In un’epoca in cui l’IA sembra più impegnata a generare contenuti virali che a capire cosa diavolo sta dicendo davvero, arriva Babelscape. Una di quelle iniziative che, in apparenza, sembrano solo accademia travestita da etica, ma che guarda caso tocca un nervo scoperto: il linguaggio, ovvero la materia prima di ogni modello linguistico generativo che si rispetti. Ma attenzione, qui non si tratta di dizionarietti politically correct: si parla di mappare i rischi semantici su scala globale, in 28 lingue. E sì, con la consapevolezza cinica che ogni parola può essere una bomba culturale se messa nel contesto sbagliato.
La keyword che ci guida è “linguaggio sensibile”. E le sue sorelle semantiche? “bias culturale” e “inclusività algoritmica”. Mettiamole bene in evidenza, perché è qui che si gioca la partita vera: non più solo addestrare l’IA a non dire scemenze, ma a non offendere, escludere, discriminare — anche quando lo fa senza saperlo.
Il dataset è il cuore pulsante di questo progetto, e qui la cosa si fa interessante. Oltre 360.000 lemmi “sensibili” e più di 460.000 sensi taggati. Non stiamo parlando di un filtro famiglia 2.0, ma di una vera e propria radiografia semantica della lingua mondiale, suddivisa per categorie: violenza, sessualità, insulti, contesti militari, codici culturali e via discorrendo. Un dizionario del non-detto, ma che l’IA deve imparare a riconoscere prima di sputarlo fuori come fosse una banalità neutra.
Le percentuali non mentono, anche se dietro ognuna c’è una valanga di variabili: 34% dei termini ruotano attorno alla violenza, 23% a contesti militari, 16% toccano nervi culturali, e il 13% si muovono tra le pieghe del linguaggio sessuale. Ma la parte più gustosa? L’enorme eterogeneità linguistica. L’inglese domina (ovvio), ma non è più l’unica voce nell’etere digitale. Il cinese e il giapponese portano con sé codici culturali che sfuggono a chiunque sia cresciuto a sitcom americane. Il coreano fa capolino, ricordandoci che l’Asia non è una parentesi esotica, ma un attore centrale nell’ecosistema dell’AI.
Ora, mettiamo i piedi nel fango della realtà: chi costruisce IA oggi lo fa con modelli che ingurgitano tutto ciò che il web ha da offrire, e poi lo rigurgitano senza filtro, senza senso, senza sapere dove si trovano. Pensano di essere neutri, perché addestrati con “big data”. Ma chiunque mastichi NLP sa che non esiste linguaggio neutro. Esiste solo la percezione del neutro da parte di chi detiene il potere linguistico dominante. Ecco perché Babelscape, pur nella sua apparente freddezza analitica, è in realtà un’arma etica travestita da tool.
Lo scopo, sia chiaro, non è quello di rendere l’IA “educata” come un presentatore RAI anni ’90. È creare un sistema che sappia quando sta per infilarsi in un campo minato culturale. Un’IA capace di autocensura intelligente. Non per ipocrisia, ma per rispetto. O meglio, per non inimicarsi metà del pianeta con una battuta automatica fuori posto.
Citazione a effetto per i cultori della retorica digitale?
«Il linguaggio è la più potente delle droghe» – Rudyard Kipling.
E quando lo dai in pasto a un modello statistico, può diventare una droga sintetica, imprevedibile, e spesso letale.
Babelscape è il metadone di questa dipendenza: un tentativo — ancora embrionale, ma robusto — di rendere l’IA culturalmente sobria. E ci voleva. Perché il prossimo scandalo AI non arriverà da un hallucination numerica, ma da un fraintendimento linguistico tra etnie, religioni o sensibilità divergenti.
Il paradosso? Più l’IA diventa globale, più ha bisogno di diventare localmente sensibile. Non basta tradurre. Bisogna capire cosa non si può dire in un dato contesto. E questa, cari miei, non è solo semantica computazionale. È geopolitica del linguaggio.
Babelscape ha già dimostrato che un approccio proattivo è possibile. Adesso tocca ai big player smettere di giocare al “noi addestriamo il modello, poi se succede qualcosa è colpa dell’utente”. Non regge più. Non dopo 460.000 sensi esplosivi schedati con precisione chirurgica.
Per chi sviluppa AI generativa, Babelscape è una miniera d’oro. Per chi fa compliance, un salvagente legale. Per chi fa marketing globale, una check-list etica. Per chi scrive prompt (magari pensando di essere furbo), un avvertimento: occhio a come parli. L’algoritmo ti ascolta. E ora capisce anche in che lingua stai sbagliando.
Ah, dimenticavo: se tutto questo ti sembra eccessivo, ricordati che siamo a un passo da IA che scrivono costituzioni, sentenze e confessioni religiose. Forse, un po’ di babelscape nel loro training non è poi così fuori luogo.