La vera domanda sull’intelligenza artificiale non è “cosa può fare”, ma “chi ascolta davvero i lavoratori”

C’è un dettaglio che sfugge alle menti ossessionate dal prossimo modello di linguaggio o dalla corsa spasmodica ai miliardi di dollari in venture capital. L’intelligenza artificiale non vive nel vuoto, ma nel posto più scomodo possibile: la testa e la quotidianità delle persone che la subiscono, la adottano, la temono e, soprattutto, la desiderano come strumento e non come predatore. La Stanford University ha appena fatto il gesto più eversivo che si possa immaginare in questa stagione di hype tossico: chiedere a 1.500 lavoratori e a esperti cosa vogliono davvero. Non ai founder di Silicon Valley, non ai venture capitalist, ma a chi ogni giorno si gioca la carriera tra Excel, riunioni infinite e scadenze che arrivano puntuali come le tasse. E la risposta è stata chiara, netta, quasi irriverente nei confronti della narrativa dominante.