Volvo non vuole più solo costruire auto. Vuole costruire coscienze su ruote. E grazie a Google, ci sta riuscendo. Alla faccia delle dichiarazioni da salotto sulle “partnership strategiche”, qui siamo davanti a qualcosa di molto più crudo: una colonizzazione silenziosa della plancia di comando da parte dell’intelligenza artificiale. E Gemini, il nuovo chatbot AI di Google, è il cavallo di Troia. Elegantissimo, funzionale, ma pur sempre un cavallo di Troia.
Già da anni Volvo si è inginocchiata al tempio di Mountain View, adottando Android Automotive nativo come sistema operativo nei suoi veicoli. Ma oggi rilancia: vuole Gemini direttamente installato a bordo. Niente più comandi vocali robotici tipo “naviga verso via tal dei tali”. Ora il guidatore potrà parlare alla propria macchina come se fosse un passeggero un po’ saputello ma sorprendentemente utile.
Gemini ti traduce frasi al volo, ti suggerisce il ristorante con parcheggio libero, ti spiega cosa significa quella spia arancione maledetta sul cruscotto. In pratica, smette di essere un assistente vocale e diventa un copilota, uno che non si addormenta mai e che conosce meglio di te il libretto di istruzioni della tua auto. Dicono che serva a ridurre il “carico cognitivo”. Traduzione: ti evita figuracce mentre cerchi di capire come si accende il tergicristallo posteriore durante un acquazzone.
Ma qui c’è qualcosa di più profondo, più algoritmico. Perché Volvo diventa ora una “reference hardware platform” per Google. Tradotto dal marketese: un banco di prova privilegiato per la prossima generazione di tecnologie automotive. Significa che i modelli Volvo riceveranno prima di tutti gli altri le nuove funzionalità sviluppate da Big G. Non solo mappe HD o YouTube integrato, ma API avanzate per l’interazione vocale, microservizi intelligenti per la manutenzione predittiva e molto altro. In pratica, la tua auto sarà una beta permanente. Un laboratorio su ruote.
Il quadro che emerge è affascinante e inquietante insieme. Con Gemini, l’auto non è più solo un terminale mobile, ma un nodo pienamente integrato nell’ecosistema Google. E questo, da un punto di vista tecnologico, è il vero jackpot. Non si tratta più di “mirrorare” il telefono via Android Auto. Qui si parla di una fusione organica tra software e hardware, dove l’AI non è più un add-on, ma il cuore pulsante del sistema.
C’è un elemento che Google sottolinea con particolare orgoglio: l’integrazione tra Gemini e le app di navigazione. Si potrà avviare un percorso, visualizzare risultati contestuali e persino segnalare incidenti stradali, tutto usando una lingua naturale. “Hey Gemini, c’è traffico sulla tangenziale?” Non solo lo capisce, ma ti propone alternative, ti suggerisce di partire tra 10 minuti e ti racconta pure le recensioni del bar all’uscita successiva. E se nel frattempo ti stai chiedendo se hai chiuso il portabagagli, Gemini ti risponde prima ancora che tu abbia articolato la domanda.
Da barista tecnologico, ti direi: ecco finalmente l’auto che non solo ti ascolta, ma ti capisce. Ma c’è un però, e non è piccolo. Ogni volta che parli con Gemini, parli anche con Google. E tutto quello che dici, chiedi, scegli o sbagli, entra in quel gigantesco meccanismo di addestramento neurale che alimenta la prossima versione di Gemini. I tuoi dubbi sul significato di “limp mode” diventano dati. I tuoi tentativi disperati di impostare la temperatura separata per i sedili posteriori diventano pattern.
La questione, però, non è se ci stiamo vendendo a Google. Lo abbiamo fatto da tempo. La vera questione è quanto controllo siamo disposti a delegare a un assistente virtuale che sa più cose su di noi di quante ne sa la nostra compagna o compagno. E no, non sto esagerando. Un copilota che conosce le tue abitudini, la tua agenda, il tuo tono di voce sotto stress, e che aggiorna i suoi modelli ogni giorno… è molto più che uno strumento. È un’intelligenza in coabitazione.
Volvo, da parte sua, recita il mantra del progresso con voce tranquilla. “Stiamo collaborando con Google su soluzioni all’avanguardia che modellano il futuro delle auto connesse”. Certo. Ma quello che stanno davvero dicendo è che stanno lasciando che il software diventi il brand dominante a bordo. Il marchio sul volante conta sempre meno. Quello che conta è l’ecosistema digitale che avvolge l’esperienza utente.
Nel mondo dell’AI applicata all’auto, la partita è chiara: chi controlla il linguaggio, controlla l’esperienza. E Gemini, con la sua capacità di comprensione semantica e contestuale, gioca in un altro campionato rispetto a Google Assistant, Siri e compagnia cantando. È come passare da un commesso IKEA a un maggiordomo con laurea in informatica e psicologia comportamentale.
In questa danza tra motore termico (o elettrico) e reti neurali, Volvo ha deciso di guidare. O meglio, di farsi guidare. E noi? Siamo ancora convinti che stiamo guidando l’evoluzione tecnologica? O siamo semplicemente passeggeri in un esperimento controllato da modelli predittivi?
Chi lo sa. Intanto, preparati: presto, chiedere indicazioni stradali potrebbe portare a una conversazione filosofica con la tua plancia comandi. E forse, finalmente, avrai un copilota che non sbaglia l’uscita della tangenziale. Anche se poi la colpa, ovviamente, sarà sempre tua.