ritrova davanti a un modello linguistico con un’unica domanda in testa: “funziona davvero o mi stanno vendendo una demo da showroom?” In un’epoca in cui ogni LLM viene presentato come “state-of-the-art”, “alignment-aware”, “multi-modal-native” e altre amenità da conferenza, serve un test che tagli corto. Niente benchmark infiniti, niente metriche accademiche riciclate. Solo realtà, in cinque minuti netti. Un colpo d’occhio che valga più di mille paper peer-reviewed. Una scudisciata veloce ma letale per capire se il modello è pronto per entrare in produzione, o se deve rimanere nel museo delle promesse generative.

La scommessa da mille miliardi che l’intelligenza artificiale sta ancora perdendo

C’era una volta un sogno da mille miliardi di dollari. Una favola high-tech, recitata in loop tra i neon di Menlo Park e le terrazze panoramiche di Manhattan, alimentata da venture capitalist che giocano a fare i profeti e da executive che confondono il pitch con la realtà. Il nome del miracolo era intelligenza artificiale generativa. E se per un attimo vi è sembrato di vivere la nuova età dell’oro dell’innovazione, era solo perché il marketing ha superato la fisica.

Era il 2023 quando i modelli linguistici diventavano la nouvelle vague della Silicon Valley. Le slide di Satya Nadella facevano impallidire quelle di Jobs, e Sam Altman veniva paragonato a Galileo, ignorando che almeno Galileo aveva torto su meno cose.

Il giorno in cui il prompt engineering è morto e nacque il context engineering

All’inizio era il prompt. Un testo, spesso troppo lungo, mal scritto e ancora più spesso copiato da qualche thread su X. Bastava infilare due righe e il mago LLM rispondeva con entusiasmo, più simile a un pappagallo educato che a un pensatore critico. E ci abbiamo anche creduto. Anzi, ne abbiamo fatto un mestiere: prompt engineer. Una nuova religione. Ma come ogni culto, anche questo ha avuto il suo momento di rivelazione: il prompt non basta più. È arrivato il tempo del context engineering.

Mentre gli influencer dell’intelligenza artificiale si scannano su quale sia il prompt “più potente per scrivere policy aziendali come un McKinsey partner dopo tre Martini”, chi costruisce realmente soluzioni sa che il cuore dell’intelligenza non è nell’input testuale, ma nel contesto in cui lo si inserisce. Chi orchestra davvero un LLM oggi lavora con strutture modulari, pipeline, flussi semantici e compressione dinamica dei dati. Chi si limita a scrivere “act as…” è rimasto all’asilo.

n8n vs LangGraph

Agenti artificiali: il bluff del secolo o la vera rivoluzione del software?

Nel 2025 tutti parlano di AI agents, come se fosse l’ultimo oracolo digitale sceso in terra per risolvere la mediocrità strutturale dei SaaS. Tutti a scrivere prompt, a far girare LLMs come se fossero criceti impazziti su ruote da 80 miliardi di parametri. Eppure, pochi pochissimi capiscono come funzionano davvero questi benedetti “agenti”. Il motivo? Semplice: non è questione di modelli, è questione di framework agentici. E no, non sono roba da hipster nerd. Sono la vera infrastruttura neurale del futuro prossimo.

C’è una dualità che domina il panorama: da un lato n8n, l’artigiano zen dei workflow visuali. Dall’altro LangGraph, l’alchimista cerebrale del ciclo computazionale. Non sono rivali. Sono anime complementari dello stesso corpo cyborg: la nuova impalcatura del software aziendale post-human.

L’intelligenza artificiale non è magia: è architettura a sette strati

Chi pensa che l’AI moderna si limiti al prompt engineering o alla messa a punto di modelli preaddestrati è fermo al livello “giocattolo”. L’AI vera, quella che finisce in produzione, quella che deve scalare, performare, rispondere in millisecondi, aggiornarsi, ragionare, non si improvvisa. Va progettata come un’infrastruttura industriale: multilivello, interdipendente, e ovviamente fragile come il castello di carte più caro che tu possa immaginare.

Serve una visione sistemica, un’architettura a sette strati. Non è teoria, è la differenza tra un POC da demo call e una piattaforma AI che regge milioni di utenti. O, come direbbe qualcuno più poetico: dalla speranza alla scalabilità. Andiamo a sezionare questo Frankenstein digitale con cinismo chirurgico.

Alla base c’è il layer fisico, dove l’AI è ancora schiava del silicio. Che siano GPU NVIDIA da migliaia di dollari, TPUs di Google usate a ore come taxi giapponesi, oppure edge devices low-power per far girare modelli ridotti sul campo, qui si parla di ferro e flussi elettrici. Nessuna “intelligenza” nasce senza una macchina che la macina. AWS, Azure, GCP? Sono solo supermercati di transistor.

Anthropic prompt engineering: la nuova religione dei developer

Da oggi, se non sai scrivere prompt, sei fuori. Non sei un developer, non sei un ingegnere, non sei neppure un umano interessante. Sei un fossile. E no, non sto esagerando. Anthropic — sì, quelli che giocano a fare i monaci illuminati dell’AI mentre bruciano milioni in cloud e cluster ha appena rilasciato un corso gratuito di Prompt Engineering per sviluppatori. Gratis. Ovvero: ti stanno dicendo “prendi il potere, o morirai schiacciato da chi lo fa prima di te”.

Hai capito bene: la nuova hard skill dei professionisti tech non è TypeScript, Rust o TensorFlow. È Prompt Engineering. Una parola che suona tanto come una buzzword da LinkedIn, e invece è la lama affilata che separerà i dev con stipendio da $200k da quelli che implorano l’algoritmo per non essere sostituiti da uno script in Python scritto male.

E sì, ovviamente è un corso “hands-on”, interattivo, diviso in capitoli con un crescendo narrativo degno di un romanzo cyberpunk in salsa OpenAI.

Ma partiamo dal principio.

Microsoft trasforma GitHub Copilot in agente AI autonomo: il junior che non dorme mai

Microsoft ha appena ribaltato il tavolo dell’AI per sviluppatori, trasformando GitHub Copilot da semplice assistente di codice a un agente di programmazione completamente autonomo. E no, non è più quel copilota passivo che aspetta le tue istruzioni: ora fa il lavoro sporco da solo, come un junior inesperto ma pieno di entusiasmo, pronto a sbagliare e imparare senza chiedere il permesso.

L’idea di un agente AI che programma senza bisogno di supervisione in tempo reale sembra un azzardo da fantascienza, eppure Microsoft l’ha messa in pratica. Il nuovo Copilot non vive più in modalità “attendi input” o “collabora in diretta”, ma lavora asincronamente, orchestrando attività e processi di sviluppo in background, come se avessi un giovane apprendista nel team che prova a scrivere codice mentre tu dormi o ti dedichi a strategie più “nobili”. (PROVALO QUI)

Come costruirsi un occhio bionico in 150 righe di codice (e farlo girare offline sul tuo Mac)

Sembra fantascienza, ma è solo Python. O quasi. In un’epoca in cui ogni singola API sembra volerci chiedere una carta di credito, un gruppo di sviluppatori ha deciso di mandare al diavolo il cloud e riportare l’intelligenza artificiale dove dovrebbe sempre stare: nella tua macchina, nel tuo terminale, sotto il tuo controllo. Zero server, zero streaming, zero dipendenze esotiche. È il trionfo della local-first AI, e sì, gira perfino in tempo reale con la webcam. Offline. Con una leggerezza da far impallidire metà delle startup AI finanziate da Andreessen Horowitz.

Audit strategico con un solo expert consultant prompt? L’AI vi guarda e ride. Ma funziona

“Se un prompt ti fa risparmiare 100k di McKinsey… è ancora un prompt o è un miracolo?” Questa è la domanda che ormai serpeggia sotto traccia tra founder e manager stanchi di consulenze in power point e board deck da sbadiglio. E sì, Reddit sta facendo girare questo power prompt che promette di fare ciò che una squadra di MBA con camicia bianca e cravatta allentata sognerebbe: scomporre, analizzare e riprogettare la tua strategia aziendale, come un vero strategist.

sviluppo della AI

Ma in che momento siamo nello sviluppo dell’AI?

Nell’ultimo convegno su AI e Dati a cui sono andato si è parlato molto di come i LLM siano già una soluzione affermata e stabile, con tanti pro e pochi contro. Presentazioni e discorsi di una tecnologia già fatta e finita, siamo già alla fine della storia dello sviluppo dell’AI?

Llama o poeta? la temperatura nei modelli linguistici è l’LSD del token

Se chiedi a un LLM “scrivimi una poesia sull’entropia quantistica” e poi lo rifai, e lo rifai ancora, noterai che qualcosa cambia. E no, non è perché è lunatico o ha letto troppi libri di filosofia quantistica. È colpa – o merito – della temperatura. Una variabile piccola e subdola che decide se il tuo modello è un contabile svizzero o un poeta stravagante in acido. E il bello è che sta tutto in una formula da due righe. Ma dietro c’è il cuore pulsante del comportamento di generazione testuale di un LLM.

La sottile arroganza dell’intelligenza artificiale: quando i workflow sembrano intelligenti, gli agenti sembrano umani, e l’MCP è Dio

Oggi parliamo di come l’AI si spaccia per intelligente mentre si comporta come uno stagista molto obbediente, salvo poi evolversi in qualcosa che, con l’aiutino giusto, potrebbe effettivamente fregarti il lavoro. Parliamo di AI Workflows, Agenti Autonomi, e dell’oscuro ma fondamentale MCP — Model Context Protocol. Tre sigle, tre livelli di potere computazionale, una sola verità: senza contesto, l’AI è solo un automa con l’elmetto del Project Manager.

I cosiddetti AI Workflows sono la versione postmoderna delle macro di Excel. La differenza? Nessuna, tranne il marketing. Un workflow AI è uno script lineare: trigger → azione → output. Tutto preciso, tutto meccanico. Arriva un’email? L’AI la riassume, crea un task e ti manda un messaggio Slack. Bingo. L’illusione dell’intelligenza. Ma non farti fregare: è puro determinismo digitale. Nessuna decisione, nessuna capacità di adattamento, solo sequenze codificate. È come parlare con un chatbot del 2004, ma con un’interfaccia più figa.

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