Il paradosso è servito. Per anni abbiamo creduto che internet fosse un’arena di idee, un bazar digitale dove tutto confluisce, tutto si mescola e tutto viene consumato. Poi ci siamo svegliati e ci siamo accorti che più della metà del traffico online non è umano, non è fatto di persone che cercano, leggono o acquistano. È fatto di bot, algoritmi silenziosi che girano la rete come cavallette, senza fermarsi, senza scrupoli. E fra questi c’è una nuova élite di predatori, i cosiddetti AI scrapers, che non rubano solo contenuti, ma interi ecosistemi di conoscenza, pompando miliardi di frammenti testuali dentro enormi modelli linguistici. Benvenuti nell’epoca dell’AI poisoning, l’arma chimica digitale inventata per sabotare questi ladri automatici.