Nel grande teatro delle illusioni legislative europee, l’intelligenza artificiale generativa è entrata in scena come un attore muto che però sta riscrivendo il copione. Senza firmare. Senza pagare il biglietto. E senza chiedere permesso. È la nuova frontiera della produzione creativa, alimentata da algoritmi affamati e dataset giganteschi spesso caricati fino all’orlo di opere protette dal diritto d’autore. Tutto inizia da una domanda apparentemente semplice: è legale usare contenuti protetti per addestrare modelli di intelligenza artificiale generativa?
Spoiler: la risposta è un inno al caos normativo europeo.Il documento appena pubblicato dal Parlamento Europeo, intitolato “Generative AI and Copyright – Training, Creation, Regulation”, affronta con rigore chirurgico la schizofrenia del sistema giuridico europeo davanti all’onda lunga dell’AI. L’analisi è implacabile: le eccezioni previste dalla direttiva sul copyright nel mercato unico digitale (CDSM) non sono progettate per l’uso massiccio che i modelli generativi fanno dei contenuti.
Il cuore del problema si chiama text and data mining, o TDM per gli addetti ai lavori. Articoli 3 e 4 della direttiva: da una parte consentono il mining per scopi scientifici, dall’altra (più generosamente) permettono a chiunque di estrarre dati… purché l’autore non abbia “optato out”. In teoria. Perché nella pratica, questa clausola di esclusione è uno dei più grandi esercizi di ipocrisia regolamentare dell’ultimo decennio.