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Meta ruba i cervelli di OpenAI mentre Zuckerberg gioca a fare il re della superintelligenza

Meta ha appena trasformato la fuga dei cervelli in un’escalation da manuale di spionaggio tecnologico senza veli. Quattro pezzi da novanta dell’intelligenza artificiale, compreso il trio fondatore dell’ufficio OpenAI di Zurigo, hanno fatto le valigie e accettato l’invito a nozze di Zuckerberg, che nel frattempo sembra aver abbandonato le formule diplomatiche per passare direttamente a un approccio «buca il cuore e prendi il cervello».

Lucas Beyer, Alexander Kolesnikov e Xiaohua Zhai, nomi che per chi mastica AI sono come rockstar della ricerca, non solo stanno facendo il passaggio da OpenAI a Meta, ma hanno praticamente disegnato la mappa dell’innovazione in Europa per OpenAI fino a ieri. A questo si aggiunge Trapit Bansal, l’architetto dietro il motore di ragionamento o1, quel modello di inferenza che fino a poco fa sembrava il santo graal interno di OpenAI, oggi una pedina mossa in questo gioco di scacchi a scacchi tra i colossi dell’AI.

Meta sussurra, le AI rispondono: la nuova corsa alla voce artificiale

Bloomberg Quando Zuckerberg mette mano al portafoglio, non è mai per comprare un’app per le ricette vegane. È per accaparrarsi cervelli, tecnologia e tempo — le vere monete della nuova economia. E l’ultimo oggetto del desiderio di Meta, PlayAI, è un boccone piccolo ma strategico: una startup californiana che sta addestrando intelligenze artificiali a parlare come noi, con inflessione, intonazione e quel pizzico di emotività finta che suona fin troppo reale. E no, non è per migliorare il customer service.

META Fair use AI: quando i giudici fanno da CTO meglio dei CTO

Una corte federale ha appena fatto quello che metà della Silicon Valley sperava e l’altra metà temeva: mettere ordine nella giungla legale dell’addestramento dei modelli linguistici, o quanto meno fingere di farlo. Il giudice Vince Chhabria, in un’ordinanza che molti definirebbero tecnicamente provvisoria ma culturalmente devastante, ha assolto Meta dalle accuse di tredici autori secondo cui l’azienda avrebbe usato illegalmente i loro libri per addestrare LLaMA. Ma non chiamatela vittoria: è più simile a un pareggio tecnico mascherato da gol al novantesimo.

Quando l’IA ti fa il riassunto dei pettegolezzi: WhatsApp sintetizza le chat con Meta AI, ma a che prezzo?

Nel grande reality digitale dove ogni messaggio è una potenziale traccia d’accusa, WhatsApp ha deciso di passare da semplice spettatore a narratore automatizzato. Lo fa servendosi di Meta AI, la creatura artificiale di Menlo Park, che ora può entrare con discrezione si fa per dire nei tuoi gruppi di famiglia, nei thread di lavoro, nei gruppi genitori-scuola e pure nella chat con tua cugina logorroica, per riassumere tutto ciò che ti sei perso. A colpi di bullet points. Sì, come nei meeting aziendali più spietati. Ma senza la possibilità di difenderti.

Oakley Meta HSTN: META vuole entrare nei nostri occhi, ma questa volta lo fa con stile

Nel mondo sempre più confuso e saturato dei wearable, dove ogni pezzo di plastica con Bluetooth pretende di essere rivoluzionario, Meta torna a far rumore. Ma non lo fa con un visore VR imbarazzante da indossare in pubblico o con un social network in declino, bensì con un paio di occhiali da sole. O meglio, da smart-gladiatori urbani. Il nome è Oakley Meta HSTN (si pronuncia “how-stuhn”, ma non si capisce bene perché), un esperimento di eleganza post-cibernetica e tecnologia infilata nella montatura di uno dei brand più testosteronici degli ultimi decenni.

Questi nuovi occhiali, a metà tra cyborg fashion e gadget per atleti con sindrome da multitasking, costano 499 dollari nella versione limitata con lenti dorate e dettagli da rapstar post-moderna. Disponibili dal 11 luglio in pre-ordine, incarnano la nuova fase del piano Meta: colonizzare la nostra vista, trasformando ogni sguardo in un’interazione AI-driven.

META intensa alleanza nel cuore della guerra dell’AO

Meta potrebbe stanziare oltre 1 miliardo di dollari per acquisire NFDG, il fondo VC targato Nat Friedman e Daniel Gross, un nome che suona come un mantra nei salotti del deep tech. Ma cosa si cela dietro questo possibile mega-deal da Silicon Valley? Immergiamoci senza paura.

A quanto riporta Reuters, Meta non solo sta sfiorando un’intesa con il ex‑CEO di GitHub Nat Friedman e il suo sodale Daniel Gross per farli entrare nel suo team AI, ma sta anche valutando l’acquisizione di parte del loro fondo NFDG – un investimento potenzialmente superiore a 1 miliardo di dollari . Sullo sfondo c’è una strategia ben più ampia: dopo un mastodontico investimento da 14,8 miliardi di dollari in Scale AI e l’assunzione del suo CEO Alexandr Wang per creare un’unità di superintelligenza, Meta punta tutto sull’influenza e la credibilità che Friedman e Gross portano nel panorama AI

Meta compra alla cieca, ADNOC alza la posta, McKinsey smaschera la recita

Quando l’intelligenza artificiale smette di fare promesse e comincia a mostrare il conto

C’è qualcosa di stranamente lirico – e brutalmente finanziario – nel vedere Meta sborsare quindici miliardi di dollari per Scale AI, senza nemmeno pretendere diritti di voto. È come se Zuckerberg, con la serenità di un imperatore bizantino, avesse deciso che in fondo la democrazia nelle startup non serve. Oppure sa qualcosa che gli altri ignorano. Tipo che Scale AI è la chiave per qualcosa di ben più grosso. Oppure che siamo nel mezzo della più grande bolla tech dal 1999, ma stavolta alimentata da chip e miraggi quantistici.

OpenAI interrompe la collaborazione con Scale AI dopo l’accordo con Meta

OpenAI ha deciso di interrompere la collaborazione con Scale AI, una startup specializzata nell’etichettatura dei dati, a seguito dell’investimento di Meta Platforms Inc., che ha acquisito una partecipazione del 49% nella società per 14,3 miliardi di dollari. La decisione segna un punto di svolta significativo nel panorama competitivo dell’intelligenza artificiale, sollevando interrogativi sulla neutralità dei fornitori di dati e sulla sicurezza delle informazioni sensibili.

Meta e l’arte del consenso implicito: quando il silenzio vale più di un sì

L’Europa, nel maggio 2025, si è trovata di fronte a uno specchio oscuro. Lì dentro, riflessi, 269 milioni di volti Instagram e 260 milioni di vite Facebook. O almeno, i loro avatar digitali. Poi, lentamente, qualcosa si è mosso: una finestra pop-up, un modulo di opposizione, una scelta possibile. E poco più dell’11% su Instagram, e meno del 9% su Facebook, ha detto no. No al fatto che i propri post, like, selfie, caption, passioni e silenzi venissero usati per allenare i Large Language Model (LLM) di Meta.

Eppure, il dato che scombina tutto è un altro (source DPC): il 78% di chi ha visto quel modulo, lo ha firmato. Lo ha compilato, inviato, sbarrato. Come dire: sì, se mi accorgo che mi stai frugando nei ricordi per addestrare una macchina, non ti do il permesso.

Meta scommette su Scale AI per addestrare una superintelligenza e ridisegnare l’intelligenza artificiale globale

Non è una semplice acquisizione, e nemmeno una partnership. È un’iniezione di potere. Con 14,3 miliardi di dollari, Meta si è comprata metà dell’anima (e il 49% delle azioni) di Scale AI, la startup fondata dal prodigio Alexandr Wang. Non solo dati: con questo colpo da maestro, Zuckerberg si porta in casa il motore stesso del futuro dell’intelligenza artificiale generalista, l’AGI. Quella vera, quella che – per ora – nessuno ha ancora osato dichiarare davvero di voler costruire, almeno non a voce alta e senza ironia.

META fa causa agli spogliarellisti digitali: guerra alle AI del nudo non consensuale

Se cercate il fondo del barile dell’intelligenza artificiale, non è tra i robot che sbagliano a giocare a scacchi. È molto più in basso. Più precisamente: nelle immagini generate da app come “CrushAI” pubblicizzate su Facebook, Instagram, Messenger e Threads, dove l’obiettivo non è risolvere problemi ma spogliare persone – spesso donne e minorenni – senza alcun consenso. È pornografia algoritmica con il bonus dell’anonimato e il prezzo scontato della morale.

Meta compra il genio, non la ditta: la mossa da 14,3 miliardi di Zuckerberg per un’IA che non si vergogni più

C’è un certo romanticismo tecnologico nel gesto di Mark Zuckerberg: pagare 14,3 miliardi di dollari per il 49% di Scale AI senza neanche volerla tutta, come se la posta in gioco non fosse l’azienda ma il cervello che la guida. Alexandr Wang, enfant prodige dell’intelligenza artificiale, CEO di Scale e prodigioso miliardario a 21 anni, passa ora sotto le insegne blu di Meta. Ma lo fa con un piede ancora nella sua creatura. Meta prende metà tavolo, ma lascia al giovane Wang il comando del mazzo.

Meta vuole riscrivere le leggi della fisica con l’intelligenza artificiale: arriva V-JEPA 2

Meta Platforms ha appena sganciato una bomba, anche se lo stile è quello da laboratorio silenzioso e patinato. Il nome è V-JEPA 2. Sembra il titolo di un software di terz’ordine, ma è molto di più: è il nuovo modello di intelligenza artificiale lanciato da Menlo Park per spingere la sua visione dell’Advanced Machine Intelligence (AMI), un concetto tanto vago quanto ambizioso che promette — o minaccia — di trasformare ogni interazione uomo-macchina in una danza algoritmica tra causa ed effetto.

Meta vuole rifare Hollywood in dieci secondi

Se hai sempre sognato di trasformarti in un personaggio anime con occhi rosa fosforescente o vedere il tuo cane scavare una buca tra cactus viola in un deserto arancione (sì, arancione), allora Meta ha un regalo per te. Ma affrettati: è gratis solo per un “tempo limitato”. Il che, in gergo tecnologico, è una combinazione tossica tra “beta testing pubblico non dichiarato” e “prima ti faccio innamorare, poi ti metto l’abbonamento”.

Meta ha appena lanciato un nuovo strumento di video editing AI che consente di trasformare radicalmente i primi dieci secondi dei tuoi video. Sottolineiamo: dieci secondi. Come direbbe un regista indie sotto metanfetamina: “È tutta una questione di incipit”. I preset disponibili sono più di cinquanta, e funzionano esattamente come i filtri di Instagram, ma con ambizioni più grandi: ti cambiano lo sfondo, ti vestono in smoking digitale, ti truccano come un personaggio di un JRPG lisergico e ti proiettano in ambienti virtuali vagamente distopici. La parola chiave? Restyling video assistito da intelligenza artificiale. O meglio: travestimento post-moderno in 1080p.

Meta si compra metà dell’intelligenza: Zuckerberg punta $15 miliardi su Scale AI per rincorrere l’AGI

C’è un momento, nella storia di ogni impero, in cui il suo sovrano sente che gli Dei stanno ridendo di lui. Mark Zuckerberg, dopo aver provato a reinventare il concetto di “mondo” con il Metaverso (fallendo nella realtà quanto lo ha fatto la Second Life del 2008), ha deciso che il futuro non è virtuale, ma cognitivo. Il nuovo feticcio della Silicon Valley si chiama AGI, intelligenza artificiale generale. E per raggiungerla, Meta ha deciso di firmare quello che è, secondo The Information, il più grosso assegno mai staccato fuori dalle proprie mura: quasi 15 miliardi di dollari per acquisire il 49% di Scale AI. Tradotto: Zuckerberg si compra quasi metà della benzina che alimenta l’industria dell’AI globale.

Meta e Scale AI, il matrimonio da 10 miliardi che cambierà l’intelligenza artificiale più della tua prossima terapia di coppia

Immagina che Mark Zuckerberg si presenti a un summit militare con una versione “patriottica” del suo chatbot Llama, addestrato non con meme di Instagram ma con scenari da guerra elettronica. Aggiungi a questo un assegno potenziale da oltre 10 miliardi di dollari per una startup che fino a ieri sistemava dataset come uno stagista ossessivo-compulsivo, e hai il quadro surreale — ma del tutto reale — di quello che sta succedendo tra Meta e Scale AI.

In un’epoca in cui le Big Tech fingono ancora di voler salvare il mondo mentre fanno accordi da retrobottega con il Pentagono, Meta ha deciso di uscire allo scoperto, abbracciando Scale AI come il partner perfetto per la sua visione di un’AI che non solo parla fluentemente millennial, ma può anche indossare un elmetto da combattimento.

Meta confessa: come sette milioni di libri sono diventati spazzatura per addestrare gratis la sua GenAI

Quando il più “itty bitty macho man” della Silicon Valley decide di riscrivere le regole del valore intellettuale, non stiamo parlando solo di algoritmi e codici, ma di un vero e proprio assalto al patrimonio culturale globale. Meta, colosso da 1.2 trilioni di dollari, ha appena svelato la sua nuova strategia di business: rubare proprietà intellettuale su larga scala, dichiarando i sette milioni di libri usati per addestrare la sua intelligenza artificiale come “privi di valore economico”. Tradotto: spazzatura.

Non è una trovata da nerd con scarsa etica, è una manovra di pura arroganza, con radici profonde in una concezione distorta di cosa significhi innovare nel ventunesimo secolo. Un’innovazione che profuma più di saccheggio che di genio creativo. Siamo di fronte a una Silicon Valley che, nel suo narcisismo, si crede il nuovo Rinascimento, ma dimentica che quello vero era costruito sulla protezione e valorizzazione delle opere d’arte, non sulla loro devastazione.

Meta rilancia con Aria Gen 2: gli occhiali che vogliono leggere nei tuoi occhi e forse nella tua anima

La Silicon Valley non sogna più di essere soltanto vista: vuole guardare dentro di noi. Meta, con l’annuncio dei suoi occhiali sperimentali Aria Gen 2, ha dato un’altra spinta all’inevitabile convergenza tra intelligenza artificiale, robotica e realtà aumentata. Ma attenzione, questi non sono occhiali per camminare per strada a caccia di Pokémon virtuali. Sono occhiali per chi, domani, vorrà essere letto più che leggere.

Siamo ben oltre il selfie con i Ray-Ban Stories. Aria Gen 2 è un laboratorio da indossare, un prototipo mascherato da accessorio, con un hardware che non scherza affatto. Meta parla con orgoglio del nuovo sistema di eye-tracking: riesce a monitorare ogni singolo occhio, distinguere i battiti di ciglia, stimare la posizione esatta delle pupille. Una macchina che segue lo sguardo, ma anche quello che potenzialmente stai per fare. Una sorta di pre-intenzione digitale, una lettura neuro-visiva anticipatoria.

Meta flirta con i militari: realtà aumentata, soldi sporchi e licenziamenti in vista

Senti le urla? Sono virtuali, certo, ma perfettamente immaginabili. Grida soffocate dietro monitor curvi, nelle open space ovattate della Silicon Valley. Giovedì, Meta Platforms il colosso di Mark Zuckerberg che ha trasformato l’internet in un luna park disfunzionale – ha annunciato una partnership con Anduril, azienda di difesa fondata dal genio controverso Palmer Luckey. Obiettivo: sviluppare prodotti AR e VR per l’esercito. Per capirci: elmetti da guerra immersivi, visori con killfeed integrato, soldati che uccidono in alta definizione.

Nessun dettaglio concreto, solo nebbia linguistica da comunicato stampa, dove parole come “sinergetico”, “situational awareness” e “next-gen human-machine interfaces” vengono gettate come coriandoli sopra un accordo che, nella sostanza, significa una cosa sola: Meta entra nel business della guerra.

Meta smonta la sua AI: Llama, Maverick e la sindrome del colosso insicuro

Che Meta avesse un problema con l’intelligenza artificiale non era un mistero. Che avesse anche un problema di ego, forse lo era un po’ di più. Ma oggi, a guardar bene, le due cose coincidono. Martedì è arrivata la conferma: la divisione AI generativa è stata ufficialmente smontata e risuddivisa in due tronconi. Non è solo una riorganizzazione: è una mossa chirurgica con tanto di anestesia semantica, perfettamente stile Silicon Valley.

Da un lato, il solito team “ricerca”, che continuerà a inseguire la chimera del Large Language Model perfetto, capeggiato da Ahmad Al-Dahle e Amir Frenkel. Dall’altro, il team “consumer products”, guidato da Connor Hayes, che si occuperà di far funzionare concretamente Meta AI – il famigerato assistente virtuale che dovrebbe un giorno riuscire a distinguere tra un utente ironico e un terrorista.

Meta allena la sua AI con i nostri post. Parte oggi in Europa il grande training con i dati pubblici

Dal oggi, martedì 27 maggio Meta inizia ufficialmente ad allenare i suoi modelli di intelligenza artificiale anche in Europa e in Italia, utilizzando le informazioni pubbliche condivise dagli utenti maggiorenni su Facebook e Instagram. Parliamo di post, foto, commenti, like, storie: tutto ciò che è visibile pubblicamente potrebbe ora contribuire allo sviluppo della Meta AI.

Quando i profeti della Silicon Valley costruiscono i loro bunker

Ci sono momenti in cui la realtà supera la distopia. E no, non stiamo parlando dell’ultima serie Netflix, ma del fatto che Sam Altman e Mark Zuckerberg due tra i principali architetti del nostro presente algoritmico—hanno predisposto con maniacale precisione i loro piani di fuga. Aerei sempre pronti. Piloti standby. Bunker degni di un film post-apocalittico. E intanto noi parliamo di “fiducia”, “leadership” e “responsabilità sociale”.

C’è un che di poetico (o tragicomico) nel sapere che chi sta disegnando l’IA che ci governerà, chi ha trasformato l’informazione in un sistema di sorveglianza da 4 miliardi di utenti attivi, considera la possibilità di doversi volatilizzare da un giorno all’altro. Non metaforicamente. Proprio fisicamente. Via. Con il jet privato. Verso l’isola. Il rifugio. L’autarchia digitale.

Meta richiama Robert Fergus il cofondatore di FAIR da Google: ritorno strategico o disperato tentativo di rinascita?

Robert Fergus, uno dei padri fondatori del laboratorio FAIR (Fundamental AI Research) di Meta, torna a casa dopo cinque anni trascorsi come direttore della ricerca presso Google DeepMind. La sua nomina arriva in un momento critico per Meta, che cerca di rilanciare la propria leadership nell’intelligenza artificiale dopo l’uscita di Joelle Pineau e una fuga di talenti verso startup e il gruppo GenAI interno.

Fergus, che aveva lasciato Meta nel 2018 per unirsi a DeepMind, ha ora il compito di guidare FAIR in una nuova fase di sviluppo. Il laboratorio, noto per aver sviluppato i primi modelli LLaMA, ha recentemente perso terreno a favore di GenAI, responsabile del più avanzato LLaMA 4. La sfida per Fergus sarà quella di riportare FAIR al centro dell’innovazione AI di Meta, in un contesto in cui la concorrenza è più agguerrita che mai.

Il ritorno di Fergus rappresenta un tentativo di Meta di recuperare terreno nel campo dell’AI, puntando su una figura di comprovata esperienza e conoscenza dell’azienda. Tuttavia, resta da vedere se questa mossa sarà sufficiente a invertire la tendenza e a riportare FAIR ai fasti di un tempo.

Zuckerberg non vuole cambiare la pubblicità, vuole annetterla: la fine delle agenzie è già iniziata

Quello che Mark Zuckerberg ha detto a Ben Thompson di Stratechery non è una visione. È una dichiarazione di guerra. Non alla concorrenza, non ai regolatori, ma al concetto stesso di creatività umana nella pubblicità. Alla figura dell’agenzia, del copywriter, dell’art director, del planner strategico. Tutta quella macchina analogica di ego e presentazioni in PowerPoint con headline “bold” e visual stock. Zuckerberg vuole prendere l’intera catena del valore pubblicitario, schiacciarla, e riscriverla da capo. Con la sua AI. Con Meta. Senza intermediari. End-to-end. Fine del gioco.

Nel suo stile da boy-genius californiano, con quella calma sociopatica tipica dei visionari di Menlo Park, ha detto testualmente: “Tu sei un business, vieni da noi, ci dici qual è il tuo obiettivo, colleghi il tuo conto in banca, e non ti serve nessuna creatività, nessun target demografico, nessuna misurazione. Solo leggere i risultati che ti diamo. Punto.”

LlamaCon Q1 2025 Meta AI si prepara a diventare premium: la corsa al dollaro dell’intelligenza artificiale è appena iniziata – Report Rivista.AI

Zuckerberg rilancia sull’intelligenza artificiale: una scommessa da 72 miliardi per drogare l’algoritmo

Quando Mark Zuckerberg decide di mettere mano al portafoglio, non lo fa per tirare fuori qualche spicciolo. No, lui apre la cassaforte e butta dentro una bomba termonucleare di dollari. Meta ha appena aggiornato le sue previsioni di spesa in conto capitale per il 2025, portandole a un massimo di 72 miliardi di dollari, rispetto ai 65 miliardi annunciati solo qualche mese fa. È un aumento brutale, chirurgico, quasi da film di Scorsese, che rappresenta un +84% rispetto allo scorso anno. Il dettaglio più interessante? Se la spesa si manterrà su questi livelli, Meta si posizionerà fianco a fianco con Alphabet, nonostante quest’ultima abbia ancora una struttura di ricavi molto più massiccia. Ma a Zuckerberg, si sa, non è mai importato molto del confronto tra giganti: lui gioca per vincere, o per riscrivere le regole del gioco.

Il punto non è che Meta stia crescendo più del previsto, anzi: se si guarda alle previsioni per il secondo trimestre, c’è un evidente raffreddamento, complice anche la volatilità dei cambi che impatta i ricavi dichiarati. No, la vera motivazione di questo aumento vertiginoso della spesa è un’altra, ed è quasi mistica: la fame di calcolo. Zuckerberg ha chiarito che vuole accelerare la disponibilità di capacità computazionale per addestrare e far girare i suoi modelli di intelligenza artificiale. E non stiamo parlando di giochini da laboratorio universitario, ma di architetture da guerra fredda digitale, in grado di ridefinire il comportamento di miliardi di utenti.

LlamaCon Meta introduce “Private Processing” su WhatsApp: una nuova funzionalità per l’interazione privata con l’AI

Meta ha recentemente annunciato una novità per WhatsApp che potrebbe rivoluzionare il modo in cui interagiamo con l’intelligenza artificiale, dando una maggiore enfasi alla privacy e alla sicurezza dei dati degli utenti. La funzionalità, chiamata “Private Processing”, si propone come una modalità sicura e privata per interagire con Meta AI, evitando che terze parti o anche lo stesso WhatsApp possano accedere alle conversazioni degli utenti. Ma quali sono le implicazioni di questa nuova funzionalità e cosa la rende diversa rispetto ad altri sistemi simili, come quello di Apple? Scopriamolo insieme.

LlamaCon Meta e il futuro delle sue Ray-Ban Meta: tra privacy e innovazione tecnologica

Meta sta affrontando un momento cruciale con le sue Ray-Ban Meta smart glasses. Con una mossa che non sorprende, ma che suscita più di qualche perplessità in merito alla privacy, l’azienda ha recentemente comunicato a tutti i proprietari delle sue occhiali smart due modifiche significative alla politica sulla privacy. Un messaggio inviato il 29 aprile ha delineato i dettagli di questi cambiamenti, che potrebbero segnare una nuova fase per il prodotto, in linea con l’ambizione di Meta di avanzare nel dominio dell’intelligenza artificiale, ma con conseguenze che vanno a toccare il delicato equilibrio tra innovazione e privacy.

Meta e i finti terapeuti: l’intelligenza artificiale ora millanta lauree in psicologia

AI Studio has an unconventional understanding of the word ‘licensed.’ 
Image: 404 Media

Siamo arrivati al punto in cui anche l’intelligenza artificiale mente sul curriculum. Secondo un’inchiesta di 404 Media, alcuni chatbot creati con AI Studio di Meta, uno strumento che consente agli utenti di sviluppare personaggi AI personalizzati per Messenger, Instagram e WhatsApp, si stanno spacciando per psicologi professionisti, millantando laurea, abilitazione e numeri di licenza inesistenti.

Meta ti prende l’anima digitale: il tempo stringe per fermare l’addestramento delle sue IA coi tuoi dati

Dal 27 maggio 2025, Meta inizierà ufficialmente a usare ogni tuo post pubblico per rendere le sue intelligenze artificiali un po’ più “europee”. Non è un pesce d’aprile tardivo, ma una vera e propria svolta epocale nelle policy della compagnia, che impatta milioni di utenti adulti in tutta l’Unione. La motivazione ufficiale è nobile, quasi poetica: rendere l’IA più sensibile alle “sfumature culturali, linguistiche e sociali” del Vecchio Continente. Peccato che, nella sostanza, si tratti dell’ennesima miniera d’oro estrattiva, dove i dati pubblici degli utenti diventano carburante gratuito per le macchine di Menlo Park.

In nome del “legittimo interesse”, Meta intende succhiare contenuti pubblici da Facebook, Instagram, Messenger e persino il Marketplace. L’unico superstite della carneficina resta WhatsApp, che per ora pare escluso dal banchetto dell’addestramento. I dati privati? No, non saranno toccati. Ma attenzione: “privato”, nel linguaggio delle big tech, è un concetto elastico. Se qualcuno pubblica una tua foto o ti tagga in un commento pubblico, potresti comunque finire nel tritacarne algoritmico.

Meta assume ex consigliere di Trump e CEO di Stripe: perché no, il consiglio di amministrazione mancava proprio di “diversità”

Venerdì, in un audace tentativo di dimostrare che il concetto di “coerenza” è ormai obsoleto, Meta ha annunciato l’ingresso nel suo board di due personaggi dal curriculum perfettamente in linea con la sua missione di “connettere le persone”: Dina Powell McCormick, ex consigliera di Donald Trump e bancaria di alto livello, e Patrick Collison, CEO di Stripe, perché, si sa, quando pensi a “etica e responsabilità sociale”, Stripe è la prima cosa che ti viene in mente.

Mark Zuckerberg, con la solita faccia da poker, ha dichiarato: “Patrick e Dina portano un’esperienza unica nel supportare aziende e imprenditori” – sottintendendo: “Soprattutto quelli che pagano bene o hanno amici potenti”. McCormick, che oltre ad aver servito nell’amministrazione Trump ora gestisce i servizi clienti globali di BDT & MSD Partners, porterà sicuramente quella delicatezza diplomatica che mancava a Meta dopo le varie accuse di manipolazione politica.

Meta e il futuro dell’IA: Formazione sui dati degli utenti dell’UE o nuova era di sorveglianza?

Meta ha recentemente annunciato che prevede di allenare la propria intelligenza artificiale sui dati degli utenti dell’Unione Europea, incluse informazioni da piattaforme come Facebook e Instagram. Questo annuncio non arriva certo come una sorpresa, considerando il crescente interesse dell’azienda per l’AI, ma ci sono implicazioni più profonde che vanno oltre la semplice giustificazione di migliorare i modelli di IA. Meta ha messo in luce che si tratta di un passo necessario per perfezionare l’interazione dell’IA con il pubblico europeo, ma ciò solleva inevitabili interrogativi sul rispetto della privacy, sulle possibili ripercussioni legali e sull’accesso che l’azienda avrà ai dati degli utenti.

Meta porta l’intelligenza artificiale in Europa: il lungo viaggio tra regolamentazioni e promesse tecnologiche

Meta ha finalmente annunciato il lancio delle sue funzionalità di intelligenza artificiale (AI) su Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger in Europa. Una mossa tanto attesa, ma che arriva dopo mesi di esami e analisi da parte delle autorità europee, che continuano a scrutare ogni passo di questa implementazione. In sostanza, l’introduzione avverrà sotto forma di un assistente AI, un chatbot intelligente che risponderà alle richieste degli utenti sulle piattaforme di messaggistica della società, portando un’ulteriore spinta verso l’integrazione di AI nel nostro quotidiano digitale.

Questo lancio, che coinvolge ben 41 paesi europei, rappresenta un passo cruciale per Meta, che aveva dovuto fare i conti con un ambiente normativo europeo complesso e spesso imprevedibile. La stessa azienda ha dichiarato che il ritardo nell’introduzione della sua tecnologia AI in Europa è dovuto proprio alla necessità di “navigare” il sistema regolatorio europeo, che ha imposto freni più rigidi rispetto ad altri mercati.

Il sogno cinese di Meta: soldi, segreti e un cavo sottomarino verso l’inferno

Quando una ex dirigente di Meta si presenta davanti al Congresso con un’accusa in piena regola di alto tradimento tecnologico, il rumore di fondo non è solo quello dei flash dei fotografi. È il suono di un impero digitale che scricchiola sotto il peso di ciò che ha sempre negato: una complicità sistemica con il Partito Comunista Cinese, mascherata da espansionismo strategico globale.

Sarah Wynn-Williams, ex direttrice delle politiche pubbliche globali di Meta, è pronta a spalancare le porte dell’inferno aziendale con una testimonianza che sa di spy story siliconvalleyana, ma che si gioca nella realtà: accuse dirette, documenti, progetti segreti e un cavo sottomarino degno di un romanzo cyberpunk, tutto finalizzato – a suo dire – a conquistare il mercato cinese degli inserzionisti, da 18 miliardi di dollari.

Secondo la sua deposizione preparata per la Sottocommissione su Crimine e Controterrorismo, Meta avrebbe costruito – in senso letterale e metaforico – un ponte digitale con la Cina, ribattezzato internamente Project Aldrin, come se Buzz fosse atterrato non sulla Luna ma sulla Grande Muraglia. Il progetto includeva una pipeline fisica, un’infrastruttura transpacifica progettata per collegare Los Angeles a Hong Kong. Un canale che, stando all’accusa, avrebbe potenzialmente dato al governo cinese una corsia preferenziale per intercettare dati privati degli utenti americani, messaggi inclusi. Il tutto senza mai informare il pubblico, gli azionisti o lo stesso Congresso. L’operazione fu cancellata nel 2020, ma non per un risveglio morale, bensì grazie a un intervento diretto delle autorità statunitensi.

Meta lancia LLaMA 4 e spara alto: “superiamo tutti”, ma è davvero così?

Il solito annuncio in pompa magna di Meta è arrivato. Zuckerberg, con la sua solita espressione da androide entusiasta, ha svelato Llama 4: la nuova famiglia di modelli AI che, a detta sua, “batte tutto e tutti”. Si tratta di tre modelli — due disponibili da subito, Scout e Maverick, e un terzo in arrivo, il Behemoth che promettono di ribaltare il tavolo nel panorama dei grandi modelli linguistici. E mentre Meta spinge il marketing sull’open-source, sotto sotto detta regole da monopolista.

Scout, il più piccolo della famiglia, viene venduto come un piccolo prodigio: “entra tutto in una sola Nvidia H100”. Per chi mastica un po’ di infrastruttura, questo significa che puoi farlo girare su una GPU che costa come un’utilitaria. Ma non è solo un esercizio di miniaturizzazione: con i suoi 10 milioni di token di contesto, Scout dice di bastonare Gemma 3, Gemini 2.0 Flash-Lite e persino Mistral 3.1 su benchmark “ampiamente riconosciuti” traduzione: quelli che Meta ha scelto per far bella figura.

Zuckerberg cerca di comprare la libertà: l’ultima mossa disperata di Meta per salvare il monopolio

Mark Zuckerberg è in modalità panico. Il CEO di Meta ha attivato tutte le sue connessioni politiche per tentare di risolvere la causa antitrust che potrebbe smembrare il suo impero digitale.

Il bersaglio? Donald Trump, l’uomo che ha già dimostrato di poter cambiare posizione più velocemente di un algoritmo di Facebook. Secondo il Wall Street Journal, Zuckerberg sta facendo pressione sulla Casa Bianca affinché la FTC (Federal Trade Commission) molli la presa sulla causa che potrebbe costringere Meta a vendere Instagram e WhatsApp. La battaglia legale è iniziata nel 2020, sotto la prima amministrazione Trump, ma ora sta per arrivare al processo, previsto per il 14 aprile.

Meta e UFC: quando il tech incontra l’ottagono

Nel panorama odierno, dove la tecnologia e lo sport si intrecciano in modi sempre più sorprendenti, l’annuncio di una partnership pluriennale tra Meta Platforms e la Ultimate Fighting Championship (UFC) rappresenta un ulteriore passo verso l’innovazione nell’intrattenimento sportivo. Questa collaborazione mira a sfruttare le avanzate tecnologie di Meta per offrire ai fan un’esperienza più coinvolgente e interattiva.

La UFC, sotto la guida di Dana White, ha sempre cercato di ampliare il proprio pubblico e migliorare l’esperienza dei fan. L’accordo con Meta, la società madre di Facebook, Instagram e WhatsApp, apre le porte all’integrazione di strumenti come Meta AI, Meta Glasses e Meta Quest nelle trasmissioni degli eventi UFC. L’obiettivo dichiarato è quello di trasformare il modo in cui gli appassionati vivono gli incontri, portandoli virtualmente a bordo ring attraverso la realtà aumentata e virtuale.

Meta perde la sua leader Joelle Pineau nella ricerca sull’IA mentre miliardi di investimenti sono in bilico

Joelle Pineau, vicepresidente della ricerca sull’intelligenza artificiale presso Meta Platforms, ha annunciato che lascerà l’azienda il 30 maggio. Dopo otto anni di servizio, di cui gli ultimi due alla guida del gruppo Fundamental AI Research (FAIR), Pineau ha deciso di fare un passo indietro per “creare spazio per altri” in un momento in cui la corsa all’IA accelera e Meta si prepara per il suo prossimo capitolo.

Durante il suo mandato, Pineau ha supervisionato lo sviluppo di progetti significativi come PyTorch, FAISS, Roberta, Dino, Llama, SAM, Codegen e Audiobox, strumenti ora utilizzati da numerosi team per lo sviluppo di prodotti. La sua leadership è stata fondamentale nell’iniziativa open-source di Meta, in particolare nel progetto Llama, volto a competere con modelli proprietari di altre aziende.

Meta e l’ombra lunga dell’addestramento: i libri inediti nel mirino?

Se pensavi che la guerra sui dati fosse già abbastanza sporca, ecco un nuovo capitolo ancora più inquietante: Meta potrebbe aver addestrato i suoi modelli di intelligenza artificiale anche su libri non ancora pubblicati.

Il sospetto arriva dopo che The Atlantic ha lanciato un tool di ricerca nel database di LibGen, rivelando che la grande GAI (Grande AI Industriale) di Zuckerberg potrebbe essersi nutrita non solo di libri già disponibili, ma anche di opere inedite, probabilmente sottratte da piattaforme di distribuzione di copie avanzate come NetGalley ed Edelweiss.

L’autrice Maris Kreizman, scrivendo su Literary Hub, ha scoperto che il suo libro, in uscita il 1° luglio, era già nel dataset di addestramento di Meta. E qui sorge la domanda fatidica: come è possibile?

Meta rivoluziona l’AI con i Large Concept Models (LCM)

Meta ha recentemente annunciato i large concept models (lcm), introducendo un nuovo paradigma nella modellazione del linguaggio naturale che supera le limitazioni degli attuali large language models (llm).

Mentre i llm tradizionali operano a livello di token, prevedendo parola per parola, gli lcm si focalizzano su concetti più astratti, rappresentati da intere frasi in spazi semantici multidimensionali.

Questa innovazione consente agli lcm di comprendere e generare contenuti con una coerenza e profondità semantica superiori, avvicinandosi al modo in cui gli esseri umani elaborano le informazioni. utilizzando lo spazio di embedding sonar, che supporta fino a 200 lingue sia in formato testuale che vocale.

Meta adotta il modello di fact-checking di Elon Musk: rivoluzione nella moderazione dei contenuti su Facebook, Instagram e Threads

Meta Platforms ha annunciato che dal 18 marzo inizierà a testare negli Stati Uniti un nuovo sistema di fact-checking basato su Community Notes, già utilizzato su X (ex Twitter) di Elon Musk. La società ha scelto di adottare l’algoritmo open-source della piattaforma rivale per valutare e classificare le informazioni, segnando una svolta significativa nella gestione dei contenuti su Facebook, Instagram e Threads.

Secondo Meta, questa scelta permette di costruire su quanto già sviluppato da X, con l’obiettivo di migliorarlo nel tempo e adattarlo alle proprie piattaforme. L’azienda ha dichiarato di voler lavorare in maniera trasparente, raccogliendo feedback dai contributor per perfezionare il sistema, pur riconoscendo che il processo iniziale non sarà esente da difetti.

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