In un settore dove la superiorità non si misura più soltanto in tonnellate d’acciaio, ma nella sottile capacità di proteggere bit e pesi neurali, la mossa di Raytheon nel portare la zero knowledge cryptography nel cuore dello scontro rappresenta uno di quei momenti che pochi analisti colgono subito e che molti generali capiranno tardi. La sicurezza dell’intelligenza artificiale militare non è più un tema per conferenze accademiche, è un’urgenza strategica che si insinua tra i briefing riservati e gli ordini operativi. La difesa moderna non è altro che un gigantesco esperimento su quanto si possa delegare alla macchina senza perdere il controllo, come se il futuro del conflitto fosse già scritto nei log criptati di un cluster lontano. L’integrazione tra Raytheon, Lagrange e il motore DeepProve si presenta come un gesto di rottura, quasi la versione tecnologica del vecchio detto romano fidarsi è bene, verificare è obbligatorio.