Apple non innova. Lucida. E alla WWDC 2025, con un sorriso californiano e l’aria di chi ha appena riscoperto il fuoco, lo farà di nuovo. Solo che stavolta lo chiamerà Solarium. Non è solo un nome in codice è un manifesto estetico, un esercizio zen di trasparenza, vetro smerigliato e minimalismo ipnotico. La nuova interfaccia arriverà ovunque: iOS 19, iPadOS 19, macOS 16, watchOS, tvOS. Pure VisionOS, per non farlo sentire escluso nel suo mondo aumentato.
La parola chiave qui è: ristrutturazione. Apple sta smantellando le impalcature concettuali del suo ecosistema per costruire un unico tempio UX, illuminato da una luce digitale diffusa e controllata. Ma attenzione: come in ogni buona ristrutturazione, il costo lo paga l’utente. Non in dollari, ma in abitudini, workflow, apprendimento forzato. Tutto questo per far sembrare “nuovo” ciò che in realtà è solo più trasparente.
Dietro il vetro smerigliato si cela l’ambizione più antica di Apple: il controllo totale dell’esperienza. Questa coerenza multipiattaforma non è solo un sogno estetico: è l’unico modo per incollare definitivamente l’utente all’interno del suo giardino recintato. Cambiano le icone (quelle adorabili “squircle”, quadrati arrotondati come marshmallow zen), fluttuano i pannelli UI come ninfee sopra un lago digitale, ma il messaggio è chiaro: “Siamo ovunque, e siamo tutto ciò di cui hai bisogno.”
La filosofia visiva di Solarium è derivata, ovviamente, dalla Vision Pro. Non poteva essere altrimenti. Il visore, fallito come prodotto di massa ma riuscito come manifesto ideologico, ha portato con sé la grammatica visiva dell’era spatial computing. E ora Apple fa il reverse engineering della sua stessa innovazione, trapiantandola nel mondo 2D dei dispositivi tradizionali. Il metaverso, per loro, non esiste: esiste l’aestheticosphere, quella bolla morbida di vetro e sole dove ogni click è meditazione.
Poi arriva lei, l’ospite d’onore della conferenza: Apple Intelligence. Nome sobrio, in tipico stile Apple. Nessuna esagerazione, niente “neural” o “mega” o “hyper”. Solo “intelligenza”, come se l’avessero inventata loro. E forse, nella loro bolla, è davvero così. Non sarà un chatbot da tastiera, ma un’integrazione sistemica: una rete di intelligenza generativa cucita dentro l’OS, nei menu, nelle scorciatoie, nei flussi di lavoro. La AI di Apple non parlerà: agirà. Invisibile, contestuale, chirurgica. E sempre, ovviamente, on-device, per rassicurare i devoti della privacy.
Ma qui arriva la parte più interessante. Non è tanto che Apple stia finalmente abbracciando l’intelligenza artificiale. È come lo fa. Niente LLM da 70 miliardi di parametri venduti come assistenti onniscienti. Piuttosto, micro-modelli specializzati, ottimizzati per fare cose, non per dire cose. Questo è un cambio di paradigma mascherato da aggiornamento di sistema.
Nel frattempo, iPadOS si libera, forse, dal suo eterno limbo tra giocattolo e strumento. Multitasking avanzato, flussi professionali, gesture da giocoliere digitale. Apple cercherà finalmente di colmare il divario tra tablet e desktop, ma senza dirlo esplicitamente. Perché? Perché se l’iPad diventa davvero un computer, il Mac chi lo compra più? E viceversa. La strategia è evidente: fare in modo che ogni dispositivo sembri necessario perché è diverso, anche se sotto sotto fanno tutti la stessa cosa.
Curioso che Apple scelga proprio il 2025 per questa grande unificazione visiva e funzionale. Non è solo una WWDC. È un palcoscenico di redenzione, un rituale di rinnovamento ciclico, come ogni buon culto tecnologico impone. Dopo anni di stagnazione creativa mascherata da refinement, l’azienda si presenta al mondo con un nuovo linguaggio visivo e una promessa silenziosa: “Non siamo più quelli di prima.”
Ma siamo sicuri?
“Solarium” suona come una spa del design. Un posto dove rilassarsi, abbandonare il controllo, lasciarsi avvolgere dalla luce digitale calda e diffusa. È una metafora perfetta per l’era post-personal computing: dispositivi che pensano per te, interfacce che fluttuano come fantasmi benevoli, esperienze così curate da sembrare spontanee. E intanto, tu diventi il prodotto perfettamente addestrato.
Apple ti promette una UX che non devi imparare. Ti coccola con vetro e ombre morbide. Ti dà un’intelligenza artificiale che non ti parla, ma ti capisce. E nel farlo, ti accende una lampada abbronzante nell’anima: Solarium non è un’interfaccia. È un’abitudine estetica. Una comfort zone travestita da innovazione.
In questo gioco di specchi lucidi e intelligenze gentili, l’unica vera intelligenza è quella strategica. Apple non ti vende tecnologia. Ti vende la sensazione che stai vivendo nel futuro, anche se è lo stesso di ieri, solo con più riflessi.
Nel frattempo, Google e Microsoft combattono con prompt e hallucination, ChatGPT sforna saggi, e gli utenti si chiedono quale AI sia “la migliore”. Apple, con un colpo di scena, cambia la domanda: “Perché dovresti accorgerti che c’è un’AI, se può semplicemente funzionare?”
La vera rivoluzione, come sempre, sarà impercettibile. Come la luce che entra da una finestra di vetro smerigliato.