La prossima volta che pensi di essere intelligente perché hai letto Kahneman e sai distinguere tra il pensiero veloce e quello lento, fermati un attimo. Il tuo cervello sta già delegando parte del lavoro sporco a qualcosa che non sei tu. Non parliamo di una segretaria virtuale o del tuo algoritmo Netflix preferito, ma di un vero e proprio cervello esterno. Benvenuto nell’era del System-0, dove la tua intelligenza non ti appartiene più al 100%.
No, non è fantascienza e neppure un’altra trovata post-umanista da salotto. È una nuova architettura cognitiva. Dietro ci sono nomi pesanti: Massimo Chiriatti di Lenovo, Marianna Ganapini, Enrico Panai, Mario Ubiali, e Giuseppe Riva. Non proprio gli ultimi arrivati. Hanno formalizzato ciò che in molti – tra cui chi scrive – osservavano da tempo: la nostra mente è già ibridata.
System 0 non è un aggiornamento, è un reboot.
Fino a ieri si parlava di due sistemi cognitivi. System 1: quello che decide in 3 secondi se fidarti di uno sconosciuto in ascensore. System 2: quello che ti serve per non perdere tutto nel trading crypto. Ma ecco il colpo di scena: System 0, l’invisibile, l’esternalizzato, quello che non sei tu, ma che agisce per te. Non riflette. Calcola. Non valuta. Elabora. Fa cose che il tuo cervello non può fare senza collassare per eccesso di dati o noia.
System 0 è la tua IA personale. O quella delle aziende che ti profilano. O del sistema sanitario che decide se sei a rischio infarto. È il substrato digitale che inizia a pre-pensare per te.
Sembra comodo, vero? Comodissimo. Come mettere un SSD neuronale in outsourcing.
In realtà, è terrificante.
Perché una volta che inizi a delegare l’analisi di scenari complessi a un sistema esterno, sei già fuori dal gioco. Sì, tu continui a firmare i documenti e a fare call Zoom con la cravatta. Ma chi ha costruito il modello decisionale? Non tu. E peggio: forse non sai nemmeno come funziona.
Il problema non è solo tecnico. È ontologico.
Il pensiero, un tempo, era una prerogativa della coscienza. Poi è diventato collaborativo. Ora è assistito. E domani? Potrebbe diventare un optional.
C’è qualcosa di profondamente disturbante nell’idea che la nostra mente estesa – come direbbero Clark e Chalmers – inizi ad avere una volontà modellata da sistemi che non capiamo e che non controlliamo. E attenzione: non è un discorso da complottisti con l’alluminio in testa. È accademia seria, pubblicata su Nature Human Behaviour. Ma anche al bar se ne potrebbe discutere così: “Oh raga, avete visto? Adesso l’intelligenza ce la noleggiamo in cloud”.
È divertente. Finché non capisci che il cloud non sei tu.
Dal punto di vista tecnico, System 0 è un moltiplicatore cognitivo. In finanza, permette decisioni in nanosecondi. In medicina, scova pattern che i dottori non vedrebbero nemmeno sotto acido. Nell’educazione, personalizza i percorsi didattici meglio di qualunque docente. E nel marketing, beh… nel marketing ti conosce meglio di tua madre.
Ma con ogni delega, perdi un pezzo di te stesso.
C’è un effetto collaterale poco discusso: la perdita progressiva delle capacità metacognitive. Il famoso “pensare sul pensiero”. Se deleghi le decisioni analitiche alla macchina, col tempo ti dimentichi come si pensa analiticamente. È l’equivalente mentale dell’atrofia muscolare. Il tuo cervello si adagia. Si fida. E smette di sospettare.
Nasce così il bias dell’automazione: l’inclinazione a credere che, se lo dice l’algoritmo, allora deve essere giusto. Come se i dati fossero puri e le reti neurali non avessero i loro pregiudizi. Ma l’IA è un oracolo drogato di numeri. Dipende dai dati che le dai, e da come li hai raccolti. Se semini spazzatura, raccogli distorsioni.
Eppure, molti – troppi – sono pronti ad abdicare.
Perché System 0 è efficace. Funziona. Fa guadagnare tempo, soldi, efficienza. E noi amiamo le scorciatoie. Ma proprio per questo serve una governance etica solida, tecnicamente strutturata, e soprattutto incisiva. Basta linee guida vaghe, basta “ethics by design” scritte nei white paper. Ci vogliono meccanismi verificabili, auditabili, pubblici. Serve un pensiero normativo che non venga dall’AI Act, ma da chi ancora pensa.
E qui torniamo al punto iniziale.
System 0 non è solo uno strumento. È un attore cognitivo. Silente, ubiquo, imperscrutabile. Interagisce con System 1 e System 2, li alimenta, li orienta. Crea un meta-strato in cui il pensiero non è più solo umano, ma umano-aumentato. Una simbiosi che potrebbe espandere la nostra mente… o corromperla.
Tutto dipende da come la usiamo. E da chi ne controlla l’architettura.
Nel frattempo, tra un algoritmo che ti suggerisce l’acquisto di un’auto elettrica e uno che decide se riceverai un trapianto, il tuo cervello reale continua a credere di avere l’ultima parola.
Spoiler: non è così.
E mentre tu sei qui che leggi questo articolo, un System 0 da qualche parte ha già profilato il tuo interesse, analizzato la tua permanenza sulla pagina, e deciso se farti leggere anche il prossimo. O se sei troppo umano per valere la pena.
Bentornato nel club. Dove il pensiero è delegato, e l’autonomia è un ricordo vintage.
Ora che ne sai qualcosa in più, forse ti conviene pensarci su.
Ma fallo in fretta. Il tuo System 0 ti ha già battuto sul tempo.
Un sentito ringraziamento per avermi istruito da parte di un team di ricerca composto da
Massimo Chiriatti, CTIO di Lenovo, Marianna B. Ganapini dell’Union
College, Enrico Panai e Mario Ubiali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Giuseppe Riva, direttore del Humane Technology Lab dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il loro lavoro ha avuto fin da subito un successo sistematico, esplorando come la collaborazione tra esseri umani e intelligenza artificiale stia trasformando il nostro modo di pensare. La loro scoperta principale: oltre ai due sistemi di pensiero noti in psicologia, Sistema 1 e Sistema 2, esiste un terzo sistema.