Google ha appena lanciato il suo nuovo piano “AI Ultra”, una sottospecie di abbonamento d’élite alla sua AI Gemini 2.5 Pro con un prezzo che suona più come una minaccia che come una proposta: 249,99 dollari al mese. Una cifra che fa sembrare le bollette della luce un hobby. Ma tranquilli, c’è anche il contentino: uno sconto per i primi abbonati. Come dire: la prima dose è gratis, poi paghi caro.

Questo nuovo pacchetto non è solo un servizio. È un messaggio. Un’affermazione di potere. Di esclusività. Di un futuro dove l’accesso all’AI non sarà solo una questione di tecnologia, ma di classe sociale. “AI Ultra” suona come un club privato con la portinaia in tailleur e il caffè servito in porcellana.

Dentro il pacchetto troviamo le solite promesse siliconate: Deep Think, il nuovo “enhanced reasoning mode” pensato per risolvere problemi complessi di matematica e codice. In teoria. Perché, come sa chiunque abbia provato a far calcolare a un LLM il delta di un’opzione o un ciclo binario ottimizzato, spesso è più veloce chiedere a un laureando stanco. Ma Deep Think è il badge dorato: ti fa sentire che il tuo prompt è più intelligente degli altri.

A quanto pare, chi paga ha anche l’onore di accedere in anteprima all’integrazione di Gemini direttamente dentro Chrome. Ora il tuo browser non solo ti spia, ma ti aiuta a fare i compiti. L’AI diventa un’estensione della tua mente… o almeno delle tue email. Puoi riassumere articoli, generare risposte, completare task – tutto in tempo reale. È come avere un assistente personale, solo che non puoi licenziarlo con una mail passivo-aggressiva.

Nel pacchetto ci infiliamo anche NotebookLM, Whisk (l’app AI per le ricette, perché no?), e il nuovo Flow, uno strumento per la generazione video via AI. Vuoi creare un filmato con un drago che balla il tip tap sul Golden Gate? Ora puoi. Il pubblico TikTok ringrazia.

Ma la vera chicca si chiama Project Mariner. Un nome che sembra rubato a una missione NASA del 1971, ma che in realtà è un prototipo che promette multitasking su steroidi: fino a 10 compiti simultanei automatizzati. Cerca info, prenota ristoranti, compra regali, organizza viaggi. In pratica, un concierge digitale con burnout garantito.

Ah, e se tutto ciò non ti sembra abbastanza, nel piano c’è anche un abbonamento individuale a YouTube Premium (per non dover vedere la pubblicità dei cerotti anti russamento) e fino a 30 TB di storage su Google Drive, Gmail e Photos. Trenta tera. Più di quanto servirebbe a uno studio cinematografico indipendente. Ma, hey, magari vuoi archiviare ogni singolo frame del tuo gatto che dorme dal 2013 a oggi.

Il messaggio è chiaro: l’intelligenza artificiale è diventata un bene di lusso. Altro che democratizzazione dell’accesso alla conoscenza. Qui si va verso la stratificazione cognitiva. Chi può pagare ha il potere computazionale per prendere decisioni più velocemente, sviluppare software in giorni invece che settimane, sintetizzare dati, automatizzare interi flussi di lavoro. Gli altri? Gli altri usano la versione gratuita che si blocca a metà frase.

Nel frattempo, per chi si accontenta, il piano AI Pro da 19,99 dollari al mese si aggiorna anch’esso. Ora include anche Flow e Gemini in Chrome. Il piano poveri, insomma. Ma sempre meglio del limbo gratuito dove l’AI dimentica cosa stava dicendo se il prompt supera le tre righe.

Ora, fermiamoci un attimo. Proviamo a guardare oltre il cartellino del prezzo e i bonus digitali. Questa mossa di Google non è solo una manovra commerciale. È una ridefinizione del mercato del lavoro intellettuale. Se una singola persona con AI Ultra può automatizzare ricerche, sintesi, analisi e persino decision making… cosa succede a chi non può permettersela? La meritocrazia 3.0 passerà per la carta di credito.

La verità? La AI oggi è come il vino in bottiglia negli anni ‘30: o la fai in casa e ti accontenti, o la compri di marca e sfoggi la tua superiorità culturale. Solo che qui, il vino decide anche le strategie aziendali, scrive codice, crea contenuti e ti organizza la vacanza a Bali. E ogni goccia costa come una rata del mutuo.

Il bello è che, mentre noi discutiamo se vale la pena o meno investire in queste AI, loro ci studiano. Analizzano i nostri input, migliorano, si ottimizzano. Ogni prompt è un addestramento gratuito. Paghi per usare uno strumento che impara da te, per venderti versioni future ancora più intelligenti. È come se l’auto che guidi imparasse il tuo stile e poi lo rivendesse alla casa madre per ottimizzare il modello successivo.

Google non vende solo un prodotto. Vende una visione. Un mondo dove il potere computazionale è il nuovo capitale. E, come sempre, chi paga detta le regole. Chi no, guarda da fuori.