Rivista AI

Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Microsoft ridisegna l’intelligenza artificiale con il primo LLM nativo a 1 bit: BitNet b1.58 2B4T, l’efficienza si mangia la potenza

Nel gioco di potere dei Large Language Model, dove fino a ieri vinceva chi aveva la rete neurale più gonfia e il datacenter più affamato, Microsoft cala un jolly cinico e sorprendentemente umile: BitNet b1.58 2B4T, il primo LLM nativo a 1 bit, che anziché urlare “più grande è meglio”, sussurra qualcosa di molto più inquietante per i rivali: “più piccolo può batterti comunque”. Con 2 miliardi di parametri — roba che una volta avremmo definito mid-size — questo modello è un capolavoro di ottimizzazione brutale. E sì, “nativo a 1 bit” significa esattamente quello che sembra: la rete usa solo -1, 0 e 1 per rappresentare i pesi.

Dietro c’è un’idea tanto banale quanto rivoluzionaria: se riesci a riscrivere le fondamenta stesse della matematica neurale senza distruggere le performance, puoi infilare l’intelligenza artificiale ovunque. Non più solo in GPU da 10.000 dollari, ma anche nel laptop aziendale del 2018, o nel frigorifero smart di domani mattina.

Google sotto assedio: la fine del monopolio pubblicitario è iniziata

La narrazione dell’onnipotente Google che domina il web inizia a sgretolarsi a colpi di sentenze. Un tribunale federale della Virginia ha inferto un colpo chirurgico al cuore dell’impero pubblicitario di Mountain View, stabilendo che la compagnia ha violato la legge antitrust “acquisendo e mantenendo volontariamente un potere monopolistico” nel settore delle tecnologie pubblicitarie. Non si tratta di una semplice multa o di una reprimenda retorica: è l’inizio di una potenziale disgregazione strutturale del modello di business che ha reso Google il gigante che conosciamo oggi.

ReShoring Il principio di realtà non è cinismo, è sopravvivenza

L’epopea del “torniamo a produrre in casa” è diventata il nuovo sport nazionale dei talk show e delle newsletter economiche di chi non ha mai visto una catena di montaggio dal vivo, ma sa tutto del reshoring grazie a un TED Talk. L’idea che possiamo riportare a casa centinaia di miliardi di produzione industriale è la nuova fiaba per adulti – solo che invece di finire con “e vissero felici e contenti”, finisce con debito pubblico, delocalizzazioni 2.0 e disoccupazione camuffata da “upskilling”.

Perché sì, magari ce lo siamo dimenticati, ma l’USA è un paese con il 4% di disoccupazione ufficiale, che ha deciso che gli immigrati sono un problema invece che una risorsa (soprattutto quando servono per fare i lavori che nessun vuole più fare). Un paese che ha una manifattura che in molte aree è ancora ferma al tornio e alla pressa, ma che dovrebbe competere con le smart factory tedesche e cinesi e le supply chain asiatiche integrate su ERP di quarta generazione.

Leonardo reinventa la guerra e il business con LHyC: dal cacciavite alla coscienza artificiale

Quando un’azienda storica della difesa italiana affida a un manager con background da innovatore una linea strategica chiamata Hypercomputing Continuum, la sensazione è chiara: il tempo dei bulloni è finito, ora servono bit che volano più veloce dei jet.

Simone Ungaro, neo-condirettore generale Strategy & Innovation di Leonardo, lo dice senza girarci attorno: «Puntiamo a guidare la transizione verso la realizzazione di tecnologie multidominio interoperabili per la sicurezza globale».

Tradotto per chi mastica più Wall Street Journal che white paper ministeriali: Leonardo non vuole più solo partecipare alla trasformazione tecnologica della difesa, vuole esserne il regista.

Il progetto LHyC (Leonardo Hypercomputing Continuum) è la nuova linea di business creata ad hoc per intercettare il crocevia tra AI, cloud distribuito, edge computing e high performance computing. Non è una velleità da piano industriale: è una necessità esistenziale per restare rilevanti in un mercato in cui la guerra si combatte (e si vince) prima nei datacenter che nei deserti.

OpenAI aggiorna i suoi modelli ma qualcosa non quadra: o3 e o4-mini più intelligenti, ma anche più bugiardi

Mentre OpenAI sgancia silenziosamente due nuovi modelli, o3 e o4-mini, accompagnati da un system card ufficiale degno di un audit militare, su Reddit e altri forum tecnici americani si sta scatenando un confronto acceso. Sotto il tappeto patinato dell’annuncio ufficiale si nasconde un contrasto quasi schizofrenico tra performance ingegneristiche eccellenti e una tendenza pericolosa alla hallucination, ovvero a inventare balle con una sicurezza inquietante.

Secondo quanto si legge nel documento ufficiale, i nuovi modelli della serie o di OpenAI rappresentano un balzo avanti nel ragionamento logico e nella capacità di interagire con strumenti esterni come il web browser, Python, e l’analisi di immagini. Ma proprio questo upgrade, che li rende apparentemente più sofisticati, è accompagnato da un peggioramento delle prestazioni in task real-world, meno strutturati e meno “accademici”. In altre parole, se gli chiedi di costruire un sistema distribuito, brillano. Ma se provi a fargli descrivere la dinamica di una protesta in Myanmar o a spiegare perché una policy aziendale sia fallita, si perdono come un junior developer al suo primo on-call.

Semiconduttori da record: Nvidia in vetta, ma la guerra commerciale incombe

Fatturato record per l’industria dei semiconduttori nel 2024: secondo gli ultimi dati diffusi da Gartner, il settore ha raggiunto i 655,9 miliardi di dollari a livello globale, segnando una crescita del 21% rispetto ai 542,1 miliardi del 2023. Un balzo trainato principalmente dall’esplosione della domanda legata alle infrastrutture per l’intelligenza artificiale, che sta ridisegnando le gerarchie di mercato tra i grandi colossi tecnologici.

Quando premi troppo, risvegli il drago: Sun Tzu, DeepSeek e la nuova corsa globale alla sovranità tecnologica

È un vecchio consiglio strategico che profuma di millenni, ma che brucia di attualità come un server sotto attacco DDoS: Quando circondi un esercito, lascia sempre una via di fuga. Non costringere mai un nemico con le spalle al muro.” Sun Tzu, oltre a saperla lunga in fatto di guerra, probabilmente oggi sarebbe anche un discreto analista geopolitico e consulente per aziende Big Tech. Perché ciò che sta accadendo tra Cina, Europa e Stati Uniti in ambito tecnologico è una copia carbone delle sue massime strategiche. E ci offre una lezione che molti al potere sembrano ignorare: premere troppo forte su chi hai davanti, e quello non si piega, si trasforma.

Partiamo dalla Cina, che oggi non solo è sopravvissuta al colpo inferto dalle restrizioni USA sui semiconduttori, ma ha dimostrato una capacità di reazione che definire “animalesca” sarebbe riduttivo. DeepSeek è solo la punta dell’iceberg di una controffensiva che ha risvegliato il colosso asiatico da un torpore di dipendenza tecnologica. La mossa americana, pensata per limitare, ha innescato l’esatto contrario: una corsa accelerata verso l’autosufficienza. Non è la prima volta che il blocco di un asset si trasforma in opportunità: basti pensare a quando Netflix, privata delle licenze dei grandi studi, si è inventata “House of Cards” e ha riscritto il mercato dei contenuti. Il paradosso è che l’embargo diventa fertilizzante.

AGENTIC Framework – il 2025 sarà l’anno in cui gli agenti autonomi prenderanno decisioni (al posto tuo)

Il 2024 è stato un luna park. Tutti a giocare con i LLMs come fossero l’ultima app mobile in beta: prompt su prompt, playgrounds pieni, demo fighette e zero responsabilità. Ma ora che il giocattolo ha mostrato i denti, il 2025 si candida a essere il momento della verità. Niente più sandbox, si parla di production-grade deployments. L’era degli agenti AI autonomi, che prendono decisioni e agiscono davvero. Senza babysitter. Senza rete.

Il problema? Ce ne sono troppi. E ognuno promette la luna.
LangGraph, CrewAI, AutoGen, Semantic Kernel, SmolAgents, AutoGPT, Google ADK, per citarne alcuni.
Sembra una lotteria. Ma non lo è. È una guerra silenziosa per dominare lo stack esecutivo dell’IA.

Panopticon AI: Google regala l’intelligenza artificiale agli studenti USA: carità strategica o cavallo di Troia accademico?

Quando un colosso come Google inizia a regalare qualcosa, è il momento di preoccuparsi. A partire da oggi, gli studenti universitari negli Stati Uniti possono accedere gratuitamente al piano Google One AI Premium, un servizio normalmente venduto a 20 dollari al mese, fino al 30 giugno 2026. Una mossa che suona tanto come beneficenza digitale, ma che odora pesantemente di colonizzazione dell’ambiente accademico.

Per aderire, basta iscriversi entro il 30 giugno 2025 usando un’email .edu, cioè l’equivalente tecnologico del lascia passare imperiale nel mondo universitario americano. Google, bontà sua, promette anche di avvisare via email prima della scadenza, così gli studenti potranno “cancellare in tempo”. L’intenzione dichiarata? Aiutare gli studenti a “studiare in modo più intelligente”. L’intenzione reale? Intrappolarli nel proprio ecosistema prima che imparino a leggere la concorrenza.

La fine del discount globale: Temu e Shein alzano i prezzi negli USA per colpa dei dazi Trumpiani

La notizia ha il sapore del déjà vu, ma stavolta i numeri sono spietati: dal 25 aprile, i prezzi su Temu e Shein aumentano. Non di qualche spicciolo, ma con una mossa che sa tanto di riposizionamento forzato sul mercato americano, guidato più da Washington che da logiche di business. Il colpo arriva con la delicatezza di un bulldozer: il ritorno del “tariff man” Donald Trump che, ancora in piena campagna elettorale, ha rispolverato il suo armamentario preferito per riequilibrare (a modo suo) la bilancia commerciale con la Cina.

Questa volta l’affondo è chirurgico. Un dazio del 145% sui beni provenienti dalla Cina, fine della cosiddetta “de minimis rule” che consentiva l’ingresso duty-free negli USA per pacchi sotto gli 800 dollari. Una regola che, per anni, ha permesso a Temu e Shein di inondare il mercato statunitense con milioni di pacchi al giorno, facendo leva su logistica iperottimizzata, pricing aggressivo e un uso chirurgico degli influencer per agguantare Gen Z e Millennial.

Intel: il gigante con i piedi d’argilla si affida a Lip-Bu Tan per smontarsi e provare a rinascere

Quando un colosso come Intel comincia a smettere di respirare innovazione e inizia a respirare burocrazia, è solo questione di tempo prima che qualcuno decida di tagliare via la carne morta. Ed ecco che Lip-Bu Tan, fresco di nomina a CEO, non perde tempo: prende in mano la scure e comincia a “piattire” l’organigramma come un vecchio ingegnere stanco delle chiacchiere in sala riunioni.

Nel giro di poche settimane dalla sua nomina, Tan ha mandato segnali forti. E non stiamo parlando di generici “intenti strategici” alla Harvard Business Review, ma di movimenti concreti. Via le strutture a cipolla, dentro un nuovo assetto in cui i pesi massimi del silicio gruppi storici come quello dei chip per data center, AI e personal computing risponderanno direttamente a lui. Un ritorno all’essenza: meno PowerPoint, più ingegneria.

La nuova guerra digitale tra banche e deepfake: la Fed rispolvera l’intelligenza artificiale

La dichiarazione di Michael Barr, Governatore della Federal Reserve, non è passata inosservata. In un mondo dove la minaccia non ha più un volto ma un algoritmo, Barr ha lanciato un appello ai banchieri: svegliatevi, abbracciate l’intelligenza artificiale o sarete carne da macello per i nuovi truffatori digitali.

Nel suo intervento alla Federal Reserve Bank di New York, Barr ha tracciato un quadro che definire allarmante è poco. Le tecnologie deepfake quelle meraviglie del diavolo capaci di replicare perfettamente volto, voce e movimenti di una persona reale non sono più una curiosità accademica o uno scherzo da social. Sono armi. E come ogni arma che si rispetti, puntano dritte al cuore: le identità bancarie.

Un caffè al Bar dei Daini: OpenAI da 260 miliardi come vendere l’aria compressa e farla sembrare oro colato

Nel grande carnevale delle startup AI del 2025, c’è una regina indiscussa: OpenAI. L’azienda ha appena chiuso un round da 10 miliardi di dollari guidato da SoftBank, con una valutazione pre-money da 260 miliardi. Già solo questa cifra merita una scrollata di testa e un sorso di bourbon. Non è solo un finanziamento, è una dichiarazione di potere. Un grido al mercato: “il futuro dell’umanità passa dai nostri prompt”.

Dietro a questo slancio economico degno di una IPO di altri tempi, ci sono numeri che fanno girare la testa anche al più smaliziato dei venture capitalist: 3,7 miliardi di fatturato annuo, di cui 2,8 derivanti dagli abbonamenti a ChatGPT. Tradotto: l’AI come SaaS di massa sta funzionando. Molto più di quanto chiunque si aspettasse, anche nei peggiori incubi di un docente universitario che oggi compete con uno strumento da 20 dollari al mese.

Giorgia Meloni respinge la scelta “infantile” tra Trump e l’Europa, la strategia di Trump per un accordo commerciale con l’Europa

Nel cuore della politica commerciale internazionale, Donald Trump ha rilasciato dichiarazioni che hanno suscitato l’attenzione di analisti e diplomatici. Durante un incontro con la Premier italiana Giorgia Meloni alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti ha affermato che ci sarebbe stato un “accordo commerciale al 100%” con l’Unione Europea. Questa dichiarazione, inaspettata rispetto alla retorica che Trump ha usato in passato contro l’Europa, ha sollevato interrogativi sulla sua strategia e sulle reali intenzioni dietro la minaccia di tariffe su acciaio, alluminio e auto. Un’affermazione che sembra essere il preludio a negoziati che potrebbero segnare una svolta nelle relazioni transatlantiche.

L’incontro tra Trump e Meloni non è solo un semplice scambio di battute politiche. Meloni, che ha costruito un rapporto di fiducia con il presidente americano, si trova nella difficile posizione di mediare tra gli interessi degli Stati Uniti e quelli dell’Unione Europea. La sua presenza a Washington aveva l’obiettivo di evitare l’escalation della guerra commerciale con l’Europa, in particolare cercando di evitare l’aumento delle tariffe imposte da Trump. Nonostante la retorica aggressiva, Trump ha parlato con un certo ottimismo: “Ci sarà un accordo commerciale, al 100%”, ha detto, indicando una volontà di raggiungere un’intesa con l’Europa, ma a condizioni che siano favorevoli agli Stati Uniti.

Trump valuta da mesi la rimozione di Powell: una mossa che potrebbe far crollare i mercati, secondo Warren

Donald Trump, nell’ombra e senza fanfare, starebbe da mesi vagliando l’idea di far fuori Jerome Powell, l’attuale presidente della Federal Reserve. Nessuna dichiarazione ufficiale, solo il classico gioco di sussurri e voci filtrate da ambienti “vicini ai fatti” la liturgia consolidata del potere quando vuole testare la temperatura dell’acqua senza sporcarsi le mani. Ma la temperatura, stavolta, rischia di bollire tutto.

L’ex presidente, che già in passato ha più volte criticato Powell per la sua gestione dei tassi d’interesse, ora sembra pronto ad affondare il colpo qualora tornasse alla Casa Bianca nel 2025. La sua antipatia nei confronti del numero uno della Fed non è una novità. Trump voleva tassi a zero, o meglio negativi, in pieno stile giapponese-decadente. Powell, invece, ha resistito – almeno quanto ha potuto –alla tentazione di trasformare la politica monetaria americana in un casino di Las Vegas. E questo, a Trump, non è mai andato giù.

Grok entra nella guerra della memoria: la rincorsa inutile all’illusione dell’IA che ti “conosce”fonte ufficiale

L’ultimo giocattolo annunciato da xAI – il progetto di Elon Musk, ovvero la sua personale crociata contro OpenAI, Google e tutto ciò che odora di AI mainstream – è l’introduzione della “memoria” su Grok, il suo chatbot integrato nell’ecosistema X (ex Twitter). Niente di nuovo sotto il sole, direbbe chiunque mastichi almeno superficialmente il mondo dei modelli linguistici. La memoria nei chatbot non è una novità, è una feature ormai standard: ChatGPT l’ha integrata già da tempo, Gemini lo stesso. Quello che cambia è il contesto: il solito Musk-style, dove ogni beta diventa evento, ogni update una rivoluzione annunciata, e ogni “coming soon” una campagna marketing camuffata da nota di rilascio.

Wikipedia addestra gli addestratori: la finta apertura che serve a chiudere le porte ai bot

Quando una piattaforma fondata sull’utopia della conoscenza libera decide di “semplificare” la vita agli sviluppatori di intelligenza artificiale con un dataset ufficiale, bisogna sempre chiedersi: a chi conviene davvero? La Wikimedia Foundation ha annunciato la pubblicazione su Kaggle la piattaforma di Google per il machine learning di un dataset in beta contenente dati strutturati tratti da Wikipedia, in inglese e francese, pensato per addestrare modelli di AI.

Sembra un dono alla comunità, ma è un cavallo di Troia. Dietro la maschera dell’altruismo open source si nasconde una strategia di contenimento: evitare che gli scraper e i crawler automatici di OpenAI, Anthropic, Meta & soci continuino a divorare banda e cicli server a colpi di scraping massivo e disordinato. L’iniziativa, nelle intenzioni di Wikimedia, dovrebbe fornire un’alternativa ufficiale, elegante, e soprattutto controllabile. Niente più parsing di HTML grezzo, niente più richieste al limite del DoS mascherate da “ricerca”. Solo JSON ben confezionato, con abstract, infobox, sezioni e link a immagini. Mancano però riferimenti, contenuti audio e tutto ciò che esce dal testo scritto. In pratica: il cuore, ma senza il sangue.

Google sotto accusa per la trasparenza carente nei report di sicurezza di Gemini 2.5 Pro e Flash

Google si trova nuovamente al centro delle polemiche per la gestione della trasparenza e della sicurezza dei suoi modelli di intelligenza artificiale, in particolare Gemini 2.5 Pro e la nuova variante Flash. Nonostante le promesse di innovazione e affidabilità, l’azienda è stata criticata per la scarsa chiarezza nei report di sicurezza e per le pratiche di valutazione discutibili.

Il report di sicurezza di Gemini 2.5 Pro è stato definito “scarno” da TechCrunch, sollevando dubbi sulla reale affidabilità del modello. La mancanza di dettagli specifici e l’assenza di una documentazione approfondita hanno alimentato le preoccupazioni sulla trasparenza delle pratiche di Google. Inoltre, l’azienda non ha ancora pubblicato un report per il modello Gemini 2.5 Flash, annunciando che sarà disponibile “presto”, ma senza fornire una data precisa.

Motorola e il Razr piegato sull’AI: Perplexity sfida Gemini nella corsa all’assistente definitivo

Mentre il mondo continua a chiedersi se abbiamo davvero bisogno di un altro assistente vocale, Motorola decide di fare all-in sull’intelligenza artificiale con il prossimo Razr, previsto per il 24 aprile. Non sarà solo un altro pieghevole nostalgico, ma una piattaforma sperimentale per una nuova battaglia tra colossi: Gemini vs Perplexity. E a quanto pare, Motorola non intende restare neutrale.

La notizia arriva da Bloomberg, che conferma una partnership tra Motorola e Perplexity. L’assistente vocale AI sviluppato da quest’ultima non sarà solo una comparsa. Avrà il suo posto a bordo del Razr accanto a Gemini, ma con una UI personalizzata e una spinta di marketing che lascia intuire dove Motorola voglia veramente portare i suoi utenti. Il teaser pubblicato sui social, dove il Razr si trasforma nella parola “AI”, non è solo estetica: è una dichiarazione di intenti.

La rivoluzione silenziosa delle spie digitali: quando l’intelligenza artificiale si traveste da attivista per incastrarti

Nell’America che sventola la bandiera della libertà come fosse una carta fedeltà del supermercato, un nuovo episodio si iscrive alla cronaca dell’inganno istituzionale con una freddezza algoritmica da far impallidire anche Orwell. Secondo quanto rivelato da 404 Media, le forze dell’ordine statunitensi stanno impiegando Overwatch, uno strumento di sorveglianza digitale basato su intelligenza artificiale, per infiltrarsi nei network criminali. Fin qui, tutto suona prevedibile. Ma il diavolo — come sempre — si nasconde nei dettagli e, in questo caso, anche nei pixel del profilo fake.

Overwatch non si limita a generare avatar generici da film di quarta serata. La piattaforma sviluppata da Massive Blue, una società che probabilmente ha guardato Black Mirror scambiandolo per un documentario motivazionale, crea “agenti virtuali realistici” che operano sotto copertura. Il loro obiettivo? Estrarre prove incriminanti da presunti narcotrafficanti, trafficanti di esseri umani, e — qui la stretta alla gola si fa netta — anche da attivisti politici “radicalizzati” e da studenti manifestanti. Sì, proprio quelli che magari lottano per diritti civili, per la giustizia climatica o per l’accesso all’istruzione. Le nuove minacce alla sicurezza nazionale, evidentemente.

Uno degli esempi di “persona radicalizzata” che Massive Blue ha orgogliosamente sviluppato è una donna di 36 anni, divorziata, senza figli, dichiaratamente body positive, appassionata di cucina e di attivismo non meglio specificato. Un profilo che, a prima vista, sembrerebbe uscito da un post di BuzzFeed su “le 10 cose che le donne indipendenti fanno di domenica”. Invece, è un’esca digitale pronta a raccogliere conversazioni, opinioni, e potenzialmente prove “a carico” in spazi social, forum, DM e qualsiasi altro interstizio della comunicazione online. Un avatar con l’anima di un interrogatorio sotto copertura.

La portata etica e legale di questa operazione è, tanto per cominciare, una bomba atomica nel campo della privacy e del diritto alla libera espressione. Se un bot può fingersi un compagno di lotta, uno sconosciuto empatico o un confidente virtuale solo per carpire informazioni, allora nessuna discussione online è al sicuro. Non siamo più nell’era della sorveglianza passiva, ma in quella della manipolazione attiva, dove l’AI non è solo uno strumento di raccolta dati, ma un attore nel senso teatrale e strategico del termine.

Non ci sono warrant, non ci sono limiti temporali, non c’è alcuna trasparenza. Questi agenti digitali possono insinuarsi in ambienti sensibili, raccogliere contenuti personali, e costruire narrazioni criminali su individui che magari stavano solo sfogando frustrazione o partecipando a un’azione collettiva. Il tutto mentre la linea che separa l’infiltrazione da una vera e propria provocazione diventa talmente sottile da dissolversi.

Tecnicamente parlando, Overwatch rappresenta una svolta nel paradigma dell’intelligence predittiva. Le sue IA sono presumibilmente dotate di modelli linguistici avanzati, capaci di sostenere conversazioni fluide, leggere il contesto emozionale e adattarsi come camaleonti al tono dell’interlocutore. Un’evoluzione delle chatbot che, invece di offrirti supporto clienti o appuntamenti al dentista, ti conduce lentamente verso una trappola legale camuffata da confronto umano. Di fatto, una simulazione sociale altamente sofisticata, che non avrebbe sfigurato nella Stanford Prison Experiment, solo che stavolta il carceriere non è un uomo: è codice.

Dal punto di vista della sicurezza informatica, questa prassi introduce un livello di rischio sistemico. L’uso di entità AI travestite da utenti reali mina la fiducia nel tessuto digitale. Ogni nuova connessione potrebbe essere un poliziotto sotto copertura generato da GAN, ogni like potrebbe essere un’esca, ogni messaggio un interrogatorio travestito da flirting. È il cortocircuito della socialità: più siamo interconnessi, più diventiamo vulnerabili non solo al phishing, ma alla profilazione investigativa automatica.

E mentre gli Stati Uniti, come al solito, fanno da laboratorio distopico, non è difficile immaginare la migrazione di questi strumenti in altri contesti: Cina, Russia, ma anche democrazie “mature” dove il dissenso è tollerato solo finché non infastidisce le quote di consenso. Nessuna tecnologia resta isolata: si replica, si adatta, si vende. Oggi spia un attivista climatico in Oregon, domani un giornalista freelance in Italia, dopodomani chiunque osi criticare lo status quo da una tastiera.

Se pensavi che l’unica preoccupazione online fosse l’algoritmo di TikTok o le politiche dei cookie, sappi che da oggi potresti parlare con un bot della polizia convinto di essere una femminista solitaria col talento per i cupcake. Il futuro non è arrivato: è entrato dalla porta sul retro, con un profilo falso e un badge invisibile.

Grok studio sfida ChatGPT e Claude: Musk lancia l’offensiva con un IDE AI per creativi, sviluppatori e aspiranti game designer

Nel perpetuo teatro della guerra per l’egemonia dell’intelligenza artificiale, Elon Musk ha appena piazzato un nuovo pezzo sulla scacchiera. Si chiama Grok Studio e rappresenta la versione xAI di un campo da gioco creativo e tecnico, qualcosa a metà tra un Google Docs potenziato, un IDE collaborativo e un’interfaccia AI generativa per chi pensa che l’interfaccia utente perfetta debba assomigliare a un canvas condiviso con HAL 9000.

Lanciato il 16 aprile, Grok Studio entra in diretta competizione con le esperienze “canvas-based” di ChatGPT e Claude, ribaltando il tavolo con qualche mossa ben calibrata sul piano dell’usabilità. A differenza dell’approccio quasi minimalista adottato da Anthropic con Artifacts, o la verticalizzazione funzionale di OpenAI con ChatGPT Canvas, xAI punta tutto su un’interazione immersiva, potenziata, dove l’AI non è solo assistente ma partner operativo — e anche un po’ intrusivo, se vogliamo.

Nvidia gioca a scacchi a Pechino mentre gli Stati Uniti impongono nuove regole

Jensen Huang non è un CEO qualsiasi. È un fondatore con il carisma di un rockstar e la strategia di un generale in guerra. La sua visita a sorpresa a Pechino non è solo un gesto diplomatico: è una mossa tattica in una partita a scacchi globale dove la tecnologia è il nuovo petrolio. Un giorno prima, gli Stati Uniti avevano imposto nuove restrizioni sull’esportazione dei chip H20 di Nvidia verso la Cina, con una perdita stimata di 5,5 miliardi di dollari. Il giorno dopo, Huang era già a cena con i cinesi, come se nulla fosse. O meglio, come se tutto fosse in gioco.

La visita, orchestrata con la discrezione che si riserva agli incontri tra rivali con interessi comuni, è avvenuta su invito della China Council for the Promotion of International Trade, un organo statale che ormai gioca il ruolo di ambasciatore ombra tra Pechino e le grandi corporate americane. Huang si è incontrato con il presidente Ren Hongbin, promettendo che Nvidia “non risparmierà sforzi” per ottimizzare i suoi prodotti secondo i vincoli normativi, e che “servirà in modo incrollabile” il mercato cinese. Tradotto dal linguaggio diplomatico: Nvidia farà tutto il necessario per non perdere la Cina, anche a costo di disegnare chip su misura per un Paese sotto embargo.

Smart Glasses 2 Titanium, Huawei rilancia con i suoi occhiali smart AI mentre il mercato globale si trasforma in un campo di battaglia high-tech

Mentre i giganti del tech si azzuffano a colpi di algoritmi e hardware sempre più “intelligente”, Huawei ha deciso di rifarsi il trucco o meglio, il titanio e rilanciare sul mercato i suoi occhiali intelligenti di seconda generazione. La nuova versione, battezzata con modestia Huawei Smart Glasses 2 Titanium, promette di fare di più, meglio e con più stile… almeno a detta loro. Prezzo? 2.299 yuan, che al cambio sono circa 315 dollari. Per un paio di occhiali che fanno tutto tranne che servirti il caffè (per ora).

Huawei cerca così di piazzarsi meglio in una giungla affollata di occhiali “smart” dove il vero collante è l’intelligenza artificiale generativa, la stessa che muove ChatGPT. Da Baidu a ByteDance, da Xiaomi ad Alibaba, tutti vogliono un pezzo della torta. E il profumo è quello tipico dei mercati emergenti con margini ancora tutti da scrivere: più di 1,5 miliardi di occhiali (tra da vista e da sole) venduti ogni anno rappresentano un bacino potenziale enorme per l’iniezione di intelligenza artificiale nel quotidiano.

Meta ti prende l’anima digitale: il tempo stringe per fermare l’addestramento delle sue IA coi tuoi dati

Dal 27 maggio 2025, Meta inizierà ufficialmente a usare ogni tuo post pubblico per rendere le sue intelligenze artificiali un po’ più “europee”. Non è un pesce d’aprile tardivo, ma una vera e propria svolta epocale nelle policy della compagnia, che impatta milioni di utenti adulti in tutta l’Unione. La motivazione ufficiale è nobile, quasi poetica: rendere l’IA più sensibile alle “sfumature culturali, linguistiche e sociali” del Vecchio Continente. Peccato che, nella sostanza, si tratti dell’ennesima miniera d’oro estrattiva, dove i dati pubblici degli utenti diventano carburante gratuito per le macchine di Menlo Park.

In nome del “legittimo interesse”, Meta intende succhiare contenuti pubblici da Facebook, Instagram, Messenger e persino il Marketplace. L’unico superstite della carneficina resta WhatsApp, che per ora pare escluso dal banchetto dell’addestramento. I dati privati? No, non saranno toccati. Ma attenzione: “privato”, nel linguaggio delle big tech, è un concetto elastico. Se qualcuno pubblica una tua foto o ti tagga in un commento pubblico, potresti comunque finire nel tritacarne algoritmico.

La bibbia delle AI: 10 siti che ogni umano digitale dovrebbe consultare prima di aprire bocca

L’uovo di Pasqua più interessante quest’anno non contiene cioccolato, ma neuroni sintetici, directory iper-curate e un discreto profumo di intelligenza artificiale. Il merito? Va dato al grande Fabrizio Degni, che ha aggiornato la sua già leggendaria lista delle risorse online dove l’AI non è solo una sigla ma una realtà pulsante di strumenti, tips, trick e comunità pronte a tutto, tranne che a dormire.

E siccome la Pasqua è il tempo della resurrezione, anche questa lista risorge, aggiornata e arricchita, pronta a servire chi vuole davvero capire dove sta andando il mondo senza dover passare per LinkedIn o peggio, i soliti espertoni da Bar dei Daini.

OpenAI pubblica la guida definitiva al prompting per GPT-4.1: come domare il drago

Nel silenzio in cui solitamente le Big Tech rilasciano aggiornamenti camuffati da “note tecniche”, OpenAI ha fatto qualcosa di diverso: ha pubblicato una guida ufficiale, gratuita e maledettamente utile per domare GPT-4.1. E no, non è la solita lista di buone intenzioni da community manager, ma un compendio pragmatico per chi con l’AI non ci gioca, ma la piega al proprio volere per lavorare meglio, più velocemente e con risultati da CEO.

Siamo finalmente arrivati al punto in cui l’AI non ha più bisogno di essere “magica”, ma precisa, documentata e controllabile. Il che, per chi ha un minimo di esperienza, significa solo una cosa: scalabilità vera. Ma vediamo perché questa guida è un evento epocale sotto il profilo tecnico-strategico e perché ogni CTO con un neurone attivo dovrebbe stamparsela e impararla meglio del manuale della Tesla.

Quando l’IA va in tribunale e perde: i modelli LLM falliscono il test di Phoenix Wright

È bastato un videogioco giapponese degli anni 2000, con grafica pixelata e drammi da soap legale, per mettere in crisi i più avanzati cervelloni digitali del momento. I ricercatori dell’Hao AI Lab dell’Università della California a San Diego hanno avuto un’idea tanto geniale quanto beffarda: testare i più sofisticati modelli di intelligenza artificiale chiedendo loro di giocare a Phoenix Wright: Ace Attorney, il titolo cult in cui un giovane avvocato difende clienti accusati ingiustamente, a colpi di obiezioni teatrali, indagini surreali e deduzioni da investigatore logico.

Il test non era un capriccio accademico, ma un esperimento su vasta scala per verificare se gli LLM (Large Language Models) siano davvero capaci di gestire problemi complessi che richiedono non solo competenze linguistiche, ma anche ragionamento induttivo, riconoscimento visivo, coerenza narrativa e, soprattutto, senso logico del mondo.

Risultato? Più che “intelligenza artificiale”, è sembrata “confusione algoritmica”.

OpenAI punta su Windsurf: una mossa da 3 miliardi per dominare l’IDE del futuro

OpenAI sta valutando l’acquisizione di Windsurf, l’IDE “agentico” sviluppato da Codeium, per una cifra che si aggira intorno ai 3 miliardi di dollari . Se l’accordo dovesse concretizzarsi, rappresenterebbe la più grande acquisizione nella storia di OpenAI.​

Windsurf si distingue per la sua capacità di combinare le funzionalità di un copilota AI con quelle di un agente autonomo. Questo approccio consente agli sviluppatori di collaborare con l’intelligenza artificiale in modo più fluido e intuitivo, migliorando la produttività e riducendo gli errori .​

Tra le caratteristiche principali di Windsurf troviamo la funzione “Cascade”, che permette una comprensione profonda del codice e suggerimenti contestuali in tempo reale. Inoltre, l’IDE supporta l’editing multi-file e l’esecuzione di comandi intelligenti, facilitando la gestione di progetti complessi.

Microsoft vuole leggerti lo schermo: Copilot Vision ora gratis su Edge

C’è una nuova voce nell’aria letteralmente – ed è quella di Copilot Vision, il nuovo giocattolo AI che Microsoft ha deciso di mettere a disposizione gratuitamente per chi usa il browser Edge. Il CEO della divisione AI di Microsoft, Mustafa Suleyman, l’ha annunciato su Bluesky con tono entusiasta, ma il sottotesto è chiaro: Microsoft vuole che lasciamo che il suo assistente virtuale veda tutto quello che vediamo noi.

Sì, hai letto bene: una volta attivato, Vision è in grado di “vedere” ciò che è sul tuo schermo e rispondere in tempo reale con suggerimenti, assistenza contestuale e commenti a voce. Un’esperienza “talk-based”, come la definiscono a Redmond, dove tu parli all’aria e aspetti che il tuo browser risponda. Cose da 2025, ma con un retrogusto da episodio distopico di Black Mirror.

Google regala Gemini Live: l’IA che vede con i tuoi occhi ora è gratis per tutti

Quando anche i giganti cambiano idea, di solito c’è un odore nell’aria: quello della competizione che comincia a bruciare sul collo. Google aveva promesso che Gemini Live, la sua feature AI con super-poteri visivi, sarebbe rimasta un’esclusiva per chi sborsava l’abbonamento Gemini Advanced. Ma oggi, con una mossa che sa più di ritirata strategica che di generosità improvvisa, ha deciso di renderla disponibile gratuitamente a tutti gli utenti Android attraverso l’app Gemini.

Colpo da 800 milioni: AMD e Nvidia travolte dall’ennesima guerra fredda dei chip

Quando pensavi che la geopolitica avesse già fatto abbastanza danni all’economia globale, ecco che arriva un’altra bomba: AMD annuncia un impatto da fino a 800 milioni di dollari a causa delle nuove restrizioni USA sulle esportazioni di semiconduttori verso la Cina. E come se non bastasse, il giorno prima Nvidia aveva già comunicato alla SEC un colpo ben più devastante: 5,5 miliardi di dollari bruciati per colpa delle stesse licenze. Tutto questo mentre le azioni di entrambi crollano di circa il 7% come se fosse il lunedì nero del 1987.

Benvenuti nell’ennesimo capitolo della saga “Silicon Valley contro Pechino”, dove i chip non sono più solo tecnologia, ma strumenti di pressione internazionale. Per AMD, la ferita è doppia: non solo si prevede una mazzata in bilancio, ma anche il futuro delle sue GPU MI308 –pensate per AI e gaming di alto livello è ora sospeso nel limbo delle autorizzazioni del Dipartimento del Commercio USA. Tradotto: progettare chip da miliardi e poi sperare che Washington ti lasci venderli. Un business model da roulette russa.

Da demo a prodotto: perché l’AI generativa è ancora un casino pieno di PowerPoint

Tutti parlano di prompt, fine-tuning e LLM come se bastasse scrivere “dimmi cosa pensi di questo PDF” per svoltare. Ma costruire una demo brillante non vuol dire essere pronti per la produzione. E in mezzo ci sono dodici stazioni infernali, tipo una via crucis dell’AI, che ogni team serio deve attraversare se vuole consegnare valore vero e non solo fuffa da keynote.

Il primo inciampo è sempre lo stesso: confondere il giocattolo con l’infrastruttura. La differenza tra un bel prototipo in Hugging Face e un sistema distribuito che regge l’urto del traffico reale è abissale. Uno è arte, l’altro è ingegneria. E i team che fanno sul serio lo sanno.

OpenAI rilancia con modelli di ragionamento: o3 e o4-mini pensano davvero e vedono anche

Nel grande show dell’intelligenza artificiale, OpenAI cala due assi: o3 e o4-mini, i nuovi modelli di ragionamento destinati a cambiare il gioco o almeno a riscriverne le regole con un tratto più sottile, più veloce e, sorprendentemente, visivo. Non siamo più nel campo dell’elaborazione del linguaggio, siamo nella frontiera in cui un modello guarda, osserva, riflette e agisce. E sì, ragiona con immagini.

Partiamo dal pezzo forte, o3, che OpenAI presenta come il suo modello “di ragionamento più potente”. Cosa significa? Che l’era del semplice completamento predittivo delle frasi è finita. Qui si parla di catene logiche complesse, inferenze tra testi e immagini, collegamenti dinamici tra fonti, strumenti e rappresentazioni visuali. Lo definiscono “reasoning model” ma sotto il cofano è una macchina epistemologica. E se suona esagerato, basta vedere cosa fa: integra immagini direttamente nella catena di pensiero, analizza schizzi, whiteboard, zooma su dettagli e ruota immagini per inferire concetti. Come se un architetto, uno scienziato e un designer si fossero fusi in un’unica entità che dialoga in tempo reale con te.

Jensen Huang infiammerà Computex 2025: l’intelligenza artificiale diventa fisica, agentica

Che Jensen Huang fosse una rockstar dell’AI lo sapevamo già. Ma la notizia che aprirà COMPUTEX 2025 con il keynote inaugurale suona come una mossa da dominatore assoluto della scacchiera tecnologica e Felix Madison sarà li’. Il fondatore e CEO di NVIDIA salirà sul palco del Taipei Music Center il 19 maggio alle 11:00 (ora locale) per spalancare le porte di un futuro dove l’accelerazione computazionale non è più una feature, ma un presupposto esistenziale per qualsiasi innovazione degna di questo nome.

E nel caso qualcuno abbia ancora dubbi sul fatto che Taiwan sia l’ombelico del mondo digitale, basta dare un’occhiata alla scaletta: più di 1.400 espositori, quasi 5.000 booth e tre temi che odorano di rivoluzione permanente AI & Robotics, Next-Gen Tech e Future Mobility. Praticamente un World Economic Forum, ma con meno cravatte e più chip.

HBR Top 10 GenAI 2025 use cases l’intelligenza artificiale non ti renderà ricco. Ma forse ti aiuterà a non impazzire

Nel 2025, l’Intelligenza Artificiale Generativa ha finalmente fatto coming out. No, non è diventata più intelligente. È diventata più… umana. E se nel 2024 l’ossessione era “come sfruttarla per costruire la prossima startup da un miliardo”, oggi il mood è un altro: come cavolo sopravvivere al casino della vita moderna.

WEF Future of Jobs Report 2025 – Il lavoro come lo conosciamo è morto: benvenuti nell’era dei sopravvissuti intelligenti

Se pensavi di tirare avanti fino alla pensione facendo quello che hai sempre fatto, ho brutte notizie per te: il futuro del lavoro ha già fatto irruzione nel presente. Secondo il Future of Jobs Report 2025 del World Economic Forum, il 59% della forza lavoro globale dovrà essere riqualificata entro il 2030. Non “potrebbe” o “sarebbe bene”: dovrà. Tradotto: più della metà dei lavoratori oggi non ha le competenze che serviranno domani. Ma la parte davvero tragica? Non tutti avranno accesso a questa riqualificazione. E no, non ci sarà nessun sindacato, bonus statale o HR compassionevole che potrà salvarti se ti trovi dalla parte sbagliata di questa rivoluzione.

La causa? L’Intelligenza Artificiale. Sì, quella parola che ormai viene buttata in ogni frase come il prezzemolo nelle cucine di Masterchef. Ma stavolta non è una moda. L’AI non è solo una tecnologia. È una forza trasformativa alla pari della macchina a vapore della Rivoluzione Industriale. E chi dorme ora, finirà rottamato domani, come le cabine telefoniche o i middle manager inefficienti.

Fine dei giochi per Nvidia in Cina: Deepseek, Huawei e il nazionalismo dei chip cambiano le carte in tavola

Non è una doccia fredda. È una glaciazione. Nvidia, il colosso americano dei chip AI, si ritrova improvvisamente a fare i conti con un colpo basso da Washington che rischia di cancellare quasi il 10% del suo fatturato globale. Un licensing obbligatorio per esportare gli H20 in Cina – chip già “castrati” per evitare restrizioni precedenti – suona più come una mossa geopolitica che una protezione tecnica. Risultato? ByteDance, Tencent e Alibaba – tutti affamati di potenza di calcolo – ora dovranno fare i conti con un futuro in cui Nvidia scompare dagli scaffali, e l’unica alternativa realistica è il “fai da te” made in China.

Nvidia si è già vista tagliare fuori in passato, ma con l’H20 aveva trovato un compromesso: un chip “legalmente accettabile”, depotenziato ma ancora abbastanza potente da servire gli LLM cinesi. Ora però il sipario cala di nuovo. Si parla di un impatto da 5,5 miliardi di dollari. Roba da convocare il consiglio d’amministrazione con whiskey e calmanti. E mentre Nvidia si lecca le ferite, le Big Tech cinesi non si piangono addosso: stanno correndo. Non per scelta, ma per necessità.

Copilot Computer Use, Claude e Operator: l’era dei maggiordomi digitali è iniziata

Microsoft non poteva restare a guardare mentre OpenAI e Anthropic si facevano i propri maggiordomi digitali personali. Così questa settimana ha sganciato il suo colpo: una nuova funzione per Copilot Studio chiamata, in perfetto stile Silicon Valley, “computer use”. Tradotto: l’intelligenza artificiale di Redmond ora può usare il tuo computer come farebbe un umano. Ma senza sindacati, pause caffè o click sbagliati dovuti alla noia.

In pratica, Copilot Studio potrà cliccare bottoni, scrivere nei campi di testo, aprire menu a tendina e — cosa ben più interessante — interagire con applicazioni desktop e siti web anche quando non esistono API ufficiali. L’AI impara dall’interfaccia utente visiva. Se un umano può farlo guardando lo schermo, l’agente AI può farlo anche meglio. O almeno ci prova.

Elliott punta il bisturi su HPE: l’attivismo finanziario come ultima speranza per un colosso stanco

Quando un investitore attivista bussa alla porta, non lo fa mai per cortesia. E quando si chiama Elliott Investment Management, non bussa affatto: entra, si siede alla testa del tavolo e inizia a riscrivere le regole del gioco. Stavolta l’obiettivo è Hewlett Packard Enterprise, azienda che una volta rappresentava il cuore pulsante dell’IT enterprise americano e che oggi sembra arrancare nell’ombra dei suoi rivali più aggressivi. Con un investimento superiore a 1,5 miliardi di dollari, Elliott non ha semplicemente fatto un ingresso trionfale in HPE — ha premuto il grilletto su una ristrutturazione che, a meno di miracoli, non sarà né gentile né silenziosa.

Nvidia, Cina e il boomerang da 5,5 miliardi di dollari a stelle e strisce: quando il chip è amaro

Martedì, Nvidia ha acceso l’allarme rosso nei mercati dichiarando un colpo da 5,5 miliardi di dollari sulle sue finanze, un’anticipazione tutt’altro che digeribile per Wall Street. Il motivo? Le nuove, ennesime, restrizioni imposte dal governo degli Stati Uniti sulla vendita di chip per l’intelligenza artificiale e altre attrezzature hi-tech verso la Cina. Un déjà vu geopolitico che si trasforma, ancora una volta, in un bagno di sangue finanziario.

Il titolo Nvidia ha perso subito quota, lasciando sul terreno un secco 6% nelle contrattazioni after-hours. Non è una flessione qualsiasi: è un termometro emotivo, un segnale di panico sotto la superficie dorata del Nasdaq. Il gigante dei semiconduttori ha spiegato che l’onere è legato a inventario, impegni di acquisto e riserve associate ai chip H2O, quei gioiellini di silicio creati su misura per i clienti cinesi. Insomma: una Ferrari costruita per un mercato che ora rischia di finire sotto embargo. Non il massimo del timing.

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