Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Tesla, il miracolo stanco di Musk si sgonfia mentre l’america si stufa delle sue profezie

Il genio si sta stancando, e non solo lui. Le sue creature – più siliconate che siliconiche – stanno cominciando a mostrare i segni della decadenza. Elon Musk, l’uomo che ha trasformato l’automobile in un’ideologia e l’intelligenza artificiale in uno show da sabato sera, ha appena collezionato un’altra settimana da incubo. Martedì, Donald Trump ha ironizzato sull’espulsione di Musk dagli Stati Uniti, come se fosse un influencer molesto e non l’uomo che ha portato il razzo su Twitter. Mercoledì, Tesla ha annunciato un crollo del 13,5% nelle consegne nel secondo trimestre, un risultato che fa sembrare il declino del primo trimestre quasi elegante. E giovedì, gli analisti hanno preso i loro modelli previsionali, li hanno guardati negli occhi e hanno cominciato a declassarli come fossero obbligazioni greche nel 2011.

Ma il problema non è solo numerico. È narrativo. Musk, il maestro delle storie, colui che vendeva sogni su ruote con la stessa sicurezza con cui prometteva di colonizzare Marte, si ritrova oggi a raccontare una favola che nessuno ha più voglia di ascoltare. Tesla, per quanto continui a generare entusiasmo tra gli irriducibili del culto, sta subendo quello che nel gergo finanziario si chiama il “momento Kodak”: il punto in cui l’innovazione diventa convenzione e il futuro diventa ieri.

Trump e le 2 settimane

Perfetto, partiamo da quel concetto di “due settimane”. Un’unità di misura temporale elastica, fluida, ideologica, che nell’universo narrativo di Donald Trump funziona come il concetto di “domani” nei romanzi distopici: una promessa che serve a guadagnare tempo, spostare l’attenzione, evitare dettagli concreti. Ogni volta che Trump ha detto “tra due settimane” si è aperta una finestra quantistica dove tutto è possibile, niente è verificabile e nessuno è responsabile. Il tempo, in questo caso, è uno strumento di potere, non un fatto misurabile.

Trump accelera sull’intelligenza artificiale, ma a spese della rete elettrica americana

Da un report di Reuters Venerdi.

Donald Trump, campione del deregulationismo applicato al XXI secolo, ha deciso che l’intelligenza artificiale non deve solo evolvere: deve dominare. E come spesso accade nelle epopee americane, non si guarda troppo ai danni collaterali. Secondo quanto riportato da Reuters, il presidente starebbe valutando una serie di ordini esecutivi per sostenere lo sviluppo dell’AI, con un approccio che prevede l’uso estensivo di terra federale per costruire data center e una corsia preferenziale per i progetti energetici. Un piano perfettamente in linea con la retorica trumpiana: sovranità, velocità e niente burocrazia.

L’umore instabile di Trump e la polveriera mediorientale: pace cercasi, ma le bombe parlano prima _ UPDATED

Non si tratta più di “se”, ma di “quanto” manca al prossimo scoppio. Il Medio Oriente è, di nuovo, sull’orlo del baratro. Ma stavolta lo scenario è più cupo, più globale, più carico di follia nucleare e presidenze imprevedibili. Sei giorni di guerra aperta tra Iran e Israele, e l’ex presidente Trump, l’uomo delle frasi a effetto e degli impulsi compulsivi, ha appena chiesto una “resa incondizionata” all’Ayatollah Khamenei. Con tanto di minaccia online: “Sappiamo dove sei, ma non ti uccideremo. Per ora.”

Pausa drammatica. Che fine ha fatto la diplomazia?

Cripto, dollari e populismo fintech: il senato americano legalizza il sogno stabile di Trump

Per anni è sembrata una boutade da congresso nerd o una distopia da whitepaper con troppa caffeina: dollari digitali emessi da privati, regolati da leggi federali, scambiati come se fossero moneta vera. Ora non è più teoria. È politica. È legge. È Trump.

Martedì sera, con un inaspettato 68-30, il Senato degli Stati Uniti ha approvato una legge storica che regolamenta per la prima volta in modo organico le stablecoin ancorate al dollaro. Il cripto-dollaro ha quindi trovato casa tra le istituzioni. O almeno, una stanza degli ospiti.

Trump phone, l’iphone reazionario che vuole umiliare Apple sul suo stesso campo

Tim Cook dovrebbe sedersi. Magari con un buon bourbon in mano, mentre guarda in silenzio la schermata dorata del nuovo Trump Phone, che promette miracoli siliconici patriottici. Altro che Cupertino: qui siamo nella Silicon Valley parallela dove l’onshoring non è una strategia industriale, ma una dichiarazione di guerra economica. E dove, attenzione, il jack per le cuffie è sopravvissuto.

Trump lancia la più grande deportazione di massa della storia americana, e questa volta fa sul serio

A Washington il sole sorge rosso sangue quando Trump si sveglia con il dito già sospeso sopra il pulsante pubblica di Truth Social. Le lettere sono maiuscole, l’intonazione è apocalittica, e l’obiettivo, ancora una volta, sono le “città infestate” da immigrati illegali: Los Angeles, Chicago, New York. Tutte roccaforti democratiche. Tutte perfette per alimentare il feticcio del nemico interno.

Il presidente in cerca di rielezione ha rispolverato il suo vecchio cavallo di battaglia: l’invasione. Ma stavolta il cavallo ha blindati al posto degli zoccoli, 4.000 uomini della Guardia Nazionale e 700 Marines schierati direttamente in California, come se si trattasse di Falluja e non di una città americana con un sindaco democraticamente eletto.

Droni, Deregulatione e disastri: l’america apre i cieli mentre il mondo li trasforma in campo di battaglia

Il cielo sopra l’America è libero, o almeno così lo vuole Donald Trump. Con la sua recente firma su una serie di ordini esecutivi che allentano le restrizioni sui droni commerciali, sulle auto volanti e sui jet supersonici, l’ex presidente promette di “ripristinare la sovranità dello spazio aereo americano”. Una frase che, messa su carta intestata della Casa Bianca, suona come l’inizio di una rivoluzione tecnologica. O come l’innesco di un disastro.

Se sei un innovatore della Silicon Valley, un fondo di venture capital, o semplicemente uno smanettone con un DJI e un sogno, questa sembra l’età dell’oro. Se invece indossi un’uniforme del Dipartimento della Difesa o hai un radar puntato su infrastrutture critiche, potresti pensare che stiamo assistendo all’alba di una nuova corsa agli armamenti — questa volta silenziosa, autonoma, e a bassa quota.

Trump contro Musk, Israele contro Iran: il reality della fine dell’Impero

Nel grande teatro della politica postmoderna, dove la realtà si piega alla volontà del marketing e la verità è un algoritmo da manipolare, c’è chi litiga su X (Twitter) e chi bombarda nella realtà. Da una parte, Donald Trump e Elon Musk si scannano come due galli da combattimento per la supremazia simbolica dell’ego nazionale. Dall’altra, Israele lancia un attacco diretto contro l’Iran, in quello che appare non solo come un colpo strategico, ma anche come l’effetto collaterale più inquietante dell’assenza americana.

Trump annuncia un’intesa con la Cina ma Wall Street non applaude più

«OUR DEAL WITH CHINA IS DONE» twitta Trump con la sobrietà di un adolescente che ha finalmente ricevuto un like da Elon Musk. È mercoledì mattina, e il Presidente più imprevedibile della storia americana getta la notizia come un osso a una stampa affamata: l’accordo commerciale preliminare con la Cina è stato raggiunto. Una dichiarazione che, in altri tempi, avrebbe acceso i riflettori di Wall Street come Times Square a Capodanno. Ma stavolta no. Il mercato scrolla le spalle, forse sbadiglia. Perché?

I negoziatori di Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un’intesa preliminare su un “quadro” generale, che ora verrà sottoposto ai rispettivi leader per la revisione, nel tentativo di riattivare l’accordo di tregua commerciale siglato a Ginevra il mese scorso.

Alla domanda su eventuali concessioni americane sul controllo delle esportazioni dopo i colloqui di Londra, la Casa Bianca ha evitato dettagli, ribadendo solo il rispetto dell’accordo di Ginevra. Secondo la portavoce Leavitt, la Cina si è detta disponibile ad aprire i suoi mercati agli USA in modo separato e ha acconsentito al rilascio di minerali strategici impiegati nei magneti, secondo i termini già pattuiti a Ginevra.

Quando l’intelligenza artificiale prende fuoco: cronache da una rivolta post-luddista a Los Angeles

Nelle strade di Los Angeles, dove la città ribolle sotto la superficie patinata da cartolina, 750.000 dollari di veicoli autonomi Waymo sono andati in fumo, letteralmente. Un incidente isolato? Una follia vandalica da parte di qualche sbandato con un accendino e troppo tempo libero? Forse. Ma più probabilmente è un sintomo. Un segnale. Uno di quei momenti che, se hai l’occhio giusto, ti fanno drizzare le antenne e ti obbligano a mettere in pausa l’entusiasmo da Silicon Valley.

Moratoria o morfina? Il tentativo Trumpiano di sedare l’AI con una legge che congela il futuro

Se volevate un esempio plastico del connubio perverso tra lobby, politica miope e Big Tech in cerca di deregulation, eccolo servito su piatto d’argento: un emendamento, sepolto nella finanziaria proposta da Donald Trump — il suo “big, beautiful bill” — che di fatto congela per dieci anni qualsiasi regolazione statale sull’intelligenza artificiale. Una mossa che ha più il sapore di una sabotaggio preventivo che di una visione strategica. Ma forse è proprio questo il punto: la strategia è uccidere il dibattito sul nascere, mentre si finge di attendere un’ipotetica, mai vista regolamentazione federale.

L’emendamento non si limita a fermare la corsa alla regolazione locale — la sola che negli ultimi anni abbia prodotto qualcosa di concreto — ma revoca retroattivamente anche quelle poche norme già esistenti. Uno stop totale, indeterminato e regressivo, imposto nel momento esatto in cui il settore AI accelera verso un’adozione massiva e incontrollata.

Quando Elon morde Trump: il reality techno-pop che incendia Washington

È successo di nuovo. Un altro episodio del più grande reality americano, una tragicommedia di potere, ego e tweet: Elon Musk e Donald Trump, due poli magnetici del narcisismo contemporaneo, si sono scontrati in pubblico come due CEO con troppo tempo libero e un’ossessione condivisa per l’attenzione. Il loro litigio ha avuto il sapore di un wrestling elettorale tra chi vuole dominare Marte e chi ancora pensa di poter ri-conquistare Manhattan. Il risultato? Più fumo che fuoco, ma anche un riflettore impietoso acceso sul rapporto torbido tra la Silicon Valley e la nuova – o meglio, rinnovata – MAGAcronica amministrazione trumpiana.

Trump blocca Harvard sugli studenti stranieri: paranoia nazionale o strategia elettorale?

Sembrava una battaglia culturale. È diventata un assalto istituzionale. In un proclama dai toni apocalittici – firmato con l’enfasi di chi ama più la guerra che la diplomazia – l’amministrazione Trump ha vietato formalmente all’Università di Harvard di accettare nuovi studenti internazionali. Non solo: ha ordinato una revisione delle attuali iscrizioni straniere con la minaccia concreta di revoca dei visti. Motivo? “Rischi per la sicurezza nazionale”. Ovviamente, c’è di mezzo la Cina. E il sospetto, sempreverde, che dietro ogni studente con un laptop si nasconda un agente del Partito Comunista.

Dominare l’intelligenza artificiale senza sicurezza: l’america secondo Trump

La notizia, se la si legge di fretta, pare una banale ristrutturazione burocratica: l’AI Safety Institute del Dipartimento del Commercio americano cambia nome e si trasforma nel Center for AI Standards and Innovation. Ma sotto questa vernice lessicale si cela una vera rivoluzione geopolitica mascherata da riforma amministrativa. Non è più questione di “sicurezza”, bensì di supremazia. E soprattutto: non è più una questione globale, ma eminentemente americana. “Dominanza sugli standard internazionali”, come ha dichiarato il Segretario al Commercio Howard Lutnick. Una frase che potrebbe uscire da un meeting di strategia militare più che da un piano di governance tecnologica.

Trump e i velociraptor al confine: quando il deepfake diventa politica reale

Benvenuti nel 2025, dove l’assurdo ha preso la residenza a tempo indeterminato e l’Intelligenza Artificiale è diventata la nuova ghostwriter dell’establishment. Eccoci dunque a parlare di Donald Trump, dinosauri geneticamente resuscitati, e confini militarizzati con velociraptor. No, non è la sinossi di un nuovo film di Adam McKay. È solo l’ultima frontiera della disinformazione plausibile, firmata Deepfake.

Trump, Musk e l’abominio della spesa: quando il tech sputa nel piatto del potere

Era tutto troppo bello per durare. Il bromance postmoderno tra Donald Trump ed Elon Musk una miscela tossica di testosterone, libertarismo fiscale e narcisismo performativo — ha cominciato a scricchiolare sotto il peso di una delle cose più antiche del mondo: i soldi. Ma non soldi qualsiasi. Parliamo del disegno di legge sulla spesa federale, un pachiderma legislativo definito da Musk come “disgustoso abominio”, con un vocabolario degno di un predicatore texano in un rave.

Cadono le teste: Trump silura il fedelissimo di Musk e Spacex trema

Come nei migliori romanzi di fantapolitica, ma senza bisogno di inventare nulla, la realtà si prende la scena con l’eleganza rozza del potere crudo. Donald Trump ha deciso di ritirare la nomina di Jared Isaacman alla guida della NASA. Un nome che ai più dirà poco, ma che per Elon Musk e il suo impero interplanetario valeva oro. Letteralmente. L’oro dei contratti spaziali, quelli che gonfiano i bilanci di SpaceX come booster al decollo. La motivazione ufficiale? Isaacman ha avuto la malaugurata trasparenza di donare in passato ai Democratici. Imperdonabile eresia per il Gran Sacerdote di Mar-a-Lago.

Bitcoin, AI e la Guerra Energetica: David Sacks sta costruendo l’Impero Tech di Trump

Las Vegas, 2025. Mentre fuori le slot continuano a mangiare sogni, dentro il Bitcoin 2025 Conference si costruisce un futuro che non lascia spazio a mezze misure: o sei dentro, o sei obsoleto. Sul palco, David Sacks, il nuovo “AI & Crypto Czar” della Casa Bianca trumpiana, non sta recitando. Sta dettando linea. E la linea è chiara: compra Bitcoin, distruggi i nemici, trivella tutto ciò che può produrre energia, e prepara il terreno per una simbiosi inedita tra intelligenza artificiale e moneta decentralizzata.

Chi pensava che l’amministrazione Trump 2.0 fosse una riedizione grottesca della prima, non ha ancora capito che stavolta c’è un piano. Un’agenda precisa. E un ex investitore di PayPal Mafia, diventato regista della più cinica riconversione tecnologica della politica americana.

Europa, Cina, Apple e l’ego digitale: la tariffa come arma, la trattativa come teatro

Il palcoscenico della politica commerciale globale si è trasformato ancora una volta in uno spettacolo ad alta tensione. Trump, da sempre più showman che statista nel senso classico, ha colpito ancora su Truth Social, quella sua arena personale dove il filtro istituzionale evapora come un tweet di Musk alle tre del mattino. Stavolta al centro della scena ci sono le trattative commerciali con l’Unione Europea, la Cina come spettatore interessato, e un’icona tech come Apple usata come leva simbolica e semantica. La parola d’ordine? Tariffe parola chiave principale. Intorno a lei orbitano “negoziati commerciali”, “Apple” e “Trump”, come satelliti in cerca di una nuova orbita geopolitica.

L’illusione del cacciavite: Trump, Apple e la farsa del “Made in USA”

La narrativa del “riportiamo il lavoro a casa” è una delle più redditizie in politica, specie se si ha bisogno di distrarre l’elettorato da guerre commerciali auto-inflitte, deficit fuori controllo e un PIL che si trascina con la grazia di un pachiderma zoppo. Ma quando il protagonista di questa farsa è Donald Trump, e l’obiettivo si chiama Apple – con tutti i suoi iPhone cuciti al millimetro in catene di montaggio asiatiche iper-ottimizzate – il risultato è più un esperimento di fantascienza industriale che una politica economica coerente. La keyword qui è reshoring, ma con sfumature grottesche.

rump minaccia di piazzare un bel 25% di tariffa su ogni iPhone venduto negli USA ma prodotto all’estero. Così, per par condicio, include pure Samsung e chiunque osi vendere smartphone senza ingrassarli prima di orgoglio a stelle e strisce. Il concetto: o fabbrichi qui, o paghi il dazio del patriottismo. Eppure, c’è un piccolo ostacolo: la realtà tecnica ed economica. Anzi, diciamola meglio: la realtà ha appena fatto un sorriso cinico e alzato il dito medio.

Trump, memecoin e l’illusione della rivoluzione finanziaria: la corsa al potere criptato

In un’epoca in cui la linea tra potere politico e interessi personali si assottiglia fino a scomparire, Donald Trump alza la posta: una cena a porte chiuse nel suo esclusivo golf club fuori Washington per centinaia dei più ricchi investitori del suo memecoin $TRUMP. Non un semplice evento sociale, ma una fusione senza precedenti tra il potere presidenziale e un affare privato che, come minimo, grida “corruzione” a gran voce. Il palcoscenico è la sua proprietà privata, il pubblico esclusivo, e la posta in gioco miliardi di dollari che si muovono dietro le quinte, senza trasparenza.

Non è il solito incontro di lobbyisti o donatori; qui il protagonista è un asset digitale lanciato a tre giorni dall’insediamento di Trump, una mossa che ha gonfiato il suo patrimonio personale di miliardi, mentre gli etici si strappano i capelli. La sua promessa su Truth Social di mantenere l’America “dominante” nelle criptovalute suona più come un manifesto di potere che un impegno politico. Il tutto condito da una scenografia studiata: il leggendario sigillo presidenziale sulla lectern, nonostante la stampa fosse esclusa, e un manipolo di manifestanti sotto la pioggia a protestare contro “la corruzione crypto” e “i re senza corona”.

L’intelligenza artificiale senza freni e il grande ritorno del muro: benvenuti nell’era del “One Big Beautiful Bill”

L’America ha appena partorito il suo mostro legislativo più distopico, ed è così orgogliosa da metterci un nome da spot pubblicitario anni ‘90: “One Big Beautiful Bill”. Bello? Forse per chi lo ha scritto, votato e sponsorizzato con un sorrisetto di plastica da fondo schiena. Per il resto del paese e per chi guarda da fuori è un colpo di grazia alla sovranità digitale, alla tutela ambientale, ai diritti civili e al buon senso.

Alla Camera, i Repubblicani l’hanno approvato con una maggioranza risicata e l’appoggio inequivocabile del solito fantasma di Mar-a-Lago. Ora tocca al Senato. Ma già si annusa la tensione fra i falchi conservatori che, a tratti, sembrano ancora ricordarsi cos’è il federalismo.

Trump firma il Take It Down Act: censura vestita da crociata morale

C’è una cosa che Trump sa fare meglio di molti altri: trasformare l’indignazione morale in una clava politica. E il Take It Down Act, appena firmato con grande fanfara presidenziale, è l’ennesimo esempio. Una legge che, sulla carta, promette di proteggere le vittime di immagini intime non consensuali (NCII), comprese quelle generate da intelligenza artificiale, ma che in pratica apre le porte a una nuova stagione di censura discrezionale e abusi normativi. Il tutto condito dall’ormai familiare retorica trumpiana del “sono io la vera vittima di internet”.

Silicon Dune e la Trinità del Triliardo: l’Intelligenza Artificiale vende l’anima a Riyadh

Nel deserto saudita, dove un tempo si cercava l’acqua, oggi si trivella per qualcosa di molto più volatile: l’influenza tecnologica globale. E questa volta, non sono solo i soliti emiri a muovere il gioco, ma un tavolo imbandito con carne pesante: Amazon, OpenAI, NVIDIA, BlackRock e SpaceX. Tutti con i jet parcheggiati a Riyadh, stretti intorno a un Mohammed bin Salman che recita il ruolo di anfitrione post-petrolifero, mentre Donald Trump — l’uomo che vende i sogni come se fossero condomini a Las Vegas — rilancia con un piano da One Trillion Dollar Baby.

Trump e l’Emiro del silicio: l’AI campus da 5GW che ridisegna la geopolitica tecnologica

Abu Dhabi, maggio 2025. Donald Trump, in una delle sue più teatrali apparizioni internazionali, ha inaugurato insieme al presidente degli Emirati Arabi Uniti, Sheikh Mohamed bin Zayed Al Nahyan, il più grande campus di intelligenza artificiale fuori dagli Stati Uniti: un colosso da 5 gigawatt di potenza computazionale, destinato a diventare il cuore pulsante dell’AI globale.

Dietro le foto ufficiali e le strette di mano, si cela una strategia precisa: posizionare gli Emirati come snodo centrale tra Occidente e Sud Globale, offrendo potenza di calcolo a bassa latenza a quasi metà della popolazione mondiale. Il campus, costruito da G42 e gestito in collaborazione con aziende americane, sarà alimentato da fonti nucleari, solari e a gas, con l’obiettivo di minimizzare le emissioni di carbonio.

Trump firma maxi-deal da 200 miliardi con gli Emirati: Boeing, GE, Exxon, Amazon e compagnia cantando

Se pensavi che le visite presidenziali servissero a scattare selfie diplomatici e stringere mani sudate sotto il sole del deserto, beh, ti sbagliavi di grosso. Donald Trump — sempre lui, l’inevitabile imprenditore travestito da presidente — ha appena fatto esplodere una pioggia d’oro tra Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti per un totale di oltre 200 miliardi di dollari, lanciando una chiara provocazione a chi pensava che l’America stesse perdendo terreno nel gioco geopolitico globale. E no, non è solo una “photo op”. Qui ci sono motori, aerei, trivelle, data center e gallio. Tanto gallio.

Il cuore pulsante dell’accordo è un investimento da 14,5 miliardi di dollari tra Boeing, GE Aerospace e Etihad Airways, per la fornitura di 28 aerei tra 787 Dreamliner e il nuovo 777X, con motori rigorosamente made in GE. Non è solo una bella notizia per gli appassionati di aviazione, è un’iniezione diretta nell’economia manifatturiera americana, una sorta di pacemaker industriale travestito da ordine commerciale. Il messaggio è chiaro: il cielo del Golfo è blu, ma i profitti sono a stelle e strisce.

Il potere dell’intelligenza artificiale nell’agenda di Donald Trump: l’influenza dei colossi tecnologici

Se ancora qualcuno si sta chiedendo quale ruolo giochi l’intelligenza artificiale nell’agenda di Donald Trump, basta guardare la sua squadra per avere un’idea chiarissima di come la tecnologia e le grandi aziende si stiano facendo strada nel cuore della politica. La delegazione che ha incontrato il Principe Ereditario saudita Mohammed bin Salman ci dà una cartina tornasole perfetta. Tra i nomi che saltano subito agli occhi, spiccano quelli legati a colossi della tecnologia e della finanza, quelli che in un mondo ideale dovrebbero stare ben lontani dai palazzi del potere. Ma come ben sappiamo, l’idealismo è un lusso che pochi si possono permettere.

Chi siete? cosa portate? Ma quanti siete? Un fiorino! Il gioco dei dazi: una tregua di 90 giorni tra Stati Uniti e Cina, ma a quale prezzo?

L’accordo siglato lunedì tra Stati Uniti e Cina per sospendere la maggior parte dei dazi doganali reciproci per un periodo di 90 giorni ha suscitato una serie di reazioni, tra cui un sensibile rialzo dei mercati azionari. Il motivo di questo entusiasmo è chiaro: la speranza che l’allentamento delle tensioni commerciali tra le due potenze mondiali possa finalmente disinnescare una guerra commerciale che sembra non finire mai. Ma come spesso accade nelle trattative internazionali, dietro le promesse di una tregua ci sono sempre i soliti interrogativi. Vale la pena credere che questo accordo sia solo il primo passo verso una distensione reale, o si tratta di una mossa strategica per guadagnare tempo mentre entrambe le nazioni continuano a tessere le loro strategie sullo scacchiere globale?

Nvidia applaude la revoca delle restrizioni AI di Trump: opportunità o illusione?

Nvidia ha accolto con entusiasmo la decisione dell’amministrazione Trump di revocare la controversa “AI Diffusion Rule”, una normativa introdotta sotto l’amministrazione Biden che avrebbe limitato l’esportazione globale di chip AI avanzati. La mossa è stata salutata come una “opportunità irripetibile” per guidare la prossima rivoluzione industriale e creare posti di lavoro ben remunerati negli Stati Uniti .

Trump Papa: l’intelligenza artificiale incorona il re della provocazione

Donald Trump è tornato a far parlare di sé e stavolta con un’aura papale. Martedì, interrogato su chi vorrebbe vedere come prossimo pontefice, l’ex presidente ha risposto con la solita faccia tosta: «Mi piacerebbe essere papa. Sarebbe la mia prima scelta». Ma la boutade non è rimasta confinata al teatrino dei giornalisti. Sabato ha alzato il tiro, pubblicando un’immagine – evidentemente generata con l’intelligenza artificiale – che lo ritrae come sommo pontefice in pompa magna: bianco piviale, croce al collo e dito alzato in gesto benedicente o ammonitore, a seconda dell’interpretazione.

Trump stablecoin: la geopolitica tokenizzata tra figli di papà, sovranisti arabi e rendite passive da 80 milioni

Che la criptosfera sia un circo non è più notizia. Ma quando il figlio dell’ex presidente più controverso d’America si siede su un palco a Dubai con il rampollo di un plenipotenziario mediorientale, e da lì annunciano che un sovereign wealth fund ha pagato Binance con una stablecoin brandizzata Trump, allora siamo di fronte a qualcosa che non è solo teatrale, è strategico. E parecchio, parecchio redditizio.

Nel giro di tre giorni, la capitalizzazione del cosiddetto USD1 la stablecoin lanciata da World Liberty Financial, cripto-startup con DNA trumpiano è schizzata da 130 milioni a 2,1 miliardi di dollari. Boom. Un’esplosione da far invidia anche a Tether nei suoi giorni migliori. Il detonatore? L’investimento del fondo sovrano MGX di Abu Dhabi in Binance, regolato proprio in USD1. Il dettaglio della stablecoin usata non era stato specificato a marzo, quando Binance aveva confermato l’affare. Ma ora il sipario è caduto: è la moneta di Trump. E il pubblico, cioè il mercato, ha applaudito con miliardi.

Microsoft bastona i nerd: rincari xbox fino al 45% per colpa dei dazi Trumpian

Siamo nel 2025, ma sembra di vivere in un eterno loop distopico tra guerre commerciali, rincari a raffica e multinazionali che fingono di restare sorprese da un mondo che loro stesse contribuiscono a modellare. Microsoft ha appena annunciato una mazzata colossale per tutti i gamer e tech enthusiast: rincari fino al 45% su Xbox, controller, cuffie e persino giochi. Il tutto, ovviamente, “per via delle condizioni di mercato e dell’aumento dei costi di sviluppo”. Tradotto: colpa dei dazi imposti anni fa da Donald Trump, ancora oggi come un fantasma fiscale che infesta l’industria tecnologica.

Il prezzo della Xbox Series X, già non propriamente a buon mercato, sale di 100 dollari, raggiungendo la modica cifra di 599,99 dollari. Per chi pensava di cavarsela con la più economica Series S, la sorpresa è un bel +80 dollari, per un nuovo totale di 379,99 dollari. E non è finita: i controller e le cuffie – quei piccoli accessori di cui non puoi fare a meno – subiscono un’impennata fino al 45%, partendo da 65 dollari. È come se Microsoft avesse deciso di trasformare ogni singola componente in un piccolo lusso da collezionisti.

Disparate Impact L’Ultimo decreto esecutivo di Trump: un cambiamento epocale per la discriminazione nel mercato del lavoro, nell’educazione e nell’AI

Il recente decreto esecutivo dell’amministrazione Trump, volto a “ripristinare l’uguaglianza delle opportunità e la meritocrazia,” ha preso di mira in modo silenzioso uno degli strumenti anti-discriminazione più cruciali della legge americana, specialmente nei settori dell’occupazione, dell’educazione, dei prestiti e persino dell’intelligenza artificiale (IA). Le implicazioni di questa mossa potrebbero richiedere anni per essere completamente comprese, ma le conseguenze saranno profonde, soprattutto per le comunità più vulnerabili della società. Questo cambiamento politico potrebbe alterare significativamente il modo in cui vengono gestiti i casi di discriminazione, rendendo più difficile per avvocati e difensori dei diritti civili provare i pregiudizi sistemici nelle industrie in cui persistono. Sebbene l’ordine venga minimizzato da alcuni, il suo potenziale di impatto su milioni di americani è sostanziale e non dovrebbe essere sottovalutato.

Effective Accelerationism, e/acc e Stato profondo: come DARPA, NSA e Pentagono usano la Silicon Valley per dominare il futuro

C’era una volta, in quella fiaba aziendalista chiamata Silicon Valley, una generazione di tecnologi illuminati che giuravano fedeltà al “lungotermismo”, quella nobile idea secondo cui l’umanità dovrebbe pensare in grande, guardare ai secoli futuri e proteggersi dai famigerati “rischi esistenziali” dell’intelligenza artificiale.

Sembrava quasi che ogni startupper con un conto miliardario si considerasse un custode della civiltà, intento a garantire che i robot non sterminassero i loro stessi creatori mentre sorseggiavano un matcha latte.

Anatomia dei primi 100 giorni di Trump: Groenlandia, dazi e autoritarismo

Nel suo ritorno alla Casa Bianca, Donald Trump ha rilanciato l’idea di un nuovo “Liberation Day”, una giornata simbolica per affrancare aziende e consumatori americani da quelli che definisce “trattamenti ingiusti” dei partner commerciali. Dietro la retorica nazionalista, però, si cela una strategia politica ed economica che rischia di riscrivere gli equilibri mondiali. Con una politica economica fondata su dazi aggressivi e una politica estera che strizza l’occhio all’espansionismo — dalle pretese sulla Groenlandia al controllo del Canale di Panama — Trump apre la strada a una nuova stagione di autoritarismo. Una stagione che potrebbe ispirare leader come Vladimir Putin in Ucraina, Xi Jinping su Taiwan e Benjamin Netanyahu in Medio Oriente, alimentando una destabilizzazione globale senza precedenti.

Bye Bye Cina? Welcome India Apple cambia pelle e riscrive la geopolitica del tech

Nel mondo dei colossi, dove ogni movimento strategico ha il peso di un’onda sismica, Apple sta tracciando una nuova rotta: addio (quasi) definitivo alla Cina come fabbrica globale degli iPhone destinati al mercato statunitense. Secondo il Financial Times, la Mela di Cupertino ha intenzione di spostare tutta la produzione degli iPhone venduti negli USA in India entro il 2026, con una prima milestone già nel 2025. Tradotto: oltre 60 milioni di pezzi l’anno, made in Bharat. Il tutto in risposta al deterioramento delle relazioni commerciali tra Washington e Pechino, in un gioco di tariffe, esenzioni temporanee e tensioni da guerra fredda versione 5G.

La mossa di Apple è figlia diretta del rischio di una tariffa del 125% sui prodotti cinesi ventilata da Donald Trump, oggi redivivo sul palcoscenico politico americano. Una misura che avrebbe reso l’importazione di iPhone prodotti in Cina un suicidio economico. Per ora, i telefoni cinesi sono colpiti da un dazio separato del 20%, mentre quelli fabbricati in India godono di una tariffa dimezzata, al 10%, fino a luglio. E se l’accordo commerciale con Nuova Delhi andrà in porto, il vantaggio fiscale potrebbe diventare permanente.

Trump e l’economia del disincanto: la luna di miele è finita, il conto arriva ora

La narrativa trionfale che ha accompagnato la rielezione di Donald Trump si sta sbriciolando sotto il peso delle aspettative mancate. L’ultimo sondaggio economico nazionale CNBC All-America fotografa un Paese più cupo, deluso e (cosa ancora più letale in politica) impaziente. Il consenso economico nei confronti del presidente ha toccato i livelli più bassi del suo secondo mandato, segnando un’inversione di rotta drammatica rispetto all’impennata di ottimismo che aveva accompagnato la sua riconferma. Con un approvazione economica al 43% e un netto 55% di disapprovazione, Trump entra ufficialmente nella zona rossa della fiducia pubblica, per la prima volta anche sul tema economico, da sempre il suo cavallo di battaglia.

Il dato più preoccupante per la Casa Bianca non è tanto la resistenza della base repubblicana, che regge, quanto la frattura profonda con gli indipendenti e l’ostilità feroce dei democratici. Tra questi ultimi, la disapprovazione netta sulle politiche economiche di Trump ha raggiunto il -90, un abisso politico mai visto nemmeno durante il primo mandato. E anche tra i lavoratori blue collar, una delle colonne portanti del trionfo trumpiano del 2024, il supporto mostra crepe evidenti: sì, ancora positivi nel complesso, ma con una crescita di 14 punti nei tassi di disapprovazione rispetto alla media del primo mandato. Il tempo della gratitudine è finito, ora si pretende il dividendo.

Giorgia Meloni respinge la scelta “infantile” tra Trump e l’Europa, la strategia di Trump per un accordo commerciale con l’Europa

Nel cuore della politica commerciale internazionale, Donald Trump ha rilasciato dichiarazioni che hanno suscitato l’attenzione di analisti e diplomatici. Durante un incontro con la Premier italiana Giorgia Meloni alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti ha affermato che ci sarebbe stato un “accordo commerciale al 100%” con l’Unione Europea. Questa dichiarazione, inaspettata rispetto alla retorica che Trump ha usato in passato contro l’Europa, ha sollevato interrogativi sulla sua strategia e sulle reali intenzioni dietro la minaccia di tariffe su acciaio, alluminio e auto. Un’affermazione che sembra essere il preludio a negoziati che potrebbero segnare una svolta nelle relazioni transatlantiche.

L’incontro tra Trump e Meloni non è solo un semplice scambio di battute politiche. Meloni, che ha costruito un rapporto di fiducia con il presidente americano, si trova nella difficile posizione di mediare tra gli interessi degli Stati Uniti e quelli dell’Unione Europea. La sua presenza a Washington aveva l’obiettivo di evitare l’escalation della guerra commerciale con l’Europa, in particolare cercando di evitare l’aumento delle tariffe imposte da Trump. Nonostante la retorica aggressiva, Trump ha parlato con un certo ottimismo: “Ci sarà un accordo commerciale, al 100%”, ha detto, indicando una volontà di raggiungere un’intesa con l’Europa, ma a condizioni che siano favorevoli agli Stati Uniti.

Trump valuta da mesi la rimozione di Powell: una mossa che potrebbe far crollare i mercati, secondo Warren

Donald Trump, nell’ombra e senza fanfare, starebbe da mesi vagliando l’idea di far fuori Jerome Powell, l’attuale presidente della Federal Reserve. Nessuna dichiarazione ufficiale, solo il classico gioco di sussurri e voci filtrate da ambienti “vicini ai fatti” la liturgia consolidata del potere quando vuole testare la temperatura dell’acqua senza sporcarsi le mani. Ma la temperatura, stavolta, rischia di bollire tutto.

L’ex presidente, che già in passato ha più volte criticato Powell per la sua gestione dei tassi d’interesse, ora sembra pronto ad affondare il colpo qualora tornasse alla Casa Bianca nel 2025. La sua antipatia nei confronti del numero uno della Fed non è una novità. Trump voleva tassi a zero, o meglio negativi, in pieno stile giapponese-decadente. Powell, invece, ha resistito – almeno quanto ha potuto –alla tentazione di trasformare la politica monetaria americana in un casino di Las Vegas. E questo, a Trump, non è mai andato giù.

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