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La morte dell’algoritmo: come il Seo è stato divorato dal Geo, e perché dovresti startene sveglio la notte

Sono vent’anni che ogni azienda che respira un bit su Internet, dal pizzicagnolo con la pagina Facebook fino al colosso che vende frigoriferi su scala globale, ha una sola ossessione: Google. Nella sua forma più innocua, voleva solo dire rendere il tuo sito leggibile da uno spider, in modo che quando qualcuno ti cerca, ti trova. Ma se eri più ambizioso, pagavi Google per farti trovare anche da chi non ti cercava affatto. Più visibilità per te, più miliardi per loro. Un patto faustiano, ma col tasto “Promuovi”.

Poi c’è stato il terzo livello, quello che ha trasformato la psicogeografia del web: il SEO. Non un trucco, ma un’ideologia. Un’industria da 75 miliardi di dollari il cui unico scopo era piacere all’algoritmo. Non bastava essere online, dovevi essere ottimizzato. Quello che è seguito è stato un genocidio stilistico: titoli riscritti per la macchina, ricette diventate romanzi, descrizioni prodotto che sembravano manifesti elettorali per tostapane. Il web è diventato un incubo semiotico: testi scritti da umani per algoritmi che imitano gli umani. Tutto suona un po’ sbagliato, un po’ artefatto, un po’… uncanny.

La prima vera fuga di dati nell’era dell’intelligenza artificiale: un disastro annunciato

Il 2025 segna una pietra miliare inquietante nella storia della sicurezza digitale: la prima fuga di dati reale legata all’intelligenza artificiale è diventata pubblica. Non si tratta di un hacker sofisticato o di un attacco tradizionale. No, è successo grazie a una falla nel modo in cui vengono indicizzate e condivise le conversazioni generate da ChatGPT, la stessa AI che da mesi sta rivoluzionando il modo in cui cerchiamo e produciamo informazioni. Cinquantamila conversazioni “private” sono state cancellate in fretta e furia dall’indice di Google dopo che qualcuno ha scoperto che bastava una semplice ricerca per leggere dati personali, chiavi API sensibili e strategie aziendali riservate. Ma come spesso accade, il danno era già fatto. Archive.org, il grande archivio digitale, non è stato coinvolto nella pulizia e migliaia di queste conversazioni restano lì, alla mercé di chiunque voglia curiosare.

Questa fuga di informazioni non è solo un incidente di percorso. È il sintomo di un sistema che nessuno aveva previsto, dove la potenza degli algoritmi di indicizzazione e la gigantesca autorevolezza di dominio di ChatGPT creano un paradosso inquietante. Il paradosso di una piattaforma che, con il suo peso SEO, può scalare le vette di Google senza sforzi tradizionali, grazie a contenuti “fabbricati” dall’intelligenza artificiale stessa.

La reputazione passa dalla SEO alla SGE alla GEO: la nuova guerra dell’influenza digitale

Non sarai più ricordato per ciò che hai scritto, ma per come sarai riassunto. Niente più headline su Google, niente più rincorsa al primo risultato organico. Il tuo nuovo obiettivo non è una posizione, ma una frase. La frase che l’intelligenza artificiale generativa sceglierà per raccontarti al mondo. Il tuo marchio, la tua competenza, la tua reputazione, tutto condensato in un box sintetico, spesso senza link, dentro un motore cognitivo che sta cambiando il modo in cui le persone cercano e decidono. Benvenuto nella nuova filiera della visibilità: dalla SEO alla SGE, fino alla GEO.

La SEO, ottimizzazione per i motori di ricerca, è stata il dogma digitale per due decenni. Ogni brand, ogni media company, ogni consulente ha basato la propria sopravvivenza sulla capacità di intercettare query testuali e farsi trovare nelle SERP. Ottimizzazione on-page, keyword density, backlink strategy. Tutto questo oggi non basta più. Perché Google stesso sta mutando pelle. Con l’introduzione della SGE (Search Generative Experience), il motore di ricerca non si limita più a presentare risultati. Sintetizza. Interpreta. Risponde.

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